perché lo possiamo esercitare nella Chiesa
secondo il disegno del Padre
Ciò che conta per il nostro ritiro è prendere coscienza della presenza in mezzo a noi di nostro Signore Gesù Cristo al quale noi dobbiamo essere conformati. Teniamo presente il senso del suo ministero trascendente ed incarnato e domandiamo la grazia che, per mezzo del suo Spirito, ci introduca nella conoscenza del senso del suo ministero, perché lo possiamo esprimere ed esercitare nella Chiesa secondo il disegno del Padre.
Non è necessario insistere per ammettere che esiste la Chiesa in mezzo a noi quindi nella nostra persona. Se siamo sensibili, se avvertiamo la vita che si vive oggi, esiste una crisi non soltanto nella persona del sacerdote, ma anche una crisi del senso del ministero. E’ più una crisi teologica che una crisi di fede.
Cerco di farmi capire: è la teologia che non ha svolto ancora a fondo il suo compito per chiarire il senso del ministero sacerdotale. Poi ci può essere una crisi di fede ma questo è un fatto personale. Nella Chiesa c’è questa fede nel ministero sacerdotale. La crisi del ministero nel senso che abbiamo detto, deriva da un’altra crisi più vasta, deriva dalla crisi dell’identità della Chiesa.
Noi abbiamo sentito parlare e abbiamo parlato anche noi della crisi di identità del ministero sacerdotale. C’è una crisi dell’identità della Chiesa, nel senso che si possono avere diversi concetti della Chiesa, che si può pensare alla Chiesa come istituzione o realtà a cui si attribuiscono degli scopi che non sono intrinseci alla sua natura, e perciò in quanto ci si allontana dal concetto esatto dell’identità della Chiesa si sfigura anche la nostra identità. E, poiché noi siamo radicati nella realtà della Chiesa, nel mistero della Chiesa, se non abbiamo presente bene l’identità della Chiesa, difficilmente potremo avere chiara l’identità del nostro ministero.
L’identità della Chiesa, ciò che è specifico della Chiesa, il suo scopo e quindi la sua essenza, il motivo per cui nostro Signore Gesù Cristo dopo aver compiuto l’opera che gli ha affidato il Padre, dona ai dodici lo Spirito, è perché attraverso il loro ministero l’opera che il Padre gli ha dato da compiere, possa arrivare a compimento. Ora, la missione di nostro Signore Gesù Cristo è eminentemente escatologica, riguarda il fine ultimo, la destinazione ultima dell’uomo.
Gesù Cristo è venuto per essere la nostra riconciliazione col Padre e la nostra riconciliazione con i fratelli; Gesù Cristo è venuto a salvare ciò che era perduto; Gesù Cristo è venuto a fare degli uomini dei figli di Dio perché questa è “la volontà del Padre”; Gesù Cristo è venuto a portare definitivamente il suo Spirito e lo Spirito del Padre agli uomini perché, diventando figli di Dio e avendo coscienza di essere figli di Dio, da figli proclamino le meraviglie di Dio in mezzo al mondo e in mezzo ai fratelli e abbiano a testimoniare l’azione dell’amore di Dio in mezzo agli uomini e anche in mezzo a tutta la creazione, e camminino, come debbono camminare i figli di Dio, verso la casa del Padre. Quindi la missione di nostro Signore Gesù Cristo è una missione eminentemente escatologica. San Basilio definiva la vita cristiana come “un salire verso la casa del Padre”.
La missione che a sua volta nostro Signore Gesù Cristo affida alla sua Chiesa è la stessa. La missione che lo Spirito Santo porta avanti nella realtà della Chiesa, nel corpo che è la Chiesa, quasi come l’anima di questo Corpo che è la Chiesa, è la stessa missione di nostro Signore Gesù Cristo, quindi è una missione decisamente escatologica. Noi dobbiamo entrare nel pensiero, nella volontà nel disegno di Dio e convincerci che questa è l’identità della missione della Chiesa. Nella Chiesa c’è nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio promotore della nuova alleanza che avrà il suo compimento alla fine dei tempi, alla parusia.
Nella Chiesa continua l’annuncio del mistero della salvezza. Nella Chiesa è vivo, vivente, Gesù Cristo maestro, testimone fedele, Salvatore. Salvatore perché l’umanità, gli uomini hanno bisogno di essere salvati. Hanno bisogno di essere salvati in un senso molto più profondo e radicale rispetto alla salvezza comunemente concepita in tutte le ideologie presenti, attuali e operanti nel mondo. Gesù Cristo compie nella sua Chiesa, per mezzo della sua Chiesa, con la sua Chiesa, la liberazione dall’abisso del peccato.
E’ una realtà quella del peccato verso la quale il mondo è più o meno aperto, anzi si potrebbe dire chiuso, perché non vede tanto una necessità di liberare dal peccato quanto una necessità di liberare da qualche cosa non ancora realizzata. Gesù Cristo ci libera dall’abisso del peccato e ci introduce nella comunione di vita con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo. Questa è la mèta: la comunione di vita con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo.
La missione della Chiesa è identica a quella di nostro Signore Gesù Cristo. La Chiesa raggiunge la pienezza di questa sua azione, il vertice più alto di questa sua azione con la celebrazione della eucaristia, con la celebrazione della Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo che è l’ultima sua parola, la parola più piena, più completa, più efficace, più significativa. Affermando con insistenza questa identità della missione della Chiesa con quella di nostro Signore Gesù Cristo, non bisogna sottovalutare ciò che la Chiesa compie anche per la liberazione dell’uomo nell’ordine temporale, ma sempre in termini di conseguenza. E, questa conseguenza è opera di Chiesa e porta con sé lo stesso ministero della stessa operante Chiesa.
Ciò che si compie nella Chiesa é di natura invisibile, non si vede, non si costata almeno immediatamente, non è un’azione, che debba essere definita dalla sua efficienza, ma deve essere definita soprattutto dalla sua autenticità. Se la Chiesa fa quello che deve fare, come Chiesa, aiuta anche gli uomini nell’ordine temporale però, non è detto che i frutti si debbano constatare immediatamente, visibilmente. Dopo tutto, la Chiesa opera, anche quando aiuta l’uomo a risolvere i suoi problemi contingenti, per il Regno dei cieli, la cui altezza è al di là di tutte le prospettive umane. Non c’è un rapporto diretto, necessario come tra causa ed effetto, tra la costruzione del Regno dei cieli che è sempre misteriosa e nascosta e un progresso secondo la giustizia, secondo l’ordine delle vicende umane.
Non solo, ma l’uomo che ha bisogno di salvezza, ha bisogno di essere raggiunto a tali profondità alle quali nessuna scienza umana né la psicologia né la sociologia può arrivare, perché l’uomo in se stesso è mistero per la sua vocazione al Regno dei cieli. Allora c’è qualche cosa di molto più profondo, di molto più radicale, quindi la liberazione non sarà mai pienamente umana, se non nella misura in cui gli uomini arriveranno ad entrare in tutto il mistero della salvezza operata e offerta da nostro Signore Gesù Cristo.
La Chiesa non è indifferente a ciò che accade nel mondo. La Chiesa non è assente nelle situazioni di ingiustizia, di conflitto del mondo. La Chiesa proclama il suo Vangelo, ma è chiamata a compiere un’opera che tutti gli altri non possono compiere.
Non è detto che, quando anche esistesse utopisticamente una giustizia sociale, la Chiesa abbia esaurito il suo compito di proclamare la giustizia. Quando anche ci fosse una pace tra le nazioni, quella pace, che è Cristo, non ha ancora raggiunto per niente il suo compimento. E’ molto di più, è infinitamente di più ciò di cui la Chiesa è responsabile di fronte a Dio e di fronte agli uomini quindi, guai a ridurre – e c’è la tentazione – le esigenze, le necessità materiali al compito della Chiesa, guai a ridurle nel senso di impegnarla in qualche cosa d’altro, in cui deve pur essere impegnata, ma solo in conseguenza del suo impegno, che è molto più profondo.
Da una certa visione della identità della Chiesa possiamo dedurre un concetto più chiaro della identità del ministero sacerdotale.
Qui c’é una certa storia da tenere presente. Ieri sera abbiamo rilevato come, specialmente gli evangelisti, descrivono il ministero sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo in termini costitutivi essenziali, in modo eminentemente esistenziali, personali. E’ nella sua persona che Gesù Cristo vive ed esplica il suo ministero. Il suo ministero è una conseguenza del suo essere, è una conseguenza della sua vita che è comunione con il Padre e comunione con gli uomini, che è il dono che egli fa di se stesso agli uomini. Quindi Gesù Cristo dà compimento alle figure dell’Antico Testamento, ma le sorpassa infinitamente e le sconvolge, in certo qual senso, costituisce una rottura rispetto alle categorie sacerdotali dell’Antico Testamento. La lettera agli Ebrei chiarisce tutto questo.
Si dice che la Chiesa primitiva abbia usato un linguaggio niente affatto sacerdotale per due motivi: primo, per segnare il distacco dall’Antico Testamento, secondo, per non cadere nelle categorie del sacerdozio pagano. Subito dopo, con i primi Padri della Chiesa, per ragioni contingenti, per difendere il ministero sacro, per trovarvi una giustificazione di fronte alle istituzioni civili oppure per esigere dai fedeli un determinato rispetto (S. Girolamo, S. Isidoro) si è incominciato ad applicare le categorie vetero -testamentarie ai diversi gradi del ministero sacerdotale e si è perduto qualche cosa della originalità del ministero sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo.
Si è affievolita questa originalità specialmente nella chiesa latina. Le varie vicende storiche hanno contribuito a concepire il ministero sacerdotale più nel senso di un potere sia pure sacro, che nel senso di una grazia che deriva da un’azione sacramentale, di una consacrazione che deriva dall’ordine sacro. Si è incominciato a dissociare il ministero sacerdotale dall’impegno pastorale e arriviamo al Medioevo quando i chierici diventano depositari della cultura, e formano una casta nella società, hanno grandi privilegi specialmente di ordine materiale.
E il sacerdozio o il ministero sacerdotale si riduce alla celebrazione del culto, specialmente la celebrazione della Messa, Si moltiplicano le cappelle gentilizie e non; e si moltiplicano i preti per dire Messa, preti senza l’obbligo di predicare e della cura delle anime. Questo stato di cose si è protratto fino ai tempi nostri. Posso ricordare come in provincia di Bari, di Palermo, eccetera, ci fossero ancora parecchi di questi vecchi sacerdoti che dicevano la “loro” Messa – può darsi che ce ne sia ancora qualcheduno anche a Mantova – che non pensavano neppure lontanamente, come titolari di benefici, che dovessero per questo annunciare il Vangelo ed essere pastori di una determinata porzione di gregge.
Quindi il beneficio di cui si diventava titolari, del quale si ricevevano i frutti anche indipendentemente (questo tocca specialmente i Vescovi) dalla residenza. Tutto questo ha dato motivo alla reazione di Lutero ed era una reazione giustificata; solo che è andata oltre. Il concilio di Trento reagisce alla reazione di Lutero, dei protestanti e dei riformatori che negavano l’ordine sacro, come sacramento. Allora il Concilio conferma l’istituzione, la natura, quindi l’esistenza dell’ordine sacro come sacramento e, qui nasce il problema: mentre prende alcune decisioni disciplinari che riguardano la catechesi, la residenza – quindi i vescovi devono stare nella loro diocesi, i parroci devono stare nella loro parrocchia -, il concilio di Trento non approfondisce il senso del ministero sacerdotale, non ci dà una teologia del ministero sacerdotale.
Dobbiamo arrivare ai tempi nostri. Ho già detto che questi fenomeni si verificano in un modo più o meno evidente e le conseguenze di questi fenomeni, si possono raccogliere fino ai tempi nostri. Il concilio Vaticano II, invece, in una condizione di molta maggiore chiarezza, per un precedente lavoro biblico, liturgico, teologico, ha potuto stabilire con maggiore armonia i diversi aspetti del ministero sacerdotale, prima di tutto con la chiarezza con cui decisamente ha definito la consacrazione episcopale e conseguentemente la consacrazione presbiterale. E ha detto in un modo esplicito che la consacrazione dell’ordine sacro comporta non soltanto la grazia dell’ufficio di santificare, ma anche la grazia dell’ufficio di insegnare e di governare. Quindi il triplice “munus” deriva da un unico sacramento. Adesso la questione, per arrivare alla identità del ministero sacro e quindi alla nostra identità, è provare davvero una giusta armonizzazione dei tre “munus”.
Se si guarda di primo acchito, tanto la Lumen Gentium – a proposito degli impegni dei Vescovi – che la Presbyterorum Ordinis – a proposito degli impegni dei sacerdoti -, si potrebbe nutrire la impressione che la predicazione sia al primo posto, abbia una prevalenza sugli altri uffici che derivano dal ministero. Ne può nascere, come ne è nata di fatto nella letteratura postconciliare, una opposizione tra il munus docendi e il munus sanctificandi, tra la funzione evangelizzatrice e la funzione cultuale. Non c’è nessuna opposizione.
Il Sacrosanctum Concilium al n.20 e il Presbyterorum Ordinis al n. 5 presentano invece la celebrazione eucaristica come la sorgente e l’apice di tutta la santificazione, di tutta l’azione della Chiesa, di tutta la predicazione e conseguentemente, anche se non è detto in modo esplicito, di tutto l’ordinamento del senso della vita spirituale e quindi di tutto il governo.
La sorgente è la grazia di nostro Signore Gesù Cristo che scaturisce dalla sua Passione e Morte e Risurrezione. L’apice è l’unità che tutti dobbiamo costituire in Cristo dal momento che mangiamo di un solo pane, siamo animati da un solo Spirito e abbiamo un unico Padre perché, scopo del ministero, scopo della missione di nostro Signore Gesù Cristo è quello di fare un solo ovile sotto un solo pastore, di fare un solo corpo con un solo Capo, un solo tempio dello Spirito.
Allora è chiaro che il ministero sacerdotale non si può definire unicamente dai suoi poteri liturgici, perchè il sacerdote è colui che deve portare avanti l’evangelizzazione o l’annuncio del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, ma portarlo fino all’ultimo termine: “Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit”. Quindi l’evangelizzazione deve arrivare fino ai sacramenti. Il sacerdote è colui che, in comunione con i propri fratelli nel ministero sacro e in comunione con il Vescovo, ha il potere di donare la grazia per costituire l’unità in mezzo al popolo di Dio. Di questo potere è anche espressione, segno, proprio per la sua comunione con i fratelli e con il Vescovo.
Gesù è venuto per portare il perdono dei peccati, la conversione e non può il sacerdote non impegnarsi in questo settore del suo ministero. Chi è che perdona i peccati? E’ Dio, ma Dio questo potere lo ha dato a nostro Signore Gesù Cristo, e nostro Signore Gesù Cristo lo ha dato alla sua Chiesa, e la Chiesa questo potere lo esercita compiutamente, definitivamente, con sicurezza attraverso il ministero sacerdotale. Se il sacerdote non è impegnato nella sua responsabilità, con la totalità del ministero sacro, rischia di ritornare ad una concezione di un sacerdozio levitico, mentre il suo é un sacerdozio cristico o cristiano é un sacerdozio riferito al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
Chi non esercita il ministero sacerdotale nella azione sacramentale, poco per volta perderà la percezione di essere ancora impegnato in un ministero sacro. Ripeto ancora. Bisogna trovare una armonia. Non bisogna mettersi nella alternativa: Parola oppure Eucarestia. L’Eucarestia è Parola e la Parola è già Eucaristia. Si tratta di diversi gradi di identità e di intensità.
Il ministero sacerdotale deve essere concepito come un servizio, che ha la potenza attiva e attuale di Dio e una finalità escatologica; è un servizio alla Parola di Dio che, concretamente è Gesù Cristo morto e risuscitato; perciò è un servizio alla sua Pasqua che ha come espressioni, sia pure forse a titolo diverso, l’annuncio del messaggio evangelico, i gesti sacramentali, i gesti pastorali, nel senso del pastore che guida verso l’unità.
Allora. Il ministero sacerdotale è una funzione o è un carisma? Dobbiamo ritenere che è una funzione, ma non nel senso dell’espletamento di determinati gesti o di determinate attività, non sufficientemente inglobati in un unico gesto che é il gesto della salvezza compiuta da nostro Signore Gesù Cristo che continua nella sua persona e la coinvolge. La funzione deve essere concepita come una consacrazione, ma non come la consacrazione di una cosa. Il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, il ministero sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo che si identifica con la sua persona è un fatto personale, prende tutta la persona, in certo qual senso costituisce tutta la persona di nostro Signore Gesù Cristo. Così è per il ministro sacro. La sua consacrazione diventa costitutiva della sua persona, quindi dà il senso fondamentale alla sua esistenza, ai suoi compiti in particolare l’annuncio della Parola e la celebrazione della Eucarestia.
Perciò ne viene di conseguenza che, se la sua persona e la sua attività da questa consacrazione particolare tutta la sua vita, tutta la sua attività le deve concepire in questo senso. E ritorniamo a nostro Signore Gesù Cristo che è sacerdote perché è in piena comunione con il Padre, è sacerdote perché è in piena comunione con i fratelli, è sacerdote perché offre i doni di Dio ai fratelli e mette i fratelli in condizione di vivere da figli di Dio.
E’ un programma di vita questo? No? E’ un fatto che polarizza, riempie tutta una esistenza: il mantenersi in comunione con Dio, il mantenersi in comunione con i fratelli, il sentire la responsabilità di essere il depositario dei doni di Dio e di essere il pastore che deve camminare dinanzi ai suoi fratelli nel cammino del ritorno verso il Padre.
Quindi ne derivano: la preghiera, l’unione con Dio, di cui la preghiera è mezzo per raggiungere la contemplazione, la carità, lo spirito di dedizione, il rinnegamento di se stesso, il servo di Yavhè, il pastore che dona la propria vita per le proprie pecorelle, il senso dello stupore, della meraviglia dinanzi ai doni che Dio ha preparato per gli uomini, la responsabilità di essere in mezzo ai propri fratelli come colui che scopre la via giusta per camminare da uomini e per camminare da figli di Dio.
Mi pare che siano grandi cose, grandi responsabilità. Ed una persona impegnata in grandi responsabilità non può essere una persona diminuita, frustrata, eccetera.
OM 399 sacerdoti 71 – S.Teresa, Novembre 1971.