E’ il titolo di un libro che la Diocesi mantovana ha offerto al vescovo mons. Carlo Ferrari nel 50° anniversario della ordinazione sacerdotale.
Mettere insieme una raccolta di scritti e discorsi distesi in un ampio arco di tempo e specialmente quando alla radice sta una funzione celebrativa è sempre rischioso; si può ugualmente finire nel polpettone informe come nella retorica di una proposta incensatoria, apologetica, tutta di circostanza.
Mi pare che i curatori del volume «Il concilio e una chiesa» edito in queste settimane in Mantova, siano riusciti ad evitare entrambi i rischi e ad offrire una sintesi non spregevole sotto il profilo e la veste letteraria ed editoriale e significative per quanto attiene ai contenuto di un ministero durato oltre cinquant’anni e soprattutto dell’ultimo non breve periodo relativo a quasi vent’anni.
Il volume reca questo sottotitolo: «la diocesi mantovana al suo vescovo mons. Carlo Ferrari nel 50° anniversario della ordinazione sacerdotale». Evidentemente le manifestazioni e le espressioni di apprezzamento e di gratitudine per un lungo e singolare magistero non potevano mancare. «Mons. Ferrari è stato un dono del Signore alla chiesa mantovana, lo è stato con tutta la sua persona, con tutto lo spessore della sua umanità, con i carismi propri di natura e di grazia. Le esperienze più sentite e le emozioni più intense di questi diciotto anni di episcopato incideranno profondamente nell’animo dei protagonisti di eventi che decidono di una vita e che delineano un’epoca lungo il costante fluire del tempo» (mons. Scarduelli). «La scelta pastorale da lui fatta appare contrassegnata, qualcuno dice ridotta, a una insistente promozione di un cambio di mentalità; tale scelta ha imposto esigenze di freno agli impazienti e ha chiesto accelerazione ai pigri, e perciò appare incerta lacunosa, poco concludente, ma contiene orientamenti di fondo verso traguardi di profonda novità… Si può ritenere che mons. Ferrari abbia guardato lontano senza fretta, perché, come qualcuno ha detto, il Concilio è stato voluto da Dio più per “altri” che per noi» (mons. Mantovani).
Ma ciò che mi pare singolarmente apprezzabile è che da tutto il materiale intelligentemente scelto e coordinato emerge, anche se in modo necessariamente sintetico, un itinerario magisteriale e pastorale chiaro e coerente, come risulta abbastanza evidentemente anche soltanto dalla lettura dell’indice, che ci conduce attraverso fondamentali momenti:
Chiesa, Trinità, Eucaristia
Crescere nella Chiesa;
I’Eucarestia che ci fa Chiesa;
Evangelizzazione e promozione umana;
Rinnovare la catechesi; Con quale Chiesa;
La Chiesa nella società del benessere;
Chiesa povera e Serva.
Ci sono tutti gli stimoli delle settimane pastorali, che si sono sviluppate secondo un disegno strettamente collegato con gli approfondimenti del Concilio Vaticano II° e, in maniera sempre più accentuata, nella direzione degli ultimi; ci sono lettere, relazioni, meditazioni nelle quali ricorrono insieme i richiami ai principi e le applicazioni storiche nell’attuale e nella situazione locale.
Ci si sente l’attenzione alle difficoltà proprie di una comunità che non è di eroi e di santi, che inciampa nei propri limiti, ma ha pure un’ansia di santità e una disponibilità alla condivisione che appare come una garanzia di credibilità e una promessa di salvezza.
Una chiesa con tutti i suoi limiti e le sue speranze. «Proprio nel riferimento alla società del benessere, interna alla chiesa stessa, emerge l’urgenza di riproporre valori evangelici quali il senso di Dio, I’attenzione alla persona, la sobrietà e la solidarietà. Valori evangelici che fanno la chiesa povera e serva» (don Falchetti).
Tra i segni ricorrenti di comportamenti tanto familiari al costume di questo tempo, contrassegnato da egoistico individualismo, è certo la mancanza di riconoscenza. Il volume rimedia decisamente a tale costume e però, mentre esprime al Pastore che se ne va (per sua scelta, a motivo dell’età non ignorata e non irrilevante) il proprio filiale apprezzamento, offre ancora una volta la possibilità di attingere, con tutta la comodità che la parola scritta consente, alla ricchezza dell’insegnamento e alla originalità fedele dell’interpretazione operata in vent’anni dal Concilio.
Non so se a questo libro, di là dalla circostanza che l’ ha provocato, si possano apporre definizioni come erudizione, mediazione, pastorale, messaggio, testamento. So che accolto nell’umiltà della sua presenza e della sua proposta, non può risultare indifferente ed inefficace ne per gli spiriti semplici, superficiali ed acritici né per quanti s’impegnano rimettendosi ogni giorno in discussione ben oltre l’adempimento del precetto domenicale né per gli appartenenti alla chiesa «con riserva».
C’è nelle pagine il respiro di una spiritualità consolante e provocante, la testimonianza di «un’amicizia profondamente umana e ricca» che fa dire a don Bonora: «Così è il vescovo che mi piace». Eppure non abbiamo dimenticato dissensi denunciati da una pubblica polemica che, ingenerosa per non dire altro, ha recentemente attraversato diverse realtà della chiesa mantovana.
«Ha scelto spesso il silenzio attento e riguardoso, la pazienza fiduciosa, I’ascolto accogliente». È ciò che pervade le pagine lette e le rende salutari per quanti avranno la capacità di ripercorrerle senza prevenzione, come un ultimo dono.
Vi emerge «la spiritualità come stile di vita, evidentemente non solo come momento ispirativo interiore delle proprie azioni. La spiritualità «delle riconciliazioni» – o, più in concreto, il vivere riconciliati con se stessi, con gli altri, con la storia, a partire da Dio e dal Vangelo – (che) non è solo una venatura delle meditazioni, ma è il senso profondo di questi avvenimenti ecclesiali, ciò a partire da cui si qualifica l’efficacia della pastorale nella Chiesa» (don Faglioni).
Per essere «testimoni responsabili della parola» bisogna ricominciare da capo» ogni giorno, scegliendo di essere «resto».«seme», «lievito».
La nota bibliografica di don Regis disegna l’ordito, lo scenario; ma il messaggio raccolto dai curatori risulta intelligibile e coerente anche nella sua stessa ordinata giustapposizione.
Dante Bettoni
Stampa: “La Gazzetta di Mantova”, 30 Giugno 1985a