Noi siamo il frutto
dell’atto generativo di Dio.
Il prologo di san Giovanni é il testo più adatto per farci entrare nel senso che vogliamo dare al nostro incontro con Dio, per avvicinarci sempre di più a Lui, per accoglierlo sempre più coscientemente e responsabilmente nella nostra vita, per corrispondere alla sua volontà che non é la volontà della carne e del sangue ma quella del suo amore che, vuole generare figli nel Figlio.
Noi ci intratteniamo sul tema della conversione e quindi della penitenza e lo facciamoperché siamo nel tempo liturgico della penitenza, perché la penitenza é un avvenimento nella vita dei cristiani credenti, perché si compie con più intensità in questo tempo, perché é il tempo in cui la Chiesa prega per la nostra conversione e perché é un tema richiamato tutti i giorni alla nostra attenzione. Dobbiamo avere fiducia che lo Spirito Santo ci farà intendere con più chiarezza, prima di tutto, il posto della conversione nella nostra vita e quindi della penitenza nella vita di cristiani. Tentiamo di fermare la nostra attenzione su alcune affermazioni.
La conversione e la penitenza, nel senso di riconoscimento e di pentimento di esserci allontanati dall’amore di Dio e del prossimo e di decisione e proposito di convertirci, nel senso di ritornare nei dovuti rapporti con Dio e con i fratelli, quindi di “cambiare” dal più profondo del cuore fino a tutte le manifestazioni del nostro comportamento. Sono i punti obbligati per l’attuazione del piano di Dio: Dio che vuole essere nostro Padre, Dio che vuole fare di noi i suoi figli.
Ecco dove si pone in movimento la nostra conversione e dove si rende necessaria la nostra penitenza. La conversione e la penitenza sono le condizioni perché l’amore di Dio si realizzi, cioè, raggiunga effettivamente la sua fecondità nel fare di noi i suoi figli. Perché questo piano di Dio possa realizzarsi é necessario che noi ci convertiamo, che noi facciamo penitenza.
Per intendere la conversione e la penitenza è, quindi, indispensabile partire da questi due poli: la paternità di Dio e la nostra figliolanza adottiva nella nostra condizione storica di peccato. La conversione e la penitenza segnano la lunghezza del cammino e anche la fatica del cammino che separa la paternità di Dio dalla nostra mancata figliolanza, ossia, il cammino che Dio compie, nella sua paternità, nel suo amore per cui vuole diventare nostro padre per raggiungerci nello stato di distanza da Lui, operato dal peccato in cui noi ci troviamo.
Da parte nostra, per coprire la distanza – sempre perché Dio ci viene incontro – il nostro cammino é tutto un cammino alla rovescia.
Partire dalla situazione di peccatori in cui ci troviamo -quindi di essere meno figli di Dio o non essere figli di Dio e faticosamente, superando, lasciando indietro, rinunciando, rinnegando tutto ciò che ci impedisce di corrispondere all’amore di Dio, costituisce la nostra vita di cristiani, che é tutta nel senso della conversione verso Dio ed é, quindi, tutta segnata dalla penitenza. Abbiamo detto che per intendere questo é necessario partire da due punti. Il primo punto é la paternità di Dio.
Il nostro Dio non é semplicemente Dio: cioè l’essere assoluto, trascendente, infinito con tutti gli attributi che conosciamo da una certa teologia, che é piuttosto una filosofia. Il nostro Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, ha voluto essere per noi il nostro Padre. E, non lo ha voluto in un modo qualsiasi.
Noi non possiamo scrutare il mistero. Noi non possiamo entrare nella profondità del mistero. Noi dobbiamo accontentarci di cogliere i fatti e poi, illuminati dalla grazia del Signore sotto l’azione dello Spirito Santo, lasciarci introdurre nella profondità di questo abisso che é l’amore di Dio per noi, che é Dio che vuole essere nostro Padre. Per Dio, essere nostro Padre é la più grande aspirazione della sua volontà, é il termine ultimo di tutto ciò che opera al di fuori della sua esistenza intima trinitaria. Possiamo dire, come del resto si esprime con chiarezza ed esplicitamente il vangelo, che per lui non c’é una gioia più grande di quella di essere nostro Padre.
Oggi uno dei miei cugini mi ha chiamato al telefono. E’ nato il suo figliolo. Non sta più nella pelle. Una gioia così autentica, profonda e vera, questo giovane, questo uomo, non l’avrà più nella vita, e, se saprà custodirla, diventerà ciò in cui si identificherà la sua stessa persona di padre. Per noi, Iddio vuole identificarsi proprio in questo generarci nella linea della generazione eterna, per cui é costituito Padre del Figlio, in cui egli si distingue, per cui egli é ciò che é. E’ una cosa vera, ma anche una cosa molto difficile da esprimere, comunque il Padre é Padre perché ha generato il Figlio. La generazione del Verbo non la possiamo chiamare un evento perché un evento é qualche cosa che accade nella storia ma è un mistero nel quale noi siamo coinvolti nel tempo.
La paternità di Dio comprende essenzialmente il fatto di diventare nostro padre e di avere la gioia di essere nostro padre. Pensate, alla gioia del padre per il figlio che ritorna, alla gioia del pastore per la centesima pecorella. Quindi, se Dio é nostro padre, il suo amore per noi é intrinsecamente legato al suo rapporto con noi, al libero rapporto che ha voluto stabilire con noi. Iddio non può non amarci, come un padre non può non amare i propri figli. Se anche un padre o una madre potranno dimenticare le loro creature, questo non avverrà con me. (… )
Questo amore, appunto perché paterno, é un amore fatto di tenerezza. Noi, a volte, come abbiamo osservato per altri particolari della vita cristiana e quindi della vita spirituale, abbiamo un certo pudore a parlare di determinati aspetti dei nostri rapporti con Dio Padre. Li riteniamo delle tendenze al sentimentalismo. No. La tenerezza di Dio é espressa in tanti punti della Rivelazione divina ed é una cosa normale. La tenerezza si prova nei confronti di una cosa delicata, debole, fragile ed é l’atteggiamento fatto di gesti delicati, di movimenti misurati e nello stesso tempo intensi con il quale si circonda la fragilità.
Dio dinnanzi alla nostra fragilità, dinnanzi al nostro nulla, dinnanzi alla nostra possibilità di ritornare quello che eravamo, non ha un atteggiamento diverso da quello di un padre dinnanzi al proprio figlio piccolo, fragile, indifeso.
L’amore é di Dio. E’ quindi la sua paternità che comporta la sua bontà e il suo volere bene. Diciamo tutto questo parafrasando una espressione di san Paolo: se ci ha dato il figlio suo, come non ci darà ogni altra cosa? Ci darà tutto! Ancora san Paolo ci assicura: tutto é nostro. Anche Cristo é nostro, noi siamo di Cristo, Cristo é di Dio. Ma, tutto é nostro, tutto é a nostra disposizione perché, Dio ha operato come Padre.
La paternità di Dio si esprime nella bontà in tutto quello che ha operato e opera per noi.
La premura di Dio nei nostri confronti é incommensurabile. Ci previene, é attento, é preventivo in senso buono e positivo. Proprio per quello che siamo, la preoccupazione del suo cuore per la nostra salvezza, diventa misericordia.
La misericordia di Dio si identifica con il suo amore. L’amore di Dio nei nostri confronti non può essere che misericordia, dal momento che ci ha amato quando ancora eravamo nei nostri peccati e che ci ama quando continuiamo a moltiplicarli. Tanto é vero che nella Bibbia il termine misericordia equivale a fedeltà da parte di Dio, di mantenerci il suo amore, la sua alleanza, la fedeltà alle sue promesse, anche quando noi veniamo meno agli impegni presi, alle parole date.
Per intendere che dobbiamo convertici, che dobbiamo affrontare le conseguenze di una conversione autentica, dobbiamo avere davanti a noi “il termine” di conversione che non é una cosa, che non é semplicemente Iddio, ma é Dio nostro padre, Dio per gli uomini.
Lasciate che ripeta, come ho già detto in altre occasioni, una osservazione che Congar riporta lui stesso in un suo scritto.
Perché nel mondo ci sono degli uomini senza Dio? Forse la ragione più decisiva, quindi la nostra responsabilità di fronte al fenomeno, sta nel fatto che noi abbiamo presentato un Dio senza gli uomini, un Dio non preoccupato degli uomini. Abbiamo predicato non un Dio per gli uomini ma gli uomini per Dio. Usiamo una espressione banale: cosa se ne fa Dio degli uomini? Sono gli uomini che hanno un bisogno assoluto di Dio!
Ma Dio ha superato questo “essere assoluto”, infinito, trascendente per diventare: “Dio con noi” , “Dio che cerca gli uomini” , “Dio che non può fare a meno degli uomini.
Dio non può fare a meno degli uomini in un modo definitivo. Questa é la rivelazione. La filosofia può dire altre cose. Non c’é più la possibilità di tornare indietro dal momento che Dio ci ha dato il suo Figlio. L’incarnazione é un atto definitivo. C’é di mezzo il suo verbo fatto carne!
Altro punto che dobbiamo tenere presente é la figliolanza divina. Noi siamo creature di Dio in un senso che va molto al di là del semplice atto creativo, per cui siamo posti al centro della creazione. Noi non siamo semplicemente il frutto dell’atto creativo di Dio. Noi siamo il frutto dell’atto generativo di Dio.
Un uomo può fare molte cose con tanto interesse. Un artista che si esprime nei suoi capolavori si troverà sempre nella condizione di dire: perché non parli? – come si narra di Michelangelo . Dove l’uomo esprime tutto se stesso, nella pienezza di tutto il suo essere, nella pienezza di tutto il suo amore é la paternità, é l’atto generativo.
Noi siamo generati da Dio. Siamo dinnanzi al mistero, ma queste sono affermazioni della parola di Dio! Noi siamo nati da Dio e poiché siamo nati da Dio siamo nuove creature non semplicemente in senso morale. No. Noi siamo creature in un senso profondo, che tocca il nostro essere e lo trasforma, vi aggiunge qualche cosa di nuovo che prima non c’era. Questo qualche cosa di nuovo che prima non c’era, é la natura stessa di Dio. Noi diventiamo partecipi della natura di Dio. In questo senso siamo creature nuove.
Ecco cosa avviene nelle nostre persone come frutto dell’amore di Dio, come conseguenza dell’amore di Dio: ci ha chiamato ed ammessi alla comunione di vita con sé! La comunione delle Divine Persone – esprimiamoci così – é il banchetto di vita cui siamo chiamati. Ricordate Giovanni nella prima lettera.
Noi pensando alla nostra conversione e quindi alla penitenza dobbiamo tenere presente questi due punti, ma il secondo punto va completato nel senso della realtà. Io sono chiamato ad essere figlio di Dio. Tu sei chiamato ad essere figlio di Dio. Dunque, tu sei mio fratello. La conversione non può avvenire semplicemente nel senso di realizzare individualmente la nostra vocazione di figli di Dio. La nostra conversione, operata attraverso la penitenza, deve avvenire – ed é soltanto in questo che é vera e completa – nei nostri rapporti fraterni con tutti quelli che hanno la nostra stessa vocazione. Paolo VI, con un una frase felice in un’occasione della giornata mondiale per la pace ha detto “Ogni uomo é mio fratello”.
Si intende allora come la carità verso i fratelli costituisca un punto tanto richiamato durante la quaresima, perché sia tanto richiamato dai testi sacri della Rivelazione. Iddio dice che “rigetta” feste, sacrifici, preghiere, digiuno, che vogliamo fare per Lui, quando ci comportiamo in un determinato modo con i fratelli. Questo atteggiamento nei confronti degli altri, che sono “come me” figli del Padre, deve entrare nella nostra comprensione. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri fratelli. Come é illuminante questo passo della preghiera che il Signore ci fa dire! E come descrive in senso completo la nostra conversione! E come ci impegna ad accettare tutto il peso che comporta la realizzazione in noi stessi della nostra vocazione di figli di Dio e della nostra fraternità con tutti gli uomini
OM 386 sacerdoti 71 – Santa Teresa, 3-Marzo