I rapporti che esistono tra noi e Dio
tra noi e i fratelli
riguardano la nostra crescita nell’amore
Sostiamo brevemente, perché la parola di Dio illumini il nostro spirito e alimenti la nostra vita di cristiani, di credenti in nostro Signore Gesù Cristo.
La liturgia che la Chiesa celebra oggi è segno del suo amore materno verso quei figli che più da vicino intravedono il Regno di Dio, che hanno già la sicurezza di appartenere a questo Regno, che sanno che per loro la preghiera di Gesù che abbiamo appena ascoltato si è compiuta, ma non ci sono ancora entrati definitivamente.
Gesù possiede, custodisce ormai questi fratelli che il Padre gli ha affidato. Essi già hanno la percezione della gloria del loro Capo, Gesù Cristo; essi già intravedono la bellezza, la gloria, la verità della nuova Gerusalemme, della nuova creazione dove i cieli sono nuovi, dove la terra è nuova, dove tutto è rinnovato dalla potenza dell’amore di Dio, che ha rinnovato ogni cosa nel sangue del Figlio suo, e ha trasformato ogni cosa per mezzo del suo Spirito rinnovatore, lo Spirito Santo che rinnova tutta la creazione. Ma non sono ancora giunti. Ecco perché la Chiesa si preoccupa di questi suoi figli. Ecco perché, noi dobbiamo preoccuparci di questi fratelli.
Dobbiamo occuparci di loro per adempiere al comando del Signore di amarci come e gli ci ha amato, di amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi pensando che, pur non sapendo nulla di preciso in che cosa consiste l’attesa e la pena del purgatorio, lo spirito di questi nostri fratelli, l’anima di questi nostri fratelli e di queste nostre sorelle svincolata dall’umanità del corpo, dallo spessore della materia, non può ancora raggiungere, la vera vita, la condizione preparata da Dio, dove non ci saranno più distacco, pianto, lacrime, dolori perché, il Signore sarà tutto in tutti, perché l’amore del Signore pervaderà ognuno con la stessa forza ed intensità con cui pervade il suo Figlio unigenito.
Sappiamo che: “Chiunque vede il Figlio e ha fede in Lui, ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” Chi risusciterà? –“Questi che, hanno riconosciuto che tu mi hai mandato, ai quali ho manifestato il tuo nome e lo manifesterò ancora.” Stiamo attenti a questa affermazione di Gesù: –“Perché l’amore col quale mi hai amato” – l’amore col quale il Padre ha amato il Figlio –“sia in essi ed io in loro”. Questa è la pienezza della vita che i nostri fratelli intravedono, ma non raggiungono ancora.
Per esempio, è come la situazione del malato che intravede la salute ma sa di arrivarci faticosamente, è la condizione dell’affamato che è ancora lontano dal cibo o l’assetato che è ancora lontano dall’acqua o del cieco che è lontano dalla luce, è come lo stato del carcerato che è ancora lontano dalla libertà, ma mettete al posto del pane, della luce, della libertà, l’amore di Dio, l’infinito amore di Dio e allora -in un certo qual modo- possiamo intravedere in che cosa consiste la pena di questi nostri fratelli.
Se ci commoviamo dinnanzi alle sventure, e diventiamo più buoni e più generosi verso quelli che sono stati colpiti dal ciclone in India, se ci preoccupiamo per quei genitori che attendono di sapere qualche cosa delle loro bambine e tutto ci fa muovere a fare qualche cosa per questi che soffrono, pensiamo anche a quelli che attendono di entrare nel Regno di Dio e che sono in una condizione di sofferenza. La nostra carità deve raggiungerli. Come li raggiunge la nostra carità? Cerchiamo di pensarlo bene: aumentando, crescendo, sviluppandoci nella carità.
Qualcuno può pensare: farò celebrare delle messe e va bene; reciterò dei santi rosari e va bene; dirò delle preghiere indulgenziate e va bene, ma quando tu hai fatto celebrare una santa Messa il tuo amore è cresciuto? Quando hai recitato il santo rosario, la tua carità è diventata più intensa? Quando hai recitato le giaculatorie indulgenziate, il tuo amore ama più ardentemente Dio e il tuo prossimo? Guardate che i rapporti che esistono tra noi e Dio, tra noi e i fratelli non sono fatti di cose, ma sono fatti di vita, sono fatti di intensità della nostra vita, sono fatti che riguardano il nostro amore, la nostra capacità di amare, la nostra crescita nell’amore.
Ecco, tra tante cose, ciò che santamente possiamo pensare in questo giorno, in cui la Chiesa vuole essere madre di questi suoi figlioli che soffrono più di tutti e che attendono da noi una prova autentica di carità fraterna.
OM 406 Morti 71 – Duomo, 2 Novembre 1971, ore 18