Suore, 16 Dicembre 1967
Mi spiace che molte di voi debbano rimanere in piedi ed abbiano a sperimentare subito il senso del mio motto: la pazienza.
Vi ricambio gli auguri di Natale proprio dal profondo del cuore. Auguri: “mantovani” con tutto il significato che l’espressione porta con se, legato quindi al senso delle vostre tradizioni, ma soprattutto a quella ricchezza e sensibilità di sentimenti che vi distingue e caratterizza in mezzo a tante altre popolazioni. Pensare che i vostri cuori si raccolgono, in Gesù Cristo, intorno alla mia povera persona è un motivo per sperare con fiducia in un Natale fruttuoso.
Lasciatemi poi incominciare con una dichiarazione cui ha già accennato il vostro delegato: comunque sia il mio atteggiamento o il tono del mio parlare, sappiate che ho una grande stima dello stato religioso, che ne comprendo tutta la funzione e la preziosità nella Chiesa santa di Dio. Perciò, ripeto, ogni mia espressione, magari burbera o scanzonata, interpretatela sempre nel senso più buono e ottimista.
In questi giorni ho parlato molto, ma non ho mai potuto manifestare a pieno tutti i miei sentimenti, e le cose che, di per sè, sono naturali, mi sono anche sfuggite. La prima emozione forte, incancellabile che ho portato con me, la prima sera in cui furtivamente sono giunto a Mantova, è stata quella di avvertire la presenza di San Pio X che qui è stato, che qui ha operato, che qui ha dato nove anni della sua esistenza. Vi confesso che qualche volta mi distolgo dal pensiero della sua presenza per non essere impressionato e turbato.
Un altro sentimento di vivissima riconoscenza è per chi mi ha preceduto immediatamente. Ho conosciuto nel primo anno del mio ministero episcopale Monsignor Menna, molto amico di Monsignor Melchiori mio Vescovo di Tortona, ma sono legato da vincoli d’amicizia veramente fraterna con Monsignor Poma. Sapere di dovere continuare l’opera che egli ha iniziato e portato avanti in un modo così saggio, corrispondente ad uno stile personale e inconfondibile, da una parte mi ha confortato perché alle spalle ho un amico, ma dall’altra mi ha messo anche in un certo imbarazzo perché conosco la sua statura e la mia statura. Comunque, il suo e il mio ministero si forgiano entrambi sull’esempio e nell’intercessione di San Pio X e dei santi protettori della nostra Diocesi.
Ho preparato un piccolo schema e cercherò di esporlo molto brevemente. Penso che queste siano le idee, i principi fondamentali intorno ai quali si deve svolgere quella comunione di vita che ci deve essere tra le figliuole più care e il proprio pastore.
Non dobbiamo dimenticare che viviamo gli anni della grazia del Concilio. Come tante volte, specialmente dai primi tempi della chiusura del Concilio, ha ribadito Paolo VI, -cui va il nostro pensiero devoto, affettuoso e figliale – noi dobbiamo prendere coscienza di tutto quel patrimonio religioso, spirituale, teologico che il Concilio ci offre per la ricchezza della nostra vita spirituale che si può tradurre così: per la riforma, l’aggiornamento della nostra vita spirituale e della vita spirituale religiosa in particolare: Essere chiesa.
Dobbiamo prendere coscienza, prima di tutto, che siamo “Chiesa” e non dimenticare un’affermazione categorica del Concilio, che corrisponde al senso pieno e autentico della rivelazione: Dio ci salva non individualmente ma come suo popolo; cioè come gente che è adunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per fare, come abbiamo già detto nella celebrazione liturgica, una cosa sola, anzi, una sola persona, tanto deve essere intensa la nostra unione, tanto dobbiamo sentire il bisogno di quell’unità di vita che costituisce l’essenza, la sostanza della Chiesa. La Chiesa non è il Papa, non sono i Vescovi, non sono neppure i preti e tanto meno le suore. La Chiesa è il fatto concreto che si verifica nell’esistenza delle persone, le quali corrispondendo ad una vocazione, formano una cosa sola tra loro. Non c’è salvezza, perciò, e tanto meno perfezione al di fuori della Chiesa. Non semplicemente “fuori dalla chiesa” per chi non è battezzato o non va a Messa o non dice le orazioni, ma, “fuori della chiesa” che vuole dire: fuori da quest’unità nello spirito della pace, della concordia, dell’armonia, dell’amore autentico tra di noi. Questo è un principio che deve stare davanti a noi ed, è la meta cui si deve tendere con tutte le forze.
La Chiesa sono coloro che, con la fede, la speranza, la carità, realizzano una comunione di vita che ha la sua sorgente e il suo modello nella comunione che esiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: una comunione di vita analoga a quella trinitaria. Perciò la Chiesa sta prima del proprio Istituto. Vi rimando una volta per sempre a quel capolavoro che è il discorso di Paolo VI alle superiore generali, pronunciato l’undici gennaio dell’anno scorso, per intendere anche queste mie affermazioni. L’istituto cui voi appartenete è solo un mezzo, uno strumento per inserirvi nel modo più efficace nella Chiesa. Quest’inserimento nella Chiesa corrisponde al piano di Dio, il quale ha voluto che il Figlio suo s’incarnasse. Incarnarsi, per il Figlio di Dio non è stato semplicemente assumere una natura come la nostra, ma vivere in un punto geografico determinato e in un momento storico concreto.
La Chiesa santa di Dio non è quella astratta, universale, ma è quella concreta dove viviamo, geograficamente e storicamente: è dove teniamo i piedi, dove mangiamo la minestra; é dove anche ci pestiamo i piedi; è, per dirlo in termini più riguardosi, la Chiesa locale: che ha il suo svolgimento, la sua realizzazione concreta nella parrocchia, dove si manifesta, si celebra l’esistenza e la vita della Chiesa cui presiede il Vescovo come il padre nella famiglia dei propri figliuoli.
Ritenete che questa, non è una affermazione di un vescovo o di questo Vescovo ma del Concilio: tanto più una comunità rimane estranea a quello che la Chiesa fa nell’ambito territoriale in cui vive, tanto meno partecipa alla vita della Chiesa, tanto meno realizza la Chiesa. Ci tengo a ripetere che questa non è l’affermazione interessata di un Vescovo, che vuole anche le suore al servizio della sua attività pastorale, ma è un’affermazione teologica di dottrina rivelata che corrisponde quindi al pensiero e alla volontà di Dio.
Siamo chiesa: dobbiamo operare come Chiesa
La Chiesa, comunione di vita tra persone, è il sacramento sensibile, efficace, universale, fondamentale della salvezza di tutto il mondo. La salvezza del mondo è opera esclusiva della Chiesa in quanto essa è il prolungamento nel tempo e nello spazio del Cristo ed è strumento dell’azione dello Spirito Santo. E’ soltanto Gesù Cristo il salvatore. Gesù Cristo è salvatore per la sua Chiesa, con la sua Chiesa, per mezzo della sua Chiesa che, ripeto, è soprattutto quella comunione di persone di cui abbiamo già detto.
La Chiesa è strumento di salvezza perché : nelle persone unite nella carità si costituisce il tempio santo nello Spirito ed è qui dove lo Spirito Santo porta a compimento l’opera preparata dal Padre e attuata dal Figlio per salvare e santificare tutti. Perciò l’azione apostolica per la salvezza del mondo non può essere individuale né da parte delle persone, né da parte degli istituti. L’azione apostolica è efficace solo come azione delle persone e degli istituti nella misura in cui manifestano e operano: come Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa, radicati nella Chiesa locale, aperti a Chiesa universale.
Con quali mezzi si diventa chiesa? Con la Parola di Dio. La Chiesa è adunata per mezzo del ministero della Parola. La Chiesa, e quindi la vita cristiana e religiosa in particolare, si edifica con la parola di Dio. Dicevo, sabato scorso ai nostri sacerdoti, che San Pio X ha impresso nella Chiesa quella riforma di cui noi già godiamo i frutti e che non era semplicemente quella della comunione più frequente. San Pio X ha concepito la frequenza ai santi sacramenti nel contesto della liturgia e ha detto che la Chiesa intanto si rinnoverà, in quanto ritornerà alla sorgente della celebrazione liturgica. E la celebrazione liturgica è completa quando, prima del sacramento eucaristico, c’è la celebrazione della parola.
Oggi, il Concilio, nella Costituzione “Dei Verbum” dice che con il ritorno alla mensa della Parola si ottengono gli stessi frutti – anzi più pieni – che si sono già ottenuti con il ritorno alla mensa del pane del Signore. La parola e il pane del Signore sono – scusate l’espressione – due portate di uno stesso pranzo: se manca l’uno o l’altro la alimentazione non è completa. I sacramenti, in particolare l’eucaristia sono sacramenti della fede e producono frutto in quanto trovano fede.
Perché il Papa ha voluto l’anno della fede? Per tanti motivi ma per uno in particolare. Nelle nostre popolazioni e anche in mezzo a noi e a voi c’è molta pratica sacramentale. Ma c’è una fede proporzionata, che dispone alla fruttuosità della frequenza ai sacramenti? Se non c’è la fede i sacramenti non agiscono. Se non c’è la fede manca la radice della giustificazione. La fede nasce dall’ascolto della parola, si nutre con la Parola. Diventa matura, efficace nella esistenza, feconda anche per gli altri, quando è abbondantemente nutrita della parola di Dio.
Qual è la Parola di Dio? Non è certamente quella che trovate nei vostri libri di meditazione (almeno in quelli che conosco io). Parola di Dio è quella contenuta principalmente nel libro di Dio che non è semplicemente il Vangelo. il Vangelo è l’ultimo capitolo e non si capisce un libro quando si legge soltanto l’ultimo capitolo. Noi che vogliamo edificarci come Chiesa e sappiamo che il nutrimento che ci edifica nell’unità del popolo di Dio è la Parola di Dio, dobbiamo metterci in grado di leggere tutta la Sacra Scrittura e di intenderla. Per voi che vivete e operate nella Chiesa mantovana, incarico il mio delegato, perché faccia il possibile per rendervi familiare la Sacra Scrittura e per intenderla.
La riforma incomincia da qui e non dall’abito. Io detesto tutti gli abiti religiosi ma questa è una faccenda personale, non è rivelazione, mentre è rivelazione che voi vi nutriate di Parola del Signore e, poiché tutte dovete camminare verso una riforma, dovete essere in grado di nutrirvi della Parola del Signore. A questo scopo si devono continuare le iniziative che rendono le suore capaci di leggere la Sacra Scrittura.
La vita liturgica
La disponibilità di noi stessi operata dallo Spirito Santo, attivo nella Parola del Signore, ci prepara all’altra azione che completa il nostro essere di “membri” di un unico Corpo, il nostro essere di Chiesa, cioè: all’azione contenuta nella celebrazione delle azioni liturgiche sacramentarie. Non è necessario spendere tante parole per dirvi che, Cristo è presente in ogni azione sacramentale. Noi abbiano ridotto la presenza di Gesù Cristo al sacramento della Eucaristia. Certo la presenza di Gesù nella Eucarestia è del tutto particolare, ha una efficacia unica, ma non è l’unica presenza di Gesù Cristo nella Chiesa.
Cristo è presente in ogni azione liturgica: è Cristo che battezza, è Cristo che ci rimette i peccati, è Cristo che ci alimenta nella Eucarestia, è Cristo che diffonde il suo Spirito su tutti noi dal giorno del Battesimo, della Cresima, e in ogni altra azione sacramentale. Cristo in tutti i sacramenti opera nel senso di unificarci in un unico corpo costituito da tante membra compaginate tra di loro per la carità diffusa nei cuori dallo Spirito. L’intento, quindi, d’ogni azione sacramentale è quello di portarci verso l’unione tra di noi.
Noi abbiamo esaltato la comunione eucaristica. Il Cardinale Lercaro usava questa similitudine: la gente va a fare la comunione e pensa solo a Gesù Cristo come quei cani che hanno finalmente addentato un osso e poi si mettono in un angolo, lo rosicchiano per loro conto e, guai a chi si avvicina! diventano rabbiosi! Comunione a Gesù Cristo vuole dire: comunione a tutte le membra del suo corpo. Il Concilio, ogni volta che nei suoi documenti ricorda la comunione non cessa mai di richiamare la comunione con i propri fratelli. Capite allora come Gesù Cristo nell’azione sacramentale agisce nel senso di unificarci nella unità? Mettetevi perciò in grado – e lo siete già molto bene – di partecipare alla azione eucaristica conoscendo il valore delle azioni liturgiche e facendo la vostra parte in un modo cosciente.
Fino a poco tempo fa, la celebrazione liturgica era azione del prete. No. L’azione liturgica è azione di tutto il popolo di Dio che si unisce a Gesù Cristo per il ministero dei sacerdoti, ma ognuno deve essere presente in modo attivo e perciò fruttuoso perché da quella azione discende l’opera della salvezza che compie nostro Signore Gesù Cristo Perciò non anteponete mai nessuna pratica di devozione ad una celebrazione liturgica e introducete, per quanto dipende da voi, azioni liturgiche nello svolgimento delle vostre pratiche di pietà. Da voi dipende stimolare quanti stanno in alto: dite, fate sentire la vostra voce per mezzo dei questionari che vi mandano in questo tempo di riforma.
Preferite l’ufficio a qualsiasi altra preghiera, non per svalutare gli esercizi pii approvati dalla Chiesa, ma perché ogni cosa deve prendere il suo giusto posto nella gerarchia dei valori di quelle azioni che ci uniscono a nostro Signore Gesù Cristo e ci fanno partecipare alla sua vita. Unitevi alla preghiera pubblica, recitate l’ufficio divino e siate consapevoli che: quando lo recitate con l’approvazione della Chiesa, voi pregate in nome della Chiesa e rappresentate veramente la Chiesa.
Vita comune
La Chiesa si edifica con l’esercizio della carità: una carità umana, una carità di donne, una carità che è rispetto della persona, rispetto degli altri. Se voleste fare del bene ad una vostra consorella a suo dispetto manchereste di carità. Il rispetto della persona è più importante della regola. In paradiso ci vanno le persone e non le regole! Che bello, quando tutte le regole saranno finite e messe in archivio! Guardate che bei locali per accoglierle!
La persona umana è più importante della congregazione cui voi appartenete perché è la congregazione per voi e non siete voi per la congregazione. L’istituto è lo strumento che deve servire alla vostra vita e alla vostra perfezione. Non dovete essere voi a servire l’istituto. Questo deve stare alla base dei rapporti che esistono tra voi e che attuano la vita comune.
La pratica della vita comune, cioè dei buoni e cordiali rapporti tra ai voi è più importante della pratica dei voti religiosi. Lo ha detto il Papa in quel famoso discorso: il fine della vita religiosa è la perfezione della carità e le virtù che formano l’oggetto dei voti religiosi sono soltanto delle condizioni, dei mezzi per raggiungere la perfezione della carità e non sono lo scopo della vita religiosa.
Quindi, quanto è importante nella vostra formazione, a qualsiasi età, l’educazione del cuore, cioè della sensibilità, del sentimento, del tratto, del comportamento! Che cosa sono quei sospetti, che più o meno circolano nei vostri ambienti perché una è più affettuosa di un’altra o perché ha delle amicizie? Quelle che una volta si chiamavano amicizie particolari sono ancora espressione d’egoismo e non d’amore fraterno, ma l’affetto fra di voi non deve mancare. Se l’affetto ci deve essere tra uno sposo e una sposa, tra un padre e i figli, quanto più ci deve essere in mezzo a voi che siete le spose di nostro Signore Gesù Cristo e che dovete attuare la perfezione della vita umana. E non una perfezione angelica.
Vita religiosa apostolica
La vostra vita religiosa: che è vita di Chiesa, che è azione nella chiesa, che è edificazione di ognuna di voi come Chiesa con i mezzi della Parola, del sacramento, della carità, ha lo scopo stesso della chiesa che è quello della salvezza del mondo. La vostra è una vita apostolica analoga a quella dei sacerdoti, degli apostoli dei quali ha detto Gesù Cristo: “sono nel mondo ma non sono del mondo”. Però sono nel mondo! Voi dovete essere nel mondo, inserite nel mondo. Uno dei difetti più gravi della vita religiosa attuale -secondo il mio modestissimo parere: uno dei motivi del rarefarsi delle vocazioni allo stato religioso, per cui sono fiorite altre forme di vita, sta nel fatto che della vita religiosa apostolica si è fatta la brutta copia della vita religiosa monastica, che si ispira ai principi della”Imitazione di Cristo: la fuga del mondo, l’isolamento, la clausura, la regola, chiudere le porte ad una determinata ora, non uscire, portare il vestito nero della morte al mondo. Tutto questo vi separa dal mondo.
Come potete essere operanti nel mondo se non siete nel mondo? Se mettete delle barriere tra voi e il mondo? Questo è un fatto molto importante e va più o meno dall’abito, e non è la questione più importante anche se è da prendere nella dovuta considerazione, a tutto il modo di organizzare la vostra vita religiosa. Dovete conoscere il mondo in cui vivete e poi vi è proibito leggere i giornali, vedere una cosa o l’altra! Certo. Se il leggere i giornali, il vedere la televisione, l’ascoltare la radio diventano motivo di dissipazione, allora questo vi rende mondane, ma usare bene di tutti gli strumenti di comunicazione sociale è un mezzo per conoscere il mondo in cui si vive. Questo è voluto dalle esigenze della Incarnazione e non semplicemente dallo stato religioso di vita apostolica. E’ voluto da nostro Signore Gesù Cristo. Gli apostoli sono nel mondo !
Bisogna accoglierlo il mondo con tutto quello che ha di positivo, dal concorso delle canzoni di Sanremo alle partite di calcio, alla moda che noi da un punto di vista morale forse non approviamo. Fin tanto che alla gioventù non fate altro che dei rimproveri o dei confronti con il tempo della vostra gioventù e continuate a lamentarvi del mondo moderno, i giovani e il mondo andranno per la loro strada. Non si fermeranno, e non ci seguiranno. Noi, invece rimarremo indietro e isolati. Non dico che dobbiamo approvare ciò che disapproviamo, ma c’è modo e modo di accogliere le cose nuove. Per esempio: fin tanto che continuerete a vestire quelle povere orfanelle con una divisa unica, e non insegnate loro il gusto di vestire bene; fin tanto che voi religiose non sarete capaci, di entrare in quegli ambienti che preparano il gusto o lanciano certi vestiti, voi non siete nel mondo, non operate nel mondo. Se ci fosse un istituto religioso di donne capaci di lanciare modelli che piacciono alla gioventù d’oggi, credo che avrebbe compiuto l’azione apostolica più fruttuosa dei tempi nostri. L’ho detto per paradosso.
E’ una cosa che non avverrà -aggiungo: purtroppo – ma lo dico per farvi intendere come dobbiamo accogliere i valori del mondo. Conseguentemente è necessario un adeguamento al mondo. San Vincenzo De Paoli, il quale ha avuto il genio di far nascere nella chiesa santa di Dio la vita religiosa apostolica, vi ha detto di vestire come le donne oneste del vostro tempo e voi avete portato la cornetta fino a due anni fa! Adeguamento anche alle abitudini. La gente oggi ha un suo orario ed è inutile che voi vi ostiniate ad alzarvi alle cinque e andare a letto alle otto quando gli altri incominciano la propria attività alle otto del mattino e la terminano alle dieci della sera. E’ bene? E’ male? Non importa: qui non ci vanno di mezzo i valori morali. Così è il mondo in cui viviamo e così dobbiamo accogliere quelle cose che, di per sé, non hanno un senso morale.
Missione profetica
Naturalmente bisogna essere nel mondo,ma non essere del mondo in quanto voi, con la vostra presenza dovete affermare i valori del regno di Dio in mezzo agli uomini. Affermare i valori del Regno di Dio non vuole dire fare le pie raccomandazioni, ma significa viverli, incarnarli nella propria persona, momento per momento. La gioventù non vuole più sentire delle parole – e non è un male – vuole vedere persone che attuano nella loro esistenza dei valori validi, autentici e quindi che rendono migliore la vita e soddisfano la persona. Affermare i valori del Regno di Dio vuole dire esprimerli come li esprime chi ha avuto la fortuna di scoprire un tesoro. Certi sipari calati dal mattino alla sera, certe quaresime ambulanti, non profetizzano il regno dei cieli! San Giovanni evangelista, l’amico dello sposo, diceva: ho raggiunto il mio gaudio perché è arrivato lo sposo. E’ cosa più importante avere il sorriso sincero sulle labbra che avere un volto compunto, cosciente d’essere peccatrici. Si, siamo peccatori ma redenti da nostro Signore Gesù Cristo, salvati dai nostri peccati! La gioia della festa per il ritorno del figliuolo prodigo è un fatto più evangelico della perfezione e della osservanza del primogenito che non aveva mai dato dispiacere al Padre. Questi, certo, sono dei paradossi profetici del vangelo, pero ci dicono il senso del pensiero di Dio.
Ecco la constatazione di quelli che vivono nel mondo: queste persone non cercano soldi, non cercano uomini, non cercano di fare bella figura e sono felici! Perché? E’ un mistero! Sì, è un mistero che turba, che sconvolge, che a volte ha esplosioni d’odio verso la vita religiosa, ma è un mistero che conquide se c’è una testimonianza nella esistenza di quelli che, per aver fede e per credere con sicurezza nei beni futuri, sono stati capaci di vivere nel mondo e non essere del mondo.
Grazie per questo incontro, grazie perché ho sentito che mi avete capito. Pregate tanto e volentieri per il Vescovo che ne ha bisogno, per i suoi sacerdoti, per quello che gli passa nel cuore di preoccupazioni, di speranza e anche di gioia. Come ho promesso ai miei sacerdoti, per quanto sarà possibile, verrò a trovarvi. Vi raccomando almeno tre cose:
l) non preparate la bambina con la poesia,
2) non mettete in fila le ragazze,
3) non preparate cuscini in Chiesa e nel salotto.
OM 84 Suore 67 – 16 Dicembre 1967