e progetta di realizzare
il suo grande piano di amore.
San Paolo ci esorta con queste parole: – abbiate in voi quel medesimo sentimento che fu in Gesù Cristo, il quale, pur essendo in forma di Dio, non stimò una rapina l’essere alla pari con Dio, ma annientò se stesso prendendo forma di schiavo divenuto simile agli uomini; e, ritrovato nel suo sembiante come uomo, umiliò se stesso divenendo obbediente fino alla morte, anzi, a morte di croce. Per questo anche Dio lo esaltò e gli donò il nome che é sopra ogni nome, affinché nel nome di Gesù Cristo si pieghi ogni ginocchio delle creature celesti, terrestri e sotterranee, ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo é il signore, a gloria di Dio Padre. ( Filp. 2, 5-11)
In questo incontro che si stabilisce tra noi e Dio, cerchiamo di essere più chiaramente, più profondamente animati dallo spirito di nostro Signore Gesù Cristo che é spirito di penitenza.
Nel mondo esiste il peccato. In questo mondo, soggetto al peccato trova l’uomo lontano da sé, ma Iddio progetta di realizzare il suo grande piano di amore. Ci amò quando ancora si era nei nostri peccati, quando eravamo figli dell’ira e non i figli del suo amore. Entrare nel piano di Dio significa: partire dalla nostra situazione, distaccarci dalla situazione in cui siamo con tutti i sacrifici che comporta il distacco, portando il peso del peccato e delle sue conseguenze per arrivare al punto, che si sposta in continuazione, che non é mai pienamente raggiungibile su questa terra e al quale Dio ci chiama.
Se la penitenza, frutto della conversione, sta al punto nodale dell’attuazione del piano di Dio, noi dobbiamo trovare naturale come nell’Antico e nel nuovo Testamento, questo tema abbia un posto preminente e continuo. Richiamiamo alla mente, come ci soccorre la memoria, tutti gli avvenimenti dell’antico testamento che sono veri ritorni a Dio: a tutto ciò che Dio fa perché il popolo ritorni a lui e non si allontani da lui. Possiamo vedere in tutta la storia del popolo di Israele questi momenti di fedeltà e di infedeltà, superati sempre dalla fedeltà di Dio.
Sappiamo che il nuovo testamento si apre con la predicazione della penitenza annunciata da Giovanni e subito proclamata da nostro Signore Gesù Cristo: “convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15); “convertitevi perché il regno di Dio é vicino” (Mt 4,17); “convertitevi perché il regno di Dio é in mezzo a voi” (Mt, 3,2). Gesù non soltanto predica il ritorno al Padre attraverso la conversione e quindi la penitenza, ma diventa lui stesso penitenza. Tutta la sua vita é un ritorno al Padre ed é ritorno al Padre attraverso la sua passione e morte. La sua passione e morte é voluta da Dio proprio perché noi fossimo nella condizione di compiere il nostro ritorno a lui e si potesse, in questo modo, realizzare il piano di Dio di manifestare la sua paternità in noi, facendo di noi i suoi figli.
Il primo giorno di quaresima abbiamo letto: -noi dunque siamo ambasciatori, da parte di Cristo, in modo che Dio stesso esorta per mezzo nostro. Vi supplichiamo nel nome di Cristo: riconciliatevi con Dio. Come può avvenire la nostra riconciliazione? Colui che non conobbe peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui. Possiamo dire, quindi, che lo scopo immediato della incarnazione e redenzione é la nostra riconciliazione con Dio. Gesù Cristo stesso diventa la nostra riconciliazione, Colui che ha fatto dei due uno solo.
In che modo Colui che non conosce peccato, é stato da Dio costituito peccato, é entrato nel nostro peccato, si é sobbarcato il nostro peccato? Sono tutte espressioni che non dicono il mistero nascosto. Chi, infatti, conosce la malizia del peccato? Chi conosce il mistero del peccato? Il Figlio di Dio fatto uomo é entrato in pienezza nel profondo di questo mistero ed é diventato peccato davanti a Dio. Egli lo ha fatto diventare peccato per noi, al nostro posto, e sulla croce, nel sangue di nostro Signore Gesù Cristo, é stato cancellato il peccato, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui, cioè, affinché il lui diventassimo giusti davanti a Dio, di una giustizia vera.
Ci sono per lo meno due cose da tenere presenti. E’ il nostro Padre che ci viene incontro, che ci viene a cercare. Ricordiamo il buon pastore che va in cerca della pecora smarrita. L’iniziativa parte dall’amore di Dio, parte dalla misericordia di Dio, parte da un amore infinito. Ma la nostra riconciliazione, la nostra conversione e quindi la nostra capacità di sobbarcarci una penitenza, avviene in Cristo, in quanto Cristo diventa la nostra capacità di ritornare al Padre, in quanto Cristo diventa la nostra capacità di convertirci, in quanto Cristo diventa la forza per prendere la nostra croce e seguirlo fino all’annientamento, alla morte di noi stessi, come é avvenuto nella sua persona.
Exinanivit semetipsum” e ha portato nella sua persona tutta la sofferenza che il peccato causa nel mondo, nella vita, nella nostra persona. Anche la sofferenza del Figlio di Dio fatto uomo é un grande mistero. Di fatti qualcuno si chiede: dal momento che é il Figlio di Dio e i suo atti hanno un valore infinito, non poteva riconciliarci con il Padre con una semplice preghiera? Perché tutta questa sofferenza? Perché questa morte, questo abbandono e queste umiliazioni? Da una parte, se Dio le ha richieste, dobbiamo pensare che sono la misura della gravità del peccato: della nostra distanza da Dio e dall’altra parte sono la misura dell’amore di Dio per noi.
In uno degli ultimi numeri di Nouvelle Revue c’é un articolo che studia questo problema: + se non venga il dubbio, davanti alla passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo, che il Padre, per ristabilire una giustizia, non diventi crudele; + se non ci sia sproporzione tra il peccato di una semplice creatura e la morte – quella morte! – di nostro Signore Gesù Cristo.
L’autore risponde dicendo: questo ci fa comprendere il senso della nostra riconciliazione con Dio, con il nostro Dio che é il nostro Padre. E fa questo esempio. Se io commetto una ingiustizia nei confronti di un estraneo, quando io ho compiuto tutto quello che prescrive la legge per riparare quella ingiuria, io ho fatto tutte le cose necessarie per ristabilire un ordine. Invece, se io compio la stessa ingiuria nei confronti di un amico, non é sufficiente che io ripari fino a ciò che é giusto per legge. Se voglio ristabilire l’amicizia devo andare molto più in là della legge, devo moltiplicare i miei atti di riparazione e, con i miei atti, attestare che io riconosco il valore dell’amicizia e che voglio riacquistare quella amicizia. Allora, se il nostro Dio fosse il Dio dei filosofi, il Dio della ragione, per riparare il peccato, ci vorrebbe molto meno, anche se con i ragionamenti si afferma che la malizia del peccato é infinita perché Dio é infinito.
Noi siamo delle creature e i nostri atti hanno sempre dei limiti. Ciò che non ha limiti é l’amore di Dio per noi. E’ perché c’é di mezzo questo amore infinito e incalcolabile di Dio nei nostri confronti, che la riparazione non sarà mai adeguata, e che la riparazione o la corrispondenza all’amore – che forse é meglio- da parte di nostro Signore Gesù Cristo, si spinge fino ai limiti estremi della passione e morte. Quindi, é tutta una questione di amore.
Bisogna entrare, per quanto é possibile, nella comprensione, nella intelligenza del mistero dell’amore di Dio per comprendere: da una parte la gravità del peccato e dall’altra, che cosa importa in noi togliere il peccato, per stabilire i nostri rapporti veri con Dio, che sono rapporti di un figlio che ha offeso il proprio Padre, non una persona qualsiasi, ma un Padre che é Dio. Perciò la conversione, la penitenza cristiana non può essere niente altro che una partecipazione alla penitenza del Figlio di Dio che ritorna al Padre. Non può essere una penitenza qualsiasi, fatta per conto nostro!
Se la nostra penitenza non é in Cristo, se non é inserita in quella di Cristo, se non é un appropriarci della penitenza stessa di nostro Signore Gesù Cristo, la nostra penitenza non é la penitenza cristiana, non é la penitenza che segue una conversione, come quella che deve avvenire in noi e come quella che ha stabilito Gesù Cristo per noi: Gesù Cristo che é diventato peccato per noi, perché noi diventassimo giustizia per Dio. Del resto, noi raggiungiamo la nostra vocazione realizzando in noi stessi la prerogativa di figli di Dio.
Abbiamo detto ieri sera: noi siamo figli nel Figlio. Noi siamo figli di Dio in quanto il Figlio di Dio si é fatto uomo ed é morto sulla croce per noi ed é risorto perché noi avessimo una vita nuova. Non si può giungere alla risurrezione se non passando per la morte in croce. Noi dobbiamo essere conformi a nostro Signore Gesù Cristo, noi dobbiamo avere gli stessi sentimenti di nostro Signore Gesù Cristo. Non sentimenti simili! Sono i sentimenti di nostro Signore Gesù Cristo che devono essere in noi. “Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus”: Cristo vivente in noi con tutto il mistero della sua vita, Cristo vivente in noi con tutti i misteri della sua vita e particolarmente con il mistero della passione e morte, con il mistero della croce.
Possiamo, forse, esprimerci anche così. Prima di esserci una conversione e quindi una penitenza e quindi degli atti che ci distaccano dal peccato in un modo doloroso a livello morale di sentimenti e di disposizioni, ci deve essere in noi qualche cosa, che non dobbiamo avere paura di chiamare ontologico, vitale, costituzionale. Noi siamo costituiti figli di Dio e allora siamo costituiti penitenti. Di fatti il battesimo ci assimila alla morte di nostro Signore Gesù Cristo, fa di noi coloro che entrano nella sua morte, e che sono sepolti con lui, e che sono risorti a vita nuova.
E, come la nuova vita, la grazia, é qualche cosa di positivo, é qualche cosa di nuovo che si aggiunge alla nostra natura, così é della nostra morte, che non può essere una mortificazione, una penitenza che rimane a livello di sentimenti e di disposizioni, ma deve essere qualche cosa di più profondo, che tocca proprio il nostro essere e lo configura a Gesù crocifisso. E, conseguentemente, lo configura all’amore con cui Gesù Cristo é ritornato al Padre e si é riconciliato con il Padre, nel senso con cui Gesù portava l’umanità tutta, e ognuno di noi che aveva bisogno di riconciliazione con il Padre. Noi siamo stati riconciliati in questo amore.
Allora, la penitenza con il desiderio del ritorno devono essere una espressione di amore. Non devono essere delle condizioni, che si accettano più o meno volentieri, perché sono una conditio sine qua non. No. E’ la risposta unica che ci possa essere ad un amore come é quello che Dio porta a noi. E quindi, come la morte di nostro Signore Gesù Cristo é una espressione di amore verso il Padre, così la nostra penitenza deve essere una espressione di amore verso il Padre. Qui c’é l’amore autentico.
“Uno mi ama se osserva i miei comandamenti”, ma c’é un comandamento fondamentale: il comandamento dell’amore che si traduce nel comandamento di ritornare al Padre con tutta la nostra mente, con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze. Noi questo lo applichiamo all’amore di Dio come se l’amore di Dio fosse uno stadio che viene dopo il peccato. E’ vero che nella nostra vita, nella nostra esistenza c’é un passaggio graduale dalla condizione di peccato alla condizione di grazia di Dio, siamo soliti definirla così e forse non andiamo oltre, ma chi ci fa ritornare? <br
Se il nostro é un ritorno autentico, se la nostra conversione é vera, ciò che ci fa prendere la decisione di convertirci, é la scoperta che Dio ci ama. Ipse pater amat vos. Allora, se é un Dio che mi ama, se é un Dio che mi ama al punto di volere fare di me un suo figliolo, se Dio é mio Padre, questo Padre mi fa prendere la decisione di convertirmi! Proprio dall’inizio, non ci può essere un modo di amare che non sia determinato dall’amore.
Si diceva, ed é anche vero che prima c’é il timore e poi l’amore. Di fatto, anche la nostra predicazione era impegnata, specialmente negli esercizi spirituali, sui novissimi per mettere un po’ di paura e poi si arrivava all’amore. E’ vero che Dio ha anche castigato. E’ vero che Dio minaccia. E’ vero che, con il peccato andiamo verso la dannazione eterna, ma chi castiga, chi minaccia, chi ci terrà eternamente lontani da lui é un Padre che ama. Altro é il castigo, altra é la pena che è inflitta dalla legge, altro é il castigo o la pena che sono inflitti o minacciati dalla preoccupazione di un cuore di Padre che vuole la nostra salvezza, che non vuole soltanto ristabilire un ordine, che non é preoccupato del così detto ordine stabilito, ma che é preoccupato di essere un Padre e vuole che noi siamo i suoi figli.
Il fatto che noi siamo inseriti in Cristo e quindi in tutto il mistero della vita di nostro Signore Gesù Cristo, di conseguenza porta con se il modo di partecipare alla penitenza di Cristo per convertirci a Dio. Questo tempo, questo luogo é la chiesa perché, Cristo vive tutto il suo mistero, attualmente, nella vita stessa della chiesa, anzi, il suo mistero é la vita stessa della chiesa, realtà visibile e invisibile, umana e divina. Allora il luogo della nostra penitenza é la chiesa, é la chiesa come si esprime nei vari modi istituiti da nostro Signore Gesù Cristo, é la chiesa sacramento di Cristo, é la chiesa luogo, tempo e strumento della presenza salvifica di nostro Signore Gesù Cristo.
Dove sono due o più uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. Qui c’é la chiesa. In una comunità più vasta, c’é la chiesa non in ragione della vastità, ma in ragione dell’unione nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, in nostro Signore Gesù Cristo. Se c’é la chiesa nella sua pienezza dove sono presenti tutti i ministeri stabiliti da nostro Signore Gesù Cristo allora, é qui dove io devo collocare la mia penitenza, é qui dove io devo operare la mia conversione. Nella chiesa! In famiglia! Ci sarebbe tutto un discorso da fare, nel senso che non si raggiunge il Padre se non si ritorna alla casa del Padre e la casa del Padre é la famiglia.
Mentre l’itinerario di Dio é il Verbo fatto carne che stabilisce per sempre la sua presenza in noi nella chiesa, noi dobbiamo essere nella chiesa per raggiungere Gesù Cristo e ritornare al Padre, quindi, esiste necessariamente una dimensione ecclesiale della penitenza. Noi, il nostro Padre, non lo abbiamo offeso per noi stessi ma come membri di una famiglia, come membri di un popolo, come membra di un Corpo. Il nostro peccato non é soltanto il nostro peccato. Il nostro peccato diventa, in qualche modo, il peccato di tutti coloro con i quali, in un modo misterioso ma vero, siamo solidali. Allora, anche gli altri devono non soltanto godere dei frutti del nostro ritorno, della nostra conversione, della nostra penitenza, ma debbono costatare la nostra penitenza, la nostra conversione, tanto quanto costatano il nostro peccato.
Esprimiamoci come possiamo. Il nostro peccato non sono i nostri peccati. Il nostro peccato é non amare Dio e il prossimo con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze. Noi abbiamo abbasso il libello della vita cristiana in un modo indebito. Lo abbiamo stabilito al livello di “non peccato mortale”. Non lo abbiamo stabilito al livello di “amerai il Signore Dio tutto con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forse, con tutto te stesso. Non l’abbiamo stabilito al livello di “amatevi come Io vi ho amato”. Siamo rimasti al punto di non odiare il fratello. Che cosa fate più dei pagani? Amate coloro che non vi amano, pregate per coloro che vi perseguitano, porgete l’altra guancia a chi vi percuote. Questo é il livello della vita dei figli di Dio. Chi decade da questo livello, é lontano da Dio, é nel peccato.
C’é una considerazione da fare.
Vogliamo pensare che Dio abbia messo in movimento tutto un cosmo che ci dà le vertigini pensando alla sua vastità, alla sua varietà e sua armonia; vogliamo pensare che Dio abbia messo in movimento tutto il mondo della salvezza con il suo Figlio che si fa uomo, che é qualche cosa di infinitamente superiore alla grandezza e alla potenza e alla bellezza del creato, per avere dei figli che giungano al punto, appena appena, di non perdere la grazia non commettendo dei delitti e che, poi, sia tutto a posto? L’amore di Dio sarebbe un fallimento! Sarebbe il fallimento dell’amore che noi riscontriamo, di riflesso, nella passione e morte del Figlio di Dio fatto uomo.
Completiamo la penitenza che deve essere nella chiesa. Si intende per penitenza ecclesiale, la penitenza nel senso di: “dove sono due o più…” e,… “confessatevi a vicenda i vostri peccati”. Io non entro nel merito di come debba essere una pratica di questo genere, ma facciamo in modo che le nostre celebrazioni penitenziali non siano semplici celebrazioni. Dovrebbero essere celebrazioni che hanno due tempi distinti: — il tempo in cui si stabilisce di fare una determinata penitenza che può essere appropriata a ciascuno e che può essere di tutta la comunità perché tutta la comunità avanza in quel senso; — e un altro momento, distanziato, in cui si prende atto di una penitenza compiuta insieme o che, insieme, ognuno ha compiuto per proprio conto, e che non si conclude con la semplice ratifica “io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” ma che si conclude con l’atto sacramentale che ci garantisce che siamo inseriti nel mistero di Cristo, che si ritorna al Padre attraverso il mistero della sua croce.
Noi, a questo proposito, siamo arrivati al punto di sminuire talmente il sacramento della penitenza da ridurlo a quegli atti momentanei del penitente, della assoluzione, e di una penitenza da fare dopo. E’ parte integrativa del sacramento. Lasciamo che il sacramento sia sacramentalmente valido, ma dove é fruttuoso se é il sacramento della penitenza? Certamente fa piacere ad un papà e ad una mamma che, il figlio domandi perdono ogni volta che commette una mancanza anche se sanno che poi la ripeterà ancora. E’ sufficiente una manifestazione di buona volontà ed é una giustificazione della frequenza della confessione anche per i peccati veniali, ma é cosa seria che il sacramento ratifichi, nel senso profondo del termine, di associarci a Cristo penitente.
Il sacramento é il momento forte dell’inserimento in Cristo penitente, in virtù di un’azione sacramentale perché c’é stata una ripetizione di atti di penitenza in quel senso. Ecco: io ti assolvo perché hai fatto penitenza e non: io ti assolvo e adesso fai penitenza. Noi siamo in una condizione di penitenza. Faremo penitenza, ma é poco e quasi ridicolo dire: recita per penitenza, tre ave Maria a uno che si é confessato bugiardo; recita per penitenza tre ave Maria a uno che si é dichiarato ingiusto verso il suo prossimo; recita per penitenza tre ave Maria a uno che é un gaudente, eccetera. Abbiamo staccato troppo questi atti da una organicità che é vitale, che indubbiamente é anche ontologica, che si esprime nella pienezza nel realizzarsi del “nuovo essere” attraverso l’azione sacramentale che é sulla linea del battesimo.
OM 385 Sacerdoti 71 – Santa Teresa – il 26-2-1971</br