Brevissima, fugace sosta davanti all’immagine della Madonna Incoronata in Duomo: ho appena terminato di celebrare la Messa del mattino. Sono le 8.30: alla Madonna riaffido il Vescovo Carlo. In un’Ave Maria racchiudo una indefinita supplica: quella che solo la Madre di Gesù può cogliere nel sospiro dei suoi figli.
Poco più tardi, prima di porgere la solita lezione di storia ecclesiale agli alunni di teologia, la notizia: Mons. Carlo Ferrari si é spento verso le 8.30. Il suo lento salire verso l’Eterno é consumato. In fedeltà al dovere, a cui dopotutto sono stato educato fin dall’infanzia anche da Lui, svolgo la lezione.
Ma nel cuore si ridestano tutte le ‘ricordanze’ – come le chiamava Mazzolari – che in questa prolungata vigiliare attesa ho coltivato. Si ricorda ciò che si é amato. I confini della memoria coincidono con quelli del cuore. E il Vescovo Carlo lo ricorderò come Colui che amava senza farsi notare, con una discrezione pari alla sua nobiltà di figura e di stile.
Il mattino del suo giorno onomastico, il 4 novembre u.s., telefonicamente gli avevo formulato l’augurio, prima dell’appuntamento serale in seminario, che si sarebbe rivelato il testamento del suo episcopato. Nel corso di quell’ultimo colloquio gli avevo accennato a fogli di un suo discorso a Bozzolo su don Mazzolari. In quella stessa mattinata mons. Carlo avrebbe espresso il desiderio di rileggere “Tra l’argine e il bosco” di don Primo Mazzolari. L’ho riaperto per lui in questi giorni. Lo riapro ora alle pagine dedicate ad un titolo che ormai é vissuto in pienezza dal Vescovo Carlo: “Finestre sull’eterno”.
Noi possiamo pure attardarci emotivamente o meno su questa sua conclusa parabola di vita umana, sacerdotalmente episcopale. Da Lassù spero che Lui abbia a sorridere in Dio, per quanto noi continuiamo a balbettare e a dire. E vorrei quasi parafrasare mazzolariane espressioni, utili per noi che restiamo pellegrini dell’Eterno e scolpire un ricordo, tra i molti che sono doverosi, ricordo capace di destare a responsabilità: “Le anime delicate trovano più amici nel passato che nel presente, incomincia il colloquio con la morte. Va il fiume, va la vita. … Anche la vita si leva e tramonta. Talvolta non si ha il tempo d’avvertirne il declinare; talvolta, invece, é così presente, così incombente. … La serenità di fronte alla morte, é uno stato di grazia, la quale però non toglie la tragedia che é il morire, più ancora, il sentirsi morire”.
Nell’agosto scorso, nel contesto di una terra facilitante il dialogo, mons. Carlo Ferrari riviveva, com’era solito da qualche anno la delicatezza di ‘amici del passato’ e forse iniziava già il ‘suo colloquio’ con ciò che é destinato a tramontare; ritrovo così il senso di quel suo arguto ironizzare su uno dei titoli che gli erano piovuti, quando era Vescovo di Monopoli: ‘barone di Cisternino’. E sorrideva nel ripetere quel titolo che aveva il sapore antico di onorabilità tutte umane, con poco vangelo.
Gli “amici del passato” là lo rendevano libero, sciolto, sempre nuovo nel proclamare il Vangelo. Il ‘declinare’ sembrava coincidere con la sua alba episcopale del 1952 a Monopoli. Per questo tutti lo abbiamo rivisto sereno, proprio nel suo declino, la sera del 4 novembre, per una celebrazione che aveva desiderato e voluto con quel marcato decisionismo alla piemontese. Ora possiamo rileggere, risentire interiormente l’eco della sua voce serotina, alla sera della sua vita e avvertire che il suo era davvero ‘uno stato di grazia’ verso le ultime silenti settimane.
Per il Vescovo Carlo prego ora nel silenzio, come per mia madre e mi affido a parole come quelle che Mazzolari scrisse: “Requiem aeternam dona eis, Domine. E’ la preghiera che ogni giorno a Te, Signore, si leva dalla terra per coloro che sono passati nel Mistero. La preghiera che chiede riposo e pace per chi anela all’Amor Tuo infinito. E mentre ripetiamo le parole di mestizia e di speranza, tornano, passano le figure mute, rivivono i ricordi, e le cose vane sognate nell’ombra della terra, dileguano nel riflesso della Vita. Riposino in pace: nella pace del porto, nella pace della mèta, nella pace Tua, Signore. … Dacci quella vita interiore per cui nell’intimo comunichiamo col mondo invisibile nel quale Essi sono; con quel mondo fuori del tempo e dello spazio, che non é luogo, ma stato di vita, e non é lontano da noi, ma intorno; che non é dei Morti, ma dei Vivi; con quel mondo che Te, o Dio, aspetta e con quello che Te vede fra i chiarori antelucani e nella luce del Giorno eterno. Amen.”
don Stefano Siliberti
Stampa sul settimanale cattolico mantovano “La Cittadella” 6 Dicembre 1992