quando é subentrato Cesare De Agostini 1977
C’é da vedere la storia del giornale in questo momento, quando i giovanissimi costringono il vescovo a domandare le dimissioni di Mons. Giglili e subito dopo, alle prime difficoltà, si dimettono. Il vescovo, il 27-12-76, si rivolge a de Agostini, giornalista della Gazzetta di Mantova e ripone la sua fiducia in don Sefano Siliberti sempre denigrato dagli altri. Il discorso del vescovo, nella CT 13A è preceduto da una lezione. Non capisco di quale relatore. (SL)
Registro solo quello che dico io e non quello che dite voi, altrimenti vi metterei in imbarazzo.
E’ difficile avviare il motore specialmente quando si va a gas!
Questo incontro, che é stato sollecitato da voi e desiderato da me, mi dà l’opportunità di fare il punto sulla funzione del settimanale.
Io lo considero uno strumento del mio ministero di evangelizzatore.
Il mio primo compito nella Chiesa particolare é quello di annunziare il Vangelo. Tra i tanti strumenti di evangelizzazione, – evangelizzazione propriamente detta nell’azione liturgica, azione catechetica – ci sta oggi più che mai, il mezzo di comunicazione che abbiamo a nostra disposizione, cioè il settimanale, che quindi é chiamato a mettersi su questa linea precisa all’interno della Chiesa particolare, della Diocesi, per l’annuncio del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Questo é il punto di partenza, é la ragione di essere del giornale.
Il giornale o il settimanale non ha altri scopi, altri fini, altri interessi da raggiungere se non questo, ed é strumento di evangelizzazione molto importante, perché il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo lo traduce nel linguaggio più semplice, più vario, più concreto, per tutte le situazioni della esistenza della nostra Chiesa e quindi dei nostri credenti.
Oggi é molto sentita questa esigenza: che il Vangelo non sia un fatto privatistico, intimistico e che riguarda unicamente la vita eterna, ma che sia, invece, una vita che si vive da parte dei cristiani e che ha una sua espressione in tutte le situazioni di vita.
Il Giornale, più che ogni altro mezzo che abbiamo a disposizione noi – ci sarebbe la radio, ci sarebbe la televisione – ha questa possibilità di mantenersi da un parte agganciato alle sorgenti del Vangelo e dall’altra parte di raggiungere le persone là dove si trovano, con tutti i loro interessi. Perciò non deve mai perdere questa caratteristica e questa funzione.
Voi capite molto bene come, ogni ambito della vita della Chiesa propriamente detta -tanto per intenderci- e ogni ambito della esistenza umana, deve avere il suo riflesso e deve avere la sua risposta o deve- per lo meno- vedere riportata la propria problematica nel giornale.
Non dimentichiamo che é un giornale della Chiesa particolare.
La Chiesa particolare, però va bene intesa.
E’ la Diocesi, ma la Diocesi non é concepibile e non esisterebbe se non fosse in comunione con tutte le Diocesi del mondo e in particolare con la Diocesi a cui presiede il successore dei Pietro. E Quindi, quando si dice Chiesa particolare, si dice Chiesa in comunione, e quindi quando si dice: la problematica della Chiesa particolare e del mondo che abbraccia questa Chiesa, si intendono tutte le chiese: si intende la Chiesa del successore di Pietro e si intende tutto il mondo con i suoi problemi.
Indubbiamente in questo modo l’orizzonte é vasto. Può sembrare troppo vasto, ma pure se non c’é questo alito di comunione, se non é riportato questo senso di comunione con tutte le chiese e con tutto il mondo, non é un giornale cattolico. Rimarrebbe o rischierebbe di diventare un bollettino parrocchiale all’ombra di un campanile, mentre invece deve spaziare in tutto l’orizzonte che sta dinnanzi all’attenzione nostra.
Anzi, deve essere proprio quello strumento che ci rende sensibili, attenti alla vita della nostra Chiesa inserita nella vita di tutte le chiese e della Chiesa universale, quindi che ci rende sensibili e partecipi dei problemi della nostra Diocesi e dei problemi di tutte le Diocesi e di tutto il mondo.
Soltanto questa sensibilità ispirata dal Vangelo lo rende valido, perché lo pone come espressione di quella sensibilità che nasce nientemeno che da Nostro Signore Gesù Cristo, che é venuto per la salvezza di tutto il mondo.
Voi capite allora che, quando concepite il giornale, lo concepite con una visione e con uno spirito tutto particolare, che non é quello del giornale qualsiasi. Ripeto, deve mettere in evidenza, deve ispirarsi ai valori del Vangelo, deve avere dinnanzi a sé la problematica di tutti.
Ma questo non basta.
Passo ad un secondo punto, che mi pare importante, ed é proprio la vostra presenza, il vostro impegno, la vostra fatica, la vostra dedizione nel costruirlo questo giornale settimana per settimana, che, se parte come strumento di una Chiesa che é essenzialmente una comunione di persone, tra di voi ci deve essere questa comunione fatta di amicizia, fatta di rispetto, fatta di collaborazione.
Qui, non é che io vi voglia fare il “predichino”, ma é un elemento che dovete tenere presente perché, se non é espressione di una comunione di persone che lavorano insieme, in una intesa che parte da una unica ispirazione, da una unica motivazione, poi quello che potrebbe mancare, si riflette inevitabilmente anche nel giornale stesso, perché é opera delle vostre mani, quindi ci lasciate le impronte – é inutile star lì- impronte delle vostre personalità, delle vostre capacità, delle vostre doti e soprattutto l’impronta dello spirito da cui siete animati e da quella unità interiore -cioè all’interno di voi, del vostro gruppo- che deve qualificarvi.
Questo mi pare che sia l’ambiente da cui deve nascere il giornale.
Io so di parlare davanti a De Agostini, il quale lavora in un giornale e suppongo che lui faccia il raffronto tra quel giornale e questo giornale e che ci trovi una notevole differenza proprio a questo riguardo.
Intorno a te ( rivolto a De Agostini) hai degli amici e delle persone con le quali ti puoi liberamente confidare, alle quali puoi manifestare i tuoi pensieri perché non vai per una tua strada, ma vai in loro compagnia, prendendoli per mano e aiutandoli nel mestiere.
Perché ci sia questa comunione -non vi paia il mio un discorso troppo astratto – é indispensabile che la collaborazione sia vera collaborazione, cioè, che ognuno faccia la propria parte ma che tutti facciano, insieme, tutto il giornale. Non so come esprimere questo pensiero. Il Giornale non deve essere fatto a compartimenti stagni per cui uno per esempio che curasse una rubrica, quella del ragioniere – per esempio – ignori tutto il resto. Va bene che lui (si rivolge a Bollini) é un corrispondente, manda il suo pezzo e basta.
Ma soprattutto, quelli che lavorano a farlo nascere, a fare uscire da quel buco il giornale, devono ognuno avere la propria parte, compiere la propria parte ma non isolati dagli altri, devono farlo anche questo, in comunione con tutti, così che tutti sappiano tutto del giornale.
Questo mi pare importante proprio perché la comunione è: non un insieme di persone che stanno lì in qualche modo, ma é partecipazione di ogni persona ad un unico problema, ad un unico fatto, ad un unico lavoro.
E questo deve realizzarsi nel modo più leale, più cordiale, più amichevole che sia possibile, in modo che tutti si sentano a proprio agio e tutti sentano il giornale come qualche cosa che nasce dalle loro mani, altrimenti si rischia – la espressione può sembrare troppo forte, ma noi abbiamo una storia del nostro giornale, una storia alla quale dobbiamo un grande rispetto perché é fatta soprattutto di sacrificio e di abnegazione, di nascondimento, che le persone hanno pagato e hanno pagato anche a caro prezzo- ma la situazione attuale del giornale non deve rischiare di essere un lavoro a catena. Cioè che, ognuno mette il proprio pezzo e non sa niente di tutto il resto.
Questo non é che tutti debbano mettere tutti i pezzi, – allora sarebbe un lavoro estremamente artigianale- ma non siamo neppure in una azienda. Siete in un ambito di alcune persone, di poche persone, un ambito quindi ristretto ed é bene che ognuno faccia il proprio lavoro, ma sia partecipe del lavoro di tutti.
E anche per un altra ragione: ognuno sia in grado di coprire il lavoro dell’altro quando venisse a mancare. Proprio perché siete in pochi, da una settimana all’altra uno può non stare bene, avere una necessità di allontanarsi, ecc. quindi se tutti sanno, in certo qual modo, fare il giornale, questo é un vantaggio. Ed é merito del direttore, essere direttore e nello stesso tempo saper dare a ciascheduno quella fiducia che De Agostini dà, ma che deve concretizzarsi in modo più concreto che sia possibile.
Poi altri pensieri sempre che riguardano la natura del giornale.
Il giornale é uno strumento. Le persone, invece, non possono mai essere degli strumenti, quindi anche nella edificazione del giornale, nessuno deve mai essere strumentalizzato. Tutti devono essere soggetti e devono – questo strumento – renderlo atto per altri soggetti che sono i lettori, quindi tenere conto dei nostri lettori: il rispetto per i nostri lettori.
Il rispetto per i nostri lettori come si esprime?
Io direi che, il primo rispetto che si ha per i lettori é che il giornale sia intelligibile, sia un mezzo veramente di comunicazione per chi lo legge, per il pubblico normale dei lettori e che non sono né gli intellettuali né gli analfabeti, ma non direi neppure il ceto medio, é l’uomo della strada, per dire concretamente, sono gli uomini dei nostri paesi che più o meno sanno leggere.
Arrivano più o meno a leggere, quindi il nostro giornale deve avere questa caratteristica di rispettare, perché se é un giornale che, senza banalizzare e senza diventare una cosa povera sia di espressione come di contenuto, é fatto con intelligenza ed é reso intelleggibile, é un modo di rispettare le persone, altrimenti, se ci sono pezzi, magari come quelli che fa il vescovo qualche volta e che sono contorti o troppo elevati, si manca di rispetto ai lettori e quindi non é più lo strumento adatto che deve essere invece il nostro giornale.
Poi deve essere un giornale quanto più possibile in dialogo con i lettori, non semplicemente attraverso la lettera al direttore che é una bella rubrica che va curata con molta attenzione, ma che ci sia la possibilità di un riverbero, di un ritorno della parola che si dice in manifestazioni varie. E credo che la manifestazione più valida dovrebbe essere la diffusione del giornale.
Uno che legge il giornale, lo capisce, rimane contento per i contenuti che ci trova e per la forma con cui si presenta, indubbiamente ne parlerà con qualcuno, lo diffonderà. Quello della diffusione del giornale mi pare che sia il problema perchè se non aumenta la diffusione del giornale noi camminiamo molto in difficoltà, nonostante la presenza del ragioniere.
Io ho detto quelle cose che mi importava di dire per dare una impostazione che sia veramente cattolica, diocesana al nostro giornale, per dire l’ambito in cui deve operare, come dovete operare, con quale spirito dovete operare.
dopo l’intervento del vescovo continua una lezione di altro giornalista
l’uffico del giornale era una stanza vecchia e umida della attulae via Rubens
il ragioniere del momento era Adolfo Bollini
CT 13A Giornale 77 pag. PAGE 1