30 Aprile 1983 in S. Andrea, Concelebrazione del Giovedì santo
Mi rivolgo a voi, cari sacerdoti partecipi dell’unico ministero sacerdotale di Cristo; mi rivolgo a voi, religiose e laici, partecipi, e quanto! anche voi del sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo,per offrirvi sull’altare per il ministero dei sacerdoti e per offrire voi stessi e tutte le vostre famiglie a gloria del Signore.
Questa mattina, specialmente per voi sacerdoti, io sono preoccupato – lasciatemi dire la parola- di fare un discorso che ci dia la chiave per introdurci nella contemplazione dei grandi eventi che noi celebriamo con la nostra bocca e con le nostre labbra. Vi parlo della dimensione contemplativa della nostra vita e del nostro ministero. Sapete che proprio nella regione lombarda, questo tema é stato proposto ad un clero molto più numeroso del nostro ed é su quella scia, anche se non con quella competenza e con quegli argomenti, che io vengo a voi.
La “contemplazione”.
Cerchiamo di capire questa parola tanto dimenticata e tanto indispensabile. In 2000 anni di vita e di storia della Chiesa si può dire che per 1800 di questi anni si é continuato a parlare di mistica religiosa sempre per fenomeni straordinari della vita contemplativa. Grazie a Dio il Concilio é stato animato dal movimento biblico. Così il Concilio ha animato, ha spinto oltre, nella profondità del mistero delle Scritture particolarmente con il documento dei vescovi. Dobbiamo alla teologia biblica questa illuminazione per cui viene messo in primo piano l’impegno della contemplazione.
Faccio degli esempi. Uno spettacolo in montagna, un quadro artistico, un brano di musica non si gustano e non si assimilano con la cognizione degli elementi chimici di cui é composta la roccia o delle note con cui é composto un brano o dei colori di cui é composto un quadro, ma si conoscono nel loro insieme, nella loro totalità e non attraverso una conoscenza scientifica e razionale, ma attraverso l’apertura di tutto noi stessi: dei nostri sensi, della nostra sensibilità, del nostro cuore che noi rimaniamo incantati, assorbiti e trasportati da quello che contempliamo. Ecco la differenza tra una cognizione intellettuale, razionale, meditativa e una cognizione contemplativa delle meraviglie del Signore che superano enormemente, infinitamente le meraviglie di una montagna, le meraviglie di un quadro, le meraviglie di un brano musicale.
Così noi dobbiamo dedicarci alla contemplazione delle meraviglie di Dio. Solo attraverso questa nostra applicazione riusciamo ad essere incantati, stupefatti, meravigliati, commossi, ed essere invitati ad intonare noi stessi alle meraviglie del Signore. E’ evidente che per una vita contemplativa bisogna avere lo sguardo limpido, lo sguardo penetrante, lo sguardo purificato.
Faccio un’altra osservazione. Si é sempre fatto questione di ascetica e di mistica. No, miei cari, prima la mistica e poi l’ascetica, cioè, prima l’intervento di Dio protagonista di ogni elemento di salvezza. Prima la sua azione e poi noi diventiamo capaci di intonarci alle esigenze del mistero che contempliamo.
Insisto: prima la mistica. Il primo a incominciare é Dio: la sua grazia, la sua azione, i suoi doni – la fede e la carità sono doni dello Spirito Santo – e poi, conseguentemente, la nostra capacità di intonarci asceticamente alle esigenze del mistero trinitario: del mistero della salvezza. Così la nostra vita ascetica di mortificazione, di liberazione, di spogliazione non é frutto di un imperativo morale, ma é frutto di un’esigenza divinaiscritto nella nostra persona: La vita mistica come ce la insegna il Vangelo. Ci sono elementi che sono stati trascurati a vantaggio di una teologia spirituale che manca di fondamento.
Miei cari, che cosa sono le estasi di santa Teresa o di san Giovanni della Croce o di qualsiasi altro santo di fronte alla partecipazione della stessa vita di Dio e alla figliolanza adottiva destinata a tutti noi, di fronte alla capacità del dono della fede, di fronte alla capacità del dono della speranza e della carità? Che cosa sono mai? In un esempio citato, il giorno del ritiro ho detto: questi sono degli iceberg che indicano la presenza di una massa enorme di ghiaccio. Le rivelazioni sono delle punte. La base, il fondamento, l’elemento vitale é la strutturazione della nostra persona alla natura divina per cui siamo capaci di amare alla maniera in cui Dio ci ha amato. E’ a questo livello che deve avvenire la contemplazione e, come ci dice il vangelo: ” Il tempo é compiuto, il Regno di Dio é vicino, convertitevi e credete al vangelo”.
Il Regno di Dio é dentro di noi. Tutte le realtà della economia della salvezza, che si riassumono nella presenza delle Divine Persone in noi e della loro azione purificatrice, santificatrice, ed esaltante sono un dono in noi, le portiamo in noi ininterrottamente. Giovanni – per intendere i testi che citerò- traduce l’espressione “Regno di Dio” con le parole “vita eterna”. Questa é la vita eterna, questo é il cristianesimo, questa é la vita spirituale, questa é la vita interiore: “Che conoscano te, unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo”.
– La conoscenza nella Bibbia. – La conoscenza nel nostro rapporto personale con le Divine Persone. – Il nostro impegno di crescita soprannaturale per l’azione divina che si svolge in noi. La conoscenza é l’apertura di tutto noi stessi, che combacia con la rivelazione: l’apertura di Dio ai nostri occhi, al nostro essere, a tutto il nostro essere. .. Perdonate se balbetto, ma certe realtà é difficile renderle con le parole.
Beati i puri perché vedranno Dio. Non si tratta semplicemente della castità. E’ una purezza più radicale, è una purezza di tutto il nostro essere, che ci dà la capacità di conoscere Dio, di vedere Dio. Non è soltanto l’intelletto illuminato dalla fede, ma è tutto il nostro essere che è illuminato dalla fede, é tutto il nostro essere che è purificato dalla forza della grazia di nostro Signore Gesù Cristo.
E c’é una parola per voi, miei cari sacerdoti. “Non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ ho fatto conoscere a voi”. Gesù Cristo nella sua pedagogia verso una vita mistica, contemplativa, apre degli spiragli e soprattutto suscita dei desideri.
Alla samaritana dice: “Chi beve di questa acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna”. Ecco la prospettiva, ecco la promessa.
“Signore, – dice la donna – dammi di quest’acqua perché non abbia più sete e non debba più venire qua ad attingere acqua”.
” In verità, in verità vi dico, non Mosè vi dà il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero. Il pane del cielo é Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” ” Allora – gli dissero – Signore dacci sempre di questo pane”.
“Nell’ultimo giorno, il grande giorno della fede, Gesù si levò ed esclamò ad alta voce: chi ha sete venga a me e beva”.
“Chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal mio servo”…”Questo, egli disse dello Spirito Santo che avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in lui”.
Il desiderio, la fame, la sete dello spirito, del pane e dell’acqua sono elementi indispensabili per una vita spirituale cristiana che si esprime nelle promesse di nostro Signore Gesù Cristo, che ratifica tutte le promesse di Dio. E come ricevere questi doni? Con la preghiera, con la domanda. ” Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che é nei cieli darà lo Spirito Santo a coloro che lo domanderanno”. … “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”.
C’é il discorso di san Giovanni nell’ultima cena, il discorso sacerdotale, la fonte di tutti gli elementi della vita contemplativa. Gesù che si prepara come via ad arrivare a questo traguardo: “io sono la via, la verità, la vita”. Nessuno viene al Padre, e quindi alla conoscenza del Padre, se non per me. –“Signore mostraci il Padre” e sapete la risposta di Gesù a Filippo.
– ” Se mi amate osservate i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un Altro, il Consolatore perché rimanga con voi, sempre”.
“Chi accoglie i miei comandamenti li osserva, quindi mi ama, e chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò”;… mi manifesterò a lui”;
“Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”
Miei cari tutti, che cosa é questo impegno di nostro Signore Gesù Cristo espresso nel Vangelo e destinato a tutta la comunità dei cristiani? E’ la presenza di Dio in noi abitualmente. E’ la presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e della loro azione compiuta per la nostra salvezza eterna e già presente: già presente e non ancora completa.
“Ecco io sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre io verrò a lui e cenerò con lui ed egli con me”. Queste parole sono rivolte all’angelo della chiesa di Laodicea, quella che non era né calda né fredda e non alle suore di clausura! “Rimanete in me e io in voi”; “come il tralcio non porta frutto, se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” E, non é questo un motivo di stupore, di contemplazione, di gratitudine, di pentimento?
“Allontanati da me Signore perché sono peccatore”: peccatore di desiderio, di preghiera, di bontà. Questi sono gli elementi della espressione della nostra vita spirituale
“Io sono la vite e voi i tralci, chi rimane in me dà molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”: né un atto di fede né un atto di carità, quindi nessun atto che sia veramente cristiano in ordine ad una vita ascetica. “Se osservate i miei comandamenti rimanete nel mio amore come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore”. Il discorso dopo la cena non é un discorso fatto di ricordi, ma un discorso di precetti.
” Dio in noi. Lui in me e io in loro perché siate perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” Questa reciprocità del Padre e del Figlio, del Figlio e di noi nel Padre e nel Figlio, è l’unica condizione per la quale possiamo realizzare l’ unità nell’amore, che é il grande precetto ed é il grande segno che noi dobbiamo offrire al mondo perché il mondo creda.
Miei cari, libero il mio spirito da ogni preoccupazione di competenza e anche di logicità. Concludo soltanto dicendo: per vivere il nostro ministero nell’anno 1983 in un mondo ateista, in un mondo secolarizzato non é sufficiente la “bella pratica”, non é sufficiente la catechesi bene organizzata – ci vogliono!- ma ci vuole una sorgente, ci vuole una sostanza e, la sostanza é la realtà del nostro rapporto personale con Dio Padre – Figlio – Spirito Santo in una conoscenza amorosa e disponibile per cui diventiamo trasparenti davanti ai nostri fratelli: come portatori delle ricchezze meravigliose della salvezza di Dio.
Prima di dirle con la bocca, le parole di Dio le dobbiamo dire con la nostra persona, le dobbiamo dire con quello che siamo nel più intimo di noi stessi: con Quelli con cui siamo a contatto. Preghiamo, perché lo Spirito Santo per intercessione di Maria apra l’intelligenza del nostro cuore alla comprensione delle cose grandi che il Signore ha fatto in noi.
In questa celebrazione ricordiamo i nostri fratelli ammalati: don Laerte di Marengo e don Ferrari di Boccadiganda e poi ci congratuliamo con questi altri fratelli di 60 anni di Messa, don Antonio (..).e Mons. Calciolari. Che il Signore allieti la loro giovinezza!
OM 647 Giovedì Santo 83
Mantova, 30 Aprile1983, S. Andrea, Giovedì santo, Concelebrazione