per dare a noi
la possibilità di convertirci a Lui
La chiesa é una comunità nella quale ognuno é peccatore ma dove, tutti insieme uniti nella carità di nostro Signore Gesù Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, diventiamo il mezzo, lo strumento vivo, attraverso il quale Gesù Cristo vivente nella chiesa, diventa la nostra misericordia, la nostra conversione, la nostra penitenza.
Paolo ai filippesi: abbiate in voi quel medesimo sentimento che fu in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non stimò una rapina l’essere alla pari con Dio, ma annientò se stesso, prendendo forma di schiavo, divenuto simile agli uomini; e, ritrovato nel sembiante come uomo, umiliò se stesso, divenuto ubbidiente fino a morte, anzi a morte di croce. Per questo anche Iddio lo esaltò e gli donò il Nome che é sopra ogni nome, affinché nel Nome di Gesù Cristo si pieghi ogni ginocchio delle creature ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo é il Signore, a gloria di Dio Padre. ( Filip. 2, 5-11 traduzione di Fulvio Nardoni).
Abbiamo invocato lo Spirito Santo e l’assistenza materna di Maria Santissima per essere introdotti nella conoscenza cristiana, soprannaturale del tema della conversione e della penitenza, cioè, di quelle disposizioni che devono caratterizzare la vita cristiana perché sia autentica vita cristiana, ossia, possa realizzare la vocazione di figli di Dio, che é corrispondere all’amore paterno di Dio.
Se, la conversione e la penitenza sono condizioni indispensabili perché si attui in noi il piano di Dio, data la nostra situazione di peccato, é naturale ritrovarle continuamente e sentirle continuamente richiamate durante tutto il tempo della storia della salvezza, in tutti i documenti della Rivelazione e durante tutto il tempo della vita della chiesa.
E’ impressionante fermarsi a riflettere sul modo con cui Dio si rivolge all’uomo. E’ Lui che si converte a noi per dare a noi la possibilità di convertirci a Lui. E’ Lui che diventa come noi perché noi possiamo diventare come Lui. Paolo esprime questo pensiero con le parole, che noi chiediamo allo Spirito Santo di chiarire al nostro spirito, ” noi dunque siamo ambasciatori da parte di Cristo in modo che Dio stesso esorta per mezzo nostro. Vi supplichiamo in Nome di Cristo: riconciliatevi con Dio! Colui che non conobbe il peccato, Egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui” (2 Cor. 5, 20-21-)
E, perciò, si spiega l’insistenza di questo richiamo alla conversione e alla penitenza, sia nell’antico come nel nuovo testamento. Così incomincia il ministero di Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti ” Convertitevi perché il regno dei cieli é vicino” ( Mt 3,2)
Così insisterà Gesù Cristo: “in verità vi dico: se voi non vi convertite e non diventate come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli.” (Mt 18,3); “il tempo é compiuto e il Regno di Dio é vicino, convertitevi e credete al vangelo”;(…) ” non sono venuto per chiamare i giusti alla conversione, ma i peccatori.(,,,) Ricordiamo anche tutte le parabole.
Gesù Cristo non solo predica la conversione con più chiarezza, perché ci rivela il Padre verso cui dobbiamo andare, e ci afferma con sicurezza che siamo figli di Dio, ma diventa anche la nostra riconciliazione e la nostra penitenza. Gesù é tutto rivolto al Padre. Gesù é tutto convertito al Padre. Entrando nel mondo egli si sostituisce a tutte le espressioni di conversione e di penitenza e, avendo assunto la nostra umanità, la dirige interamente verso il Padre.
“Ecco, Padre, vengo per fare la tua volontà”. E, la volontà del Padre egli la compie fino all’estremo: perché il mondo conosca che io amo il Padre, perché il mondo conosca che io sono per il Padre, perché il mondo conosca che io vivo per il Padre, io dò la mia vita da me stesso. E noi siamo cristiani nella misura in cui ci mettiamo alla sequela di nostro Signore Gesù Cristo, per andare con Lui verso il Padre. Ma, Gesù Cristo va verso il Padre attraverso il mistero della croce. Dobbiamo ammettere di essere davanti ad un mistero, anzi, dobbiamo insistere nell’atteggiamento di chi sa di essere davanti ad un mistero.
Gesù Cristo per ritornare al Padre, per compiere la volontà del Padre e diventare per noi colui che ci giustifica, é morto in croce come uno schiavo. Questa é la misura dell’amore di Dio per noi, questa é anche la rivelazione impressionante della paternità di Dio, ma é anche la misura del peccato. Tra la paternità di Dio, tra l’amore infinito di Dio e il nostro peccato, c’é una tale distanza che non poteva essere colmata da un gesto qualsiasi del figlio di Dio fatto uomo, ma dal suo annientamento attraverso la sofferenza più atroce.
Gesù soffre. Soffermiamoci a considerare la sofferenza di Gesù particolarmente nel periodo della sua passione. Gesù soffre nello spirito, nei sentimenti, nella sua dignità e in tutte le sue membra, ed é una sofferenza sopportata dalla persona più sensibile, che non solo valuta ma percepisce tutta l’amarezza, tutto il disgusto, tutta la ripugnanza della sofferenza.
Egli che é la pienezza della vita ed é venuto per dare la vita deve bere il calice della morte.Egli che é la gioia e vuole portare la gioia e vuole che i suoi abbiano la gioia piena, va verso la tristezza più profonda. Egli che forma una cosa sola con il Padre e vuole fare una cosa sola con noi, si trova abbandonato da tutti noi e anche dal Padre. Pensiamo al Figlio di Dio che ha la sensazione misteriosa di essere abbandonato anche dal Padre. Il peccato che noi leggiamo nella passione di nostro Signore Gesù Cristo é veramente qualche cosa di insondabile nella sua gravità e nella sua malizia.
La gravità e la malizia del nostro peccato é insondabile perché riferita al Padre nostro che sta nei cieli. In una rivista recente si fa rilevare che, quando si offende una persona estranea, per ristabilire le cose nell’ordine di prima, é sufficiente compiere un atto di riparazione che ripaghi l’offesa secondo la legge. Se invece l’offesa é fatta ad una persona legata a noi da vincoli di amore e di amicizia la situazione é diversa. Più i vincoli di amore e di amicizia sono grandi, più diventa impegnativo quello che si deve fare per riparare l’offesa. Non é più sufficiente fare ciò che é giusto secondo la legge, bisogna andare al di là. Se é un amico, un fratello, la madre, il padre, oltre ciò che é giusto, si devono aggiungere attestazioni di amicizia, di riconoscimento dell’ingratitudine e del comportamento inspiegabile. Si devono aggiungere parole, gesti, sentimenti, propositi concreti. Devono seguire dei fatti che ristabiliscano ancora il rapporto di prima. Bisogna fare molto di più!
Quel molto di più, che ha fatto Gesù Cristo per riparare il peccato dell’uomo, per ristabilire i giusti rapporti con Dio, ci dice quanto é grave il peccato e quanto é grande l’amore che Dio ci porta. Ecco, allora, che noi dobbiamo entrare nel mistero di Cristo. Paolo ci ha detto: abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Gesù Cristo. Evidentemente non é sufficiente conformare i nostri sentimenti ai sentimenti di nostro Signore Gesù Cristo. Allora tentiamo di vedere che cosa si richiede di più profondo.
Si richiede che dobbiamo entrare nel mistero stesso di nostro Signore Gesù Cristo, che dobbiamo partecipare a tutto il suo mistero e fare nella nostra persona ciò che ha fatto Gesù in se stesso. E’ una partecipazione alla vita divina che avviene attraverso il Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo. Noi siamo figli nel Figlio. Paolo, al principio della lettera agli Efesini, dice che siamo diventati figli nel Figlio mediante il suo sangue. Allora, oltre a conformarci ai sentimenti di Gesù Cristo che umiliò se stesso, annientò se stesso, ci vuole qualche cosa di più: si fece obbediente e morì sulla croce. E’ proprio il mistero della croce di Gesù che deve verificarsi vitalmente.
Nelle espressioni con cui si definisce la vita cristiana si dice: diventare ostie, diventare vittime.Sì, ma non per nostro conto, bensì in Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per mezzo di Gesù Cristo e, non a fianco di Lui, ma in Lui. In questo senso, nel battesimo, siamo stati sepolti nella morte di nostro Signore Gesù Cristo per risorgere con Lui. Con il battesimo,tutto il nostro essere é preso ed è inserito in nostro Signore Gesù Cristo come il tralcio nella vite. E’dall’essere costituiti in questo modo figli di Dio,che noi dobbiamo concepire la sequela a nostro Signore Gesù Cristo: qui vult venire post me, lasci il padre, la madre,la casa, i campi. In unione a nostro Signore Gesù Cristo,noi dobbiamo compiere questo distacco perché il padre, la madre, le sorelle, i campi non diventino gli idoli che ci impediscono di riconoscere il nostro Padre come l’unico Dio, come l’unico signore.
Dice: chi vuole venire dietro a me “non lasci”, ma “rinneghi se stesso”. Rinneghi in se stesso tutto ciò che non é Dio. Che cosa c’é in noi stessi che non sia Dio? Il riconoscimento della paternità di Dio é il riconoscimento del nostro niente, e il riconoscimento che tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo, lo dobbiamo a Lui. Cristo annientò se stesso attraverso l’umiliazione, attraverso un comportamento che dice “no” in un modo deciso all’orgoglio, alla tendenza ad affermarci. Questo, di sua natura, genera la sofferenza per la liberazione, per camminare verso la libertà dei figli di Dio, ma é una sofferenza che si trasformerà in gioia.
La sofferenza cristiana é seme di gioia. Tristitia vestra vertetur in gaudium! Ma c’é la sofferenza e il momento della sofferenza non é un momento di gioia. La gioia é sempre in “spe”. La gioia é una speranza molto difficile quando c’é la sofferenza. Non dobbiamo meravigliarci. Anche Gesù nella sofferenza ha provato tanta tristezza e ripugnanza da pregare il Padre se fosse stato possibile allontanare quel calice. Soltanto per il conforto che gli veniva dal Padre decide di abbracciare quel cumulo di sofferenza.
Così é la croce che ci inchioda alla volontà del Padre, il quale vuole distruggere tutto ciò che il peccato ha fatto in noi, perché vuole cancellare la condanna che viene dal nostro essere di peccatori e non dalla sua volontà.
La conversione, attraverso la penitenza, attraverso la partecipazione al mistero di Cristo, non deve essere soltanto l’abbandono del peccato concepito come atto dalla nostra persona, ma deve essere concepita come impegno positivo di tutta la nostra persona a corrispondere alla volontà del Padre, che vuole fare di noi i suoi figli. Ciò che caratterizza la nostra conversione é l’impegno di tutto noi stessi per corrispondere alla nostra vocazione di figli di Dio. Il peccato é il rifiuto ad essere figli di Dio, è il rifiuto di riconoscere gli altri come figli di Dio.
La conversione:
deve diventare l’affermazione del riconoscimento della paternità di Dio,
deve diventare il riconoscimento effettivo della nostra figliolanza effettiva,
deve diventare il riconoscimento della vocazione di tutti i nostri fratelli ad essere figli di Dio.
Allora la conversione deve essere concepita come un impegno totale, incondizionato, di tutto noi stessi per realizzare la nostra vocazione.
Un certo minimismo di vita cristiana concentrava l’impegno particolare del cristiano nella pratica dei primi venerdì del mese, nei ritiri di perseveranza, che avevano come traguardo il portare le anime ad essere in grazia di Dio, ed essere in grazia di Dio – per una affermazione attribuita ingiustamente a San Pio X – era il non avere i peccati mortali sull’anima. Dove era stato messo “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze? E, il comandamento del signore: amatevi come io vi ho amato?
Gesù Cristo ci ha amato con tutte le sue forze. E’ ben altro che stabilire un buon livello di vita cristiana nel fatto di essere in grazia di Dio! Questo é un livello che rimane del tutto negativo, non impegna nel giusto modo i nostri rapporti con Dio e con il prossimo. I nostri rapporti con Dio rimangono allo stesso livello dei rapporti che possono intercorrere con una qualsiasi persona, per cui quando si é compiuta la legge, tutto é a posto, tutto é sistemato come prima!
Di fatto il nostro esame di coscienza era fatto sui dieci comandamenti della legge di Dio e non sul comandamento: amerai il tuo Dio tutto con tutto il cuore, con tutta la mente con tutto te stesso, e dimenticando l’insegnamento esplicito espresso da nostro Signore Gesù Cristo nella parabola dei talenti. Non é servo fedele colui che custodisce i talenti e non li fa trafficare. Non é servo fedele colui che si limita a custodire i talenti, proprio perché concepisce il padrone come un esoso che vuole mietere anche dove non ha seminato. E’ condannato perché non corrisponde alla volontà del suo padrone. Noi non corrispondiamo alla volontà del nostro Padre che sta nei cieli osservando semplicemente i comandamenti, mettendoci in grazia di Dio. Per essere totalmente impegnati dobbiamo entrare nello stesso movimento di amore che il Padre porta verso di noi.
Se la nostra penitenza é Gesù Cristo stesso che ama il Padre con tutto se stesso e ama noi donando tutto se stesso, come e dove avviene il nostro inserimento in Gesù Cristo? Avviene nel sacramento della chiesa e nel sacramento specifico della penitenza. Nel sacramento della chiesa perché Gesù Cristo é presente ed operante nella chiesa, nella totalità dei membri della chiesa e non semplicemente nei membri qualificati per un ministero nella chiesa.
La chiesa, in questo caso, esprime la misericordia, il perdono, la giustizia di Dio attraverso tutta la sua vita. La chiesa come comunità, diventa un seno materno nel quale, come sono concepiti i nuovi nati, così sono curati, guariti, confortati, nutriti, fortificati quelli che sono caduti, quindi, c’é una conversione che si opera nella vita della comunità che accoglie in sé e che diventa responsabile della conversione dei peccatori.
La chiesa é una comunità nella quale ognuno é peccatore ma, dove tutti insieme, uniti nella carità di nostro Signore Gesù Cristo per l’azione dello Spirito Santo, diventiamo il mezzo, lo strumento vivo, attraverso il quale Gesù Cristo vivente nella chiesa, diventa la nostra misericordia, la nostra conversione, la nostra penitenza. Ecco la celebrazione della penitenza. Ecco dove si dovrebbe pregare di più perché ognuno si converta, e dove ognuno potrebbe esprimere il suo desiderio di convertirsi e il suo impegno ad assumere la penitenza conveniente per i suoi peccati.
Il sacramento specifico della conversione e della penitenza, compiuto nella chiesa, per il ministero di colui che é deputato da nostro Signore Gesù Cristo a sciogliere ed a legare, dovrebbe essere soltanto la ratificazione di una lunga conversione attraverso molti atti di penitenza.
Pensate a come abbiamo impoverito le cose riducendo la pratica del sacramento della penitenza ad un atto isolato e privato, ad un momento di esposizione contingente di sentimenti, di propositi di penitenza, fino a giungere alle affermazioni, che si leggono in alcuni manuali, dove la penitenza sacramentale é un accessorio , è un complementare del sacramento, mentre dovrebbe essere la preparazione alla penitenza.
La materia del sacramento non sono gli atti del penitente. Materia del sacramento é la persona che fa penitenza, che si incontra con Dio in Cristo e nella chiesa, per essere riconciliata con il Padre e con i fratelli nel sangue di nostro Signore Gesù Cristo.!
OM 387 Sacerdoti 71 – Santa Teresa, 4-9-71