Settimana di Aggiornamento pastorale
“Famiglia e comunità locale per l’iniziazione cristiana: battesimo e cresima”
Relazione conclusiva della “Settimana” 1973
Mons. Carlo Ferrari
Al termine di una settimana di studio siamo portati a fare il tentativo di raccogliere le principali idee emerse per tradurle in linee operative. Io esprimo il desiderio che la nostra Settimana diventi nella nostra coscienza e nei nostri apprezzamenti ciò che essa tende sempre più a essere nella realtà: un momento di vita di chiesa, in cui prevale, come altre volte ho sottolineato, il valore dell’incontro, della vicendevole conoscenza, dello stare insieme, del comune ascolto, del dialogo e della preghiera.
A questa condizione mi pare legittimo che sulle idee prevalgano i sentimenti, le emozioni, i ricordi, la nostalgia; ne usciremo, se volete, più istruiti, ma soprattutto più umani, premessa indispensabile per essere più cristiani, se Paolo può definire i pagani « gente senza affetti » (Rm 1,31).
Perciò intendete il mio invito, a questo punto, a sciogliere i vostri sentimenti: liberatevi da una malintesa austerità virile, lasciate che il vostro cuore si commuova perché il Signore è stato in mezzo a noi, perché in noi c’è il suo Spirito,
perché per noi non c’è più motivo di condanna,
perché siamo creature di grazia, nuove, figli di Dio,
perché la nostra speranza si affida alla straordinaria potenza di Colui che col suo Cristo risuscita anche noi e ci fa sedere nella speranza che non delude, nelle sedi celesti, insieme a una turba sterminata, ma non anonima, che sono i nostri fratelli; perché questi fratelli che ci hanno preceduto nel regno della fede sono in attuale comunione con noi nella carità maturata, carica di comprensione, di benignità, di sollecitudine, di premure, così come reclama il nostro cuore e così come reclama il cuore di ogni nostro fratello da ognuno di noi, secondo le precise esigenze della nostra vocazione, dal momento che unico è il Padre di tutti, che è sopra di tutti e opera in tutti (Ef 4,1-6).
A questo fondamentale sentimento di gioia, uniamo quello della riconoscenza per ciò che Dio è sempre per noi e per ciò che è stato in questi giorni; grati ai nostri fratelli che ci han fatto dono della loro presenza cristiana.
E ora ecco ciò che mi sembra di dovervi dire a conclusione dei lavori della Settimana. Io accentuo una finalità che era insita nel programma di lavoro: una riflessione sui contenuti delle Settimane precedenti e una verifica delle iniziative che ne sono maturate.
Io penso che nessuno si sorprenderà se identifico l’impegno più decisivo da cui dipendono le sorti della nostra pastorale in un duplice dovere di conversione: una conversione ecclesiale e una personale.
Mi spiego. Quando parlo di conversione ecclesiale non intendo una conversione delle nostre comunità, il cambiamento della loro strutturazione o altro. Penso che dobbiamo acquisire una mentalità ecclesiale la quale concepisce il mistero della chiesa, il sacramento della chiesa, la missione della chiesa, ecc., come unico luogo, tempo e strumento di salvezza e quindi di azione pastorale.
A parte che l’azione di salvezza la compie solo Dio e la compie secondo il beneplacito della sua volontà che equivale al progetto della chiesa, solo la chiesa è mediatrice mediata di salvezza e Cristo ha posto solo e unicamente la chiesa sulla continuità della propria missione di Salvatore.
Non esiste una privatizzazione della salvezza, e dell’azione di salvezza. Qualsiasi comunione di vita divina, qualunque grazia, qualunque dono di vita cristiana si riceve e si trasmette nella chiesa e per mezzo della chiesa.
In questi rilievi permettete che mi rifaccia a ciò che accade sotto i nostri occhi. Se soltanto un prete, degli oltre trecento che ne conta la nostra diocesi, non avesse partecipato senza un motivo di vera impossibilità alla nostra Settimana, io non esito ad affermare che costui
– non ha ancora scoperto e capito il Piano di Dio,
– non è ancora persuaso che la salvezza la compie Dio, per Cristo, nello Spirito, ma nella sua chiesa, unica famiglia dei figli di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito;
– non ha ancora capito che il suo ministero è un ministero della chiesa, il quale salva le anime in quanto è immerso, innestato nella chiesa;
– non ha ancora capito che il suo presbiterato è una partecipazione al sacerdozio di Cristo in quanto costituisce una unità inscindibile nella comunione ecclesiale, di natura sacramentale e quindi tale da potersi constatare, con tutti i presbiteri che si raccolgono intorno al Vescovo.
Così tutta l’attività che riguarda la evangelizzazione, in tutte le sue espressioni, se non è unitaria nel senso di svolgersi secondo contenuti e scelte e modalità e impegni che siano stati concordati comunitariamente insieme al Vescovo, rischia fortemente di perdere della sua efficacia.
Se ogni attività di ministero non è finalizzata alla preoccupazione di edificare secondo il piano della ricapitolazione, secondo l’esigenza dell’unità nell’amore, cioè in un senso ecclesiale, si lavora fuori del Piano di Dio e della potenza della sua grazia. In pastorale non si può accettare che un’azione sia semplicemente valida, deve essere pienamente corrispondente alle esigenze di un Amore infinito che, la sua grazia la vuole donare in sovrabbondanza.
Convertirci ecclesialmente significa ancora, tra l’altro, riconoscere, rispettare, valorizzare tutti i ministeri e tutti i carismi; per esempio, rimarrà soltanto un’azione di supplenza una educazione dei figli che non valorizzi al massimo il ministero e il carisma specifico dei genitori
Ai religiosi e alle religiose dico di non defraudare le comunità in cui vivono e operano del loro carisma; voi che siete segno della perfezione della carità e dei beni futuri non state ai margini delle comunità locali; immergetevi in esse come lievito; non privatizzate i vostri atti comunitari; ricordate che la comunione di carità che celebrate alla mensa della Parola e del Corpo di Cristo vi unisce ai fedeli della comunità locale molto più realmente e profondamente di quanto la vostra professione religiosa vi unisce tra di voi; che prima di appartenere all’Istituto appartenete alla chiesa, anzi a questa chiesa, unica realizzazione concreta di quella universale.
Ai laici presenti dico un grazie di cuore, per la loro presenza rilevante e soprattutto per il contributo dato con tanta generosità e intelligenza specialmente al lavori di gruppo e perché ci aiutate a convertirci ecclesialmente.
Una parola ora sulla nostra conversione personale; non la intendo nè in senso moralistico nè in senso perfezionistico.
Diamo il loro giusto significato alle parole: la nostra conversione deve essere mistica, difatti ci fa attingere alla vita stessa di Cristo risorto per l’azione dello Spirito Santo.
Convertiamoci allo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo abita in noi. Lo Spirito Santo ci introduce progressivamente nella conoscenza « possessiva» di tutto il mistero della vita di Dio, dei suoi rapporti con noi, con i fratelli, con il creato: diventiamo coscienti di vivere e di muoverci in un mondo chiamato alla comunione della gloria dei figli di Dio.
Ieri dicevo della testimonianza dello Spirito Santo. Quel supporto su cui ha bisogno di poggiare la nostra persona, quel senso di cui ha bisogno la nostra esistenza per essere vissuta, quel bisogno di emergere da tutti i condizionamenti, quella gioia che reclama ogni cellula della nostra persona ci sono garantiti dallo Spirito Santo, sigillo, caparra, primizia di ogni dono perfetto.
ST 252 Conversione 73 – stampa,Rivista diocesana n. 1-2 -1974
Gli atti della settimana sono su CD 1973_SETTIMANA