Ho avuto molte occasioni di passare dei giorni con mons. Carlo Ferrari, e anche lunghi periodi.
Negli anni 70-75 trascorreva la sua villeggiatura estiva nella colonia S. Rosalia di Costa di Folgaria, nonostante la presenza, gioiosa ma rumorosa, di circa duecento bambini. E per tutto il periodo, essendo cappellano della colonia, ci trovavamo insieme a tavola e alla sera mi invitava a fare con lui i “tre passi” dopo la cena… che quasi sempre si facevano in silenzio.
Alcune volte sono sceso con lui in terra di Puglia dove era benvoluto e sempre accolto con entusiasmo e con gioia. Lui rispondeva con altrettanta esuberanza di calore umano, di loquacità, per me sorprendente: il contrario di ciò che ero solito vedere qui. Non mi spiegavo perché fosse “diverso” da Foggia in giù. Forse trovava là un clima di maggiore immediatezza di comunicazione, di maggiore spontaneità.
Un fatto significativo: eravamo fermi, in colonna, in uno dei viaggi a Monopoli, a causa del traffico nel paese di Polignano, qualche decina di chilometri dopo Bari. Una ragazza che era lì per caso lo ha riconosciuto e si è avvicinata al finestrino bussando e ha salutato con un “ciao, Vescovo”. Il commento: era una della spiranti di AC che portavo alle giornate sociali… Mi è venuto spontaneo pensare che là, più che il Vescovo si è trovato a fare il parroco o il direttore spirituale o l’Assistente di AC.
Qui a Mantova invece il clima di maggiore riservatezza e ufficialità nei rapporti con noi e con la gente deve averlo cambiato. Nessuno di noi lo avrebbe mai salutato con un “ciao, Vescovo”. E probabilmente era il clima a lui più congeniale. Ma era difficile capirlo, anche per me che avevo raggiunto verso di lui una certa familiarità. Per lui era già un lungo discorso passeggiare un’ora insieme senza dire parola. Quando è riuscito a parlare con libertà mi ha detto più volte che amava le diocesi “a misura d’uomo”, dove non ci fosse bisogno di intermediari. Forse anche per questo, quando vincendosi tentava qualche approccio o qualche battuta, gli capitava di partire col piede sbagliato. Ma bisognava capirlo: rischiava di farsi prendere male quando lui era tutt’altro. Credo che questa sia stata una delle sofferenze sue, peraltro mai espresse.
Al di là di ogni battuta di spirito devo dire che ho imparato dai suoi discorsi a capire cosa c’entri la Santissima Trinità con la nostra vita, e leggendo qualche suo libro ho visto che il pensiero è espresso molto meglio nei suoi scritti che non nelle sue prediche. Vedi per esempio il suo libro: “Il Dio Cristiano”. Vale la pena di raccoglierli e riprenderli in mano: ci troveremmo un’anima molto diversa da quella che lui è riuscito qui a Mantova a farci conoscere.
Don Italo Zanoni, parroco del Domo di Mantova