Il Vescovo Carlo
Mons. Carlo Ferrari, Vescovo, si é congedato dalla diocesi in punta di piedi, in silenzio, quello obbligante dei segni imprevedibili di Dio. Le sue ultime parole testamentarie le ha sciolte la sera del 4 novembre in seminario, quasi a segretamente congiungerle con le prime pronunciate a Mantova proprio in seminario, in forma discreta, privilegiando questo spazio diocesano per comunicare la sua nomina a Vescovo di Mantova.
Doveva apparire già allora il suo stile, quello stile che lo aveva caratterizzato per 15 anni in Puglia, nella cittadina di Monopoli, dalle tradizioni antiche e radicate. E Lui, giovane quarantaduenne Vescovo del Nord entrava pian piano nel cuore di questa terra lambita dal mare, nell’intimo della gente semplice ed aperta, che nella fatica veleggiava il proprio cammino di riscatto civile e morale.
La gente si lasciò scrutare dagli occhi accattivanti di questa distinta figura; non lo guardò mai con sospetto; lo accolse con rispetto prima, con trepidazione graduale poi, con affetto sincero lungo il maturarsi e il consolidarsi della conoscenza diretta e dei numerosi gesti di vicinanza.
Si era andato creando un clima di spontaneità dialogica che negli anni conciliari culminò in affascinanti momenti, che videro la Cattedrale di Monopoli gremita ad ascoltare il Vescovo Carlo, rientrante dalle sedute conciliari romane, e videro anche vere “piazzate” di gente, assiepate ad ascoltarlo dal palco a pronunciare l’afflato nuovo che Papa Giovanni aveva avviato.
Da Papa Giovanni e dall’incontro con lui, il Vescovo Carlo ne era rimasto particolarmente ‘toccato’. Impercettibile segno che noi giovani seminaristi nel Seminario Regionale di Molfetta, coglievamo in una serie di attenzioni; e quando, da Commissario della formazione scolastica, si congedò da noi, lo fece con spirito di sagace ironia: “Il vostro ‘scadente’ Commissario…”; scadeva sì, perché nominato Vescovo di Mantova e noi avvertivamo una sorta di orfanezza. E pagammo un prezzo che solo oggi misuriamo in termini di Provvidenza e non certo di solo rimpianto.
E’ sempre il dopo, che rivela la misura e le proporzioni e le propaggini estese nel tempo di un impegno personale, sacerdotalmente celebrato nella episcopalità.
Mantova lo ha avuto Vescovo per il resto della sua vita, fino alle ‘dimissioni’ e come Vescovo Emerito, fino al suo silenzio e al silenzio del morire giorno dopo giorno, su un letto-altare. E’ da qui che la comunità diocesana di Mantova deve ripartire per valutare il senso di quest’uomo, sacerdote-Vescovo, per coglierne il percepito e il non percepito dei suoi anni o l’inattingibile della sua modalità episcopale a Mantova.
E’ il suo traguardo ‘eterno’ a ridarci, come dono e grazia, il doveroso impegno di ‘rileggerci’ tutti, non tanto in puro, semplice eppur necessario ricordo di Lui, quanto soprattutto per rimetterci nella luce del Dio trinitario da Lui insistentemente predicato in anni post-conciliari, che alcuni pilotavano verso i progressismi tutti orizzontalmente umani e che altri tendevano a far rifluire verso le nostalgie di un passato da rieditare con tintarella di nuovo.
Lui, il Vescovo Carlo, ha scelto di ricentrare sul Dio di Gesù Cristo, sul ‘Dio cristiano’ la proposta e il primario impegno dei suoi preti e delle comunità cristiane.
Le spoglie del vescovo Carlo riposano in Duomo, come egli stesso aveva desiderato. Lì sosto qualche istante, ogni volta che mi porto a celebrare in Cattedrale, passando davanti all’Incoronata; tento di pregare; non chiedo nulla per me; chiedo per Lui la pace del Signore; per la comunità diocesana di Mantova imploro che riesca a capirsi di più, nel nome del Signore.
don Stefano Siliberti
Stampa “Comunità che cresce” pag 3.