incontro con i sacerdoti in Santa Teresa – 6 marzo 1969
I nostri vecchi a principio della meditazione facevano la composizione di luogo. Mi pare che sia una delle cose buone e valide anche oggi come in qualsiasi tempo. Mentre ci mettiamo in un atteggiamento di ascolto per impegnarci ad entrare in noi stessi, per incontrarci con Dio che ci parla, sarebbe già una composizione di luogo.
E’ bene anche ricordare il tempo liturgico in cui ci troviamo. Questo tempo della Quaresima, è caratterizzato da pratiche che ci impegnano nell’esercizio della fede cristiana, come la penitenza e la mortificazione. Ma questo tempo è definito soprattutto come il tempo della celebrazione più frequente e più estesa della parola di Dio: questa Parola di Dio, questo tesoro, questo mezzo insostituibile di cui noi siamo ministri! E’ giusto che noi, da ministri, almeno di quando in quando, diventiamo: l’oggetto di questo ministero e il soggetto cui è rivolta la parola di Dio
Credo, e penso che voi crediate, che non sia senza valore, che ad annunziarvi la parola di Dio sia il vostro vescovo perché ” il suo eccelso ministero – come dicono i documenti del Concilio- è proprio quello di annunciare la parola del Signore.
E’ per mezzo della parola del Signore che si costituisce l’unità in mezzo al popolo di Dio. Il popolo di Dio, che siamo ognuno di noi, è convocato a stare insieme ed è rincuorato nella carità proprio per mezzo della parola di Dio. Perciò, c’è una grazia particolare nell’annuncio della Parola da parte del vescovo nei confronti dei suoi sacerdoti.
Dal vescovo si attendono, legittimamente, delle direzioni, ma le direttive che deve dare il vescovo debbono essere quelle che derivano da una retta interpretazione della parola di Dio e da un impegno di tutti, comune a tutti, di essere fedeli alla parola di Dio tanto nell’annunciarla come nel praticarla, perciò scusate questo particolare, ritengo che abbia più valore per l’edificazione della vita ecclesiale in mezzo a noi sacerdoti, una meditazione dettata dal vescovo.
Qui siamo nell’ambito di una vera azione sacramentale perché: la consacrazione episcopale, oltre il potere di santificare conferisce il potere di insegnare e di guidare, quindi è annessa una grazia all’esercizio di questo ministero.
Allora anche il soggetto della meditazione diventa una imitazione. Una imitazione non tanto disciplinare -usiamo la parola estrema – all’esercizio del nostro ministero, ma una imitazione di carattere spirituale che riguarda la nostra persona e di carattere pastorale che riguarda l’esercizio del nostro ministero.
Dopo questo discreto preambolo cerchiamo di affrontare il tema della meditazione con umiltà, con docilità all’azione dello Spirito Santo, che si propone a noi in questo momento e che Lui, ci introduce nell’intelligenza di tutta la verità.
Il tema della meditazione è il rapporto, che esiste tra i tre grandi misteri della nostra religione:
il mistero della Chiesa,
il mistero trinitario e
il mistero eucaristico.
Un rapporto vitale quindi, di esistenza, di estrinsecazione di vita, di potenza di questa stessa vita.
Per cenni perché la sintesi la potete fare voi, anzi, vi invito a sviluppare questi punti. Il materiale lo potete trovare nei documenti del Concilio e soprattutto nella Scrittura.
Il mistero della Chiesa.
La Chiesa é una realtà misteriosa.
La natura della Chiesa é quella di essere visibile ed invisibile.
La Chiesa vive nel tempo e ha già raggiunto l’eternità perché porta in se la presenza di Dio che sta con noi.
E, porta talmente in se stessa questa presenza di Dio da essere: il sacramento della salvezza di tutta l’umanità. Ed é strumento efficace della salvezza perché porta in se la presenza di Dio che salva.
La Chiesa strumento di salvezza
Questo tema della Chiesa è un tema di attualità e lo diventa sempre di più.
E’ talmente d’attualità, che addirittura, è fatto oggetto di contestazione.
Per noi è di attualità perché è il tema centrale del Magistero del Concilio.
Non è arbitrario fermarsi su questo tema. E’ semplicemente doveroso proprio per quella docilità che noi dobbiamo al Magistero della Chiesa dal momento che il Magistero di un Concilio è tutto incentrato, si svolge tutto, si sviluppa tutto intorno a questo unico tema: il tema della Chiesa.
Il tema della Chiesa non è proposto come era sviluppato, trattato nei nostri manuali. Il tema della Chiesa è “passato” secondo il piano di Dio, non si trova in altro autore, ma nell’autore dell’unico vero libro ispirato da Dio. Quindi, il modo di ripresentare questo tema, dal Concilio è stato eminentemente biblico.
C’è da rilevare un particolare decisamente importante nella proposizione di questo tema: l’Unità
Del tema della Chiesa, della realtà visibile e invisibile della Chiesa è stato posto in risalto, è stato dato il maggiore sviluppo all’unità. Delle quattro note della Chiesa, il Concilio ha messo in evidenza, ha puntualizzato, ha richiamato con tutta la forza, l’unità.
La Chiesa si definisce come un fatto d’unità, come convergenza nell’unità, come tensione verso l’unità. La realtà vera e ultima nella chiesa, la perfezione verso cui deve tendere tutto ciò che vi è nella Chiesa è l’unità: l’unità nella parte strumentale gerarchica l’unità nei membri della Chiesa. La vita religiosa, che dovrebbe essere l’espressione più perfetta della vita della Chiesa, è definita dall’unità: “perfectae caritatis”.
Il Concilio non dà una definizione della Chiesa, perché una definizione bisogna darla per concetti e i concetti non esauriscono, non accennano neppure alle realtà soprannaturali, alle realtà misteriose. Non si può dare una definizione della Chiesa.
Il Concilio descrive la Chiesa come la descrive la rivelazione, principalmente, attraverso le immagini bibliche.
C’è un certo ordine nella proposizione, da parte del Magistero del Concilio, nel presentarci quelle immagini che usa la Scrittura per definire o descrivere la Chiesa:
– l’immagine del popolo di Dio,
– l’immagine del Corpo di nostro Signore Gesù Cristo,
– l’immagine del tempio di Dio che si edifica nello Spirito.
L’immagine del popolo di Dio, è tutto il secondo capitolo della Lumen Gentium.
Tutta la storia sacra, dell’antico e del nuovo testamento si presenta come l’azione del Padre che si prepara un popolo, che chiama e che costituisce questo popolo, che definisce il popolo di Israele suo popolo ed egli, il Dio del suo popolo. Con questo popolo stabilisce una alleanza. Tutti gli avvenimenti della storia del popolo di Israele si identificano coi i suoi rapporti di fedeltà o di infedeltà nei confronti di Dio, che lo vuole comunque come suo popolo.
E’ impressionante ascoltare come si apre il secondo capitolo della Lumen Gentium. Si apre con una affermazione che non è tanto familiare al nostro modo di pensare, ma che ci riporta immediatamente a contatto della volontà di Dio: ” In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia. Tuttavia
– ecco la decisione della volontà di Dio –
Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente senza alcun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse”.
Ecco la volontà di Dio: non ci salva individualmente senza nessun legame, prescindendo dai legami con gli altri. Ci vuole salvare proprio attraverso questi legami legandoci gli uni gli altri come sono legati i membri di un popolo.
Questo popolo di Israele, nella pienezza dei tempi, diventerà il nuovo popolo di Dio con il quale Dio stabilirà la nuova Alleanza, al quale darà tutte le sue promesse e lo introdurrà nell’autentica terra promessa e gli darà il suo Spirito, “un cuore nuovo”, un cuore di carne al posto del cuore di pietra. Questa è la precisa volontà di Dio. Ecco dove devono tendere i nostri sforzi della vita spirituale. Noi, nei confronti di Dio, non siamo legati a lui individualmente senza alcun rapporto con i nostri fratelli. Noi siamo legati al nostro Padre, solidali con i fratelli che sono, poi, i suoi figli.
L’altra immagine con cui il Concilio, la Sacra Scrittura, descrivono, definiscono il mistero della Chiesa è quella, di Corpo di Cristo. Noi, dopo, abbiamo aggiunto “mistico”. Tanto per intenderci: lungo la storia della teologia, della tradizione, dobbiamo ricordare che l’eucaristia si diceva corpo mistico, cioè corpo misterioso e, per dire la Chiesa, si diceva soltanto Corpo di Cristo come adesso si legge nei documenti del nuovo testamento. Vedi san Paolo.
La Chiesa, Corpo di Cristo ha di caratteristico l’unità delle membra. Ecco l’unità della Chiesa. Ecco le diverse riprese con cui San Paolo sviluppa quest’immagine che è sua: l’occhio non può fare a meno del piede e viceversa, ogni membro nel corpo ha la sua funzione. Tutti sono interdipendenti, tutti sono uniti tra di loro e tutti sono uniti di un’unione non estrinseca ma interiore.
Qui viene l’altra immagine usata da nostro Signore Gesù Cristo: “Io sono la vite voi siete i tralci”, i tralci di un’unica vite, quindi unità vitale, unità organica. Organica fino ad un certo punto. Qui si tratta di un’immagine.
Se fosse un’unità veramente organica vorrebbe dire che questo corpo si svilupperebbe sempre, è certo che alle volte cresce altre volte potrebbe anche non crescere, perché ci sono i tralci lunghi e quelli secchi, ci sono quelli che ricevono la nuova linfa e quelli che ritornano a perdere la loro linfa. La caratteristica di quest’immagine è l’unità nel corpo mistico di nostro Signore Gesù Cristo.
L’altro carattere è la dipendenza delle membra da Cristo Capo, membro preminente di tutto il corpo. Gesù Cristo è la sorgente della vita delle membra del Corpo che si unificano in lui per il motivo prettamente vitale. Il motivo esteriore, disciplinare, giuridico, eccetera, è una derivazione di questo fatto interiore, vitale, evidentemente soprannaturale
L’altra immagine è quella del tempio di Dio che si edifica nello Spirito. E’ un’immagine che si trova lungo tutta la storia della rivelazione che è puntualizzata specialmente da san Pietro, che definisce i cristiani le pietre viventi proprio nel momento della manifestazione dello Spirito, quando Gesù Cristo asceso al cielo, siede alla destra del Padre e riceve lo Spirito per comunicarlo a tutti i credenti.
Noi siamo le pietre viventi che egli ha scelto per edificarsi: una tenda, un tempio, una dimora in mezzo agli uomini e, l’edificazione di queste pietre vive in tempio ben architettato è opera dello Spirito Santo. Il cemento che tiene unite queste pietre è la carità che lo Spirito Santo diffonde nei nostri cuori.
Lo Spirito Santo che diffonde la carità nei nostri cuori, ci dà la possibilità di essere quelle pietre vive che si unificano, che si uniscono tra di loro secondo un preciso disegno di Dio, che sono collocate al loro posto perché concorrano all’edificazione di tutto il tempio. E’ il costruttore che sceglie la pietra, dice un personaggio di Cloudel, non è la pietra che sceglie il suo posto nell’edificio di Dio. E’ lo Spirito di Dio che ci edifica in questo modo.
Esiste un rapporto tra il mistero della Chiesa come l’abbiamo sommariamente descritto e il mistero trinitario.
Mi permetto di fare una constatazione molto comune. Quando si parla del mistero della Santissima Trinità, si parla di “tabù” sia per la nostra vita spirituale come per l’esercizio del nostro ministero.
Il cristianesimo non professa soltanto occasionalmente, quasi speculativamente, la propria fede nel mistero della Santissima Trinità.
Non è il mistero che i bambini della prima comunione devono sapere che esiste, per essere ammessi alla comunione?
Il cristianesimo è proprio questo intrecciarsi della presenza delle Divine Persone nella storia degli uomini e della azione che le Divine Persone compiono, ciascuna per la propria parte, per salvare gli uomini e per salvarli in quel determinato modo che corrisponde al mistero, alla natura, alla realtà, alla costituzione della Chiesa: quel modo che corrisponde all’unità di tutti i membri del popolo di Dio, di tutte le membra del Corpo di Cristo, di tutte le pietre del tempio santo del Signore.
Abbiamo appena terminato di dire la parte che ognuna delle Divine Persone compie per la vita della Chiesa.
– Il Padre prepara, ha un disegno, ha una volontà precisa;
– Gesù compie la volontà del Padre, porta a termine il compito che gli ha affidato il Padre;
– lo Spirito Santo attua nella storia il piano del Padre portato a compimento dal Figlio, nostro Signore Gesù Cristo.
Ma come si rivela il mistero trinitario, l’esistenza di un solo Dio in tre persone alla nostra fede?
Anche qui non c’è una rivelazione fatta per concetti. Non c’è una definizione che viene dall’alto di una cattedra. C’è un’esperienza di manifestazioni che si compiono lungo tutta una storia.
Il Padre si rivela Padre, il Figlio si rivela Figlio, lo Spirito Santo si rivela Spirito del Padre e del Figlio in ciò che fanno, in ciò che compiono, per quello che compiono. Secondo il senso di quello che compiono,sono certamente tre e sono una cosa sola e sono Uno Solo.
Il momento, il luogo, il mezzo attraverso il quale noi cogliamo questa manifestazione della natura intima di Dio, dell’esistenza misteriosa delle Divine Persone e della loro unità tra di loro al punto di essere un Dio solo e non semplicemente una cosa sola, è il momento della progettazione e dell’edificazione della Chiesa.
Non si può pensare a qualche cosa, che riguarda la vita delle Persone della Santissima Trinità, che non coincida con ciò che ognuna delle Persone compie per fondare la sua Chiesa.
Qui noi dobbiamo arrivare. Qui noi ci incontriamo con Dio.
Qui Dio si rivela come è: tre Persone un Dio solo. Molti Uno Solo.
Vedete che diventa evidente quella analogia di natura di esistenza di vita tra il mistero della Santissima Trinità e il mistero della Chiesa: molti uno solo, tre Persone un Dio solo.
Ecco perchè la nota dell’unità è quella che la definisce più profondamente: perché la nota dell’unità di Dio è la nota essenziale della natura di Dio.
Ma qui, per esprimerci come possiamo, non è un Dio solo che si unisce in tre persone; sono piuttosto tre persone che sono talmente unite tra loro da formare Uno Solo.
Questa distinzione, questo modo di esprimerci possono essere giudicati anche ereticali, ma rimangono un tentativo di esprimere la più profonda delle realtà misteriose, la più misteriosa delle realtà.
E’ diverso il punto di vista dal partire da un Dio solo in tre persone e, da tre persone in un Dio solo.
Tre persone un Dio solo, ha tutto un dinamismo vitale che converge nell’unità e si è manifestato.
Noi dobbiamo accogliere la manifestazione di Dio solo come ci viene dai Sacri Libri.
Tutto l’Antico Testamento è l’opera del Padre che prepara il futuro, è l’opera del Padre che si muove dall’inizio dei tempi: dall’eternità all’eternità. L’opera del Padre è tutta protesa verso un futuro che é l’Altro, che è Colui che deve venire. Il futuro che è espresso nell’Antico Testamento ha una tensione verso una Persona: la seconda Persona della Santissima Trinità.
Il Nuovo Testamento a sua volta, è tutta una tensione verso il Padre. Cogliamo i sentimenti di nostro Signore Gesù Cristo espressi in qualsiasi istante della sua vita: sono sempre rivolti: a Dio che è Padre, a Dio che è suo Padre, a Dio che è nostro Padre.
“Ecce venio ut faciam voluntem tuam nesciebatis quia in his, quae Patris mei sunt, oportet me esse”?
“Quae placita sunt ei facio semper”;
“Non mea sed tua voluntas fiat”
E’ tutta una preoccupazione fino al punto dell’incontro con il Padre che conclude il ciclo – per dire così- delle manifestazioni o della rivelazione della vita intima di Dio con la venuta dello Spirito Santo. Non può sorprendere l’affermazione di nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che io vada perché possa venire l’Altro, il Consolatore! Fin tanto che non viene il momento del congiungimento del Figlio con il Padre, non scocca l’ora della venuta dello Spirito Santo.
Cosi è la vita di Dio, così è la Chiesa di Dio.
Il Padre non è ripiegato su se stesso ma
è tutto rivolto verso il Figlio,
è tutto in relazione al Figlio,
è tutto per il Figlio,
è tutto del Figlio,
è tutto nel Figlio:
“relactio ad”
Il Padre è definito dal fatto:
di non essere di se stesso ma di essere dell’altro,
di non essere per se stesso ma di essere per l’altro,
di non essere in se stesso ma di essere nell’altro.
Il Figlio ugualmente è definito nel suo essere di Figlio dal fatto:
di essere tutto del Padre,
tutto per il Padre,
tutto nel Padre:
“Io e il Padre siamo uno solo”
Essere uno per l’altro, è essere l’uno, l’amore dell’altro.
Il Padre è tutto amore per il Figlio,
il Figlio che è tutto amore per il Padre,
lo Spirito Santo è tutto l’amore del Padre per il Figlio, è tutto l’amore del Figlio per il Padre.
Ecco l’unità di Dio: la convergenza di movimento vitale delle Divine Persone!
Se Dio ha detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, non poteva che farlo così. Non poteva farlo, che personale.
Come si definisce la persona dell’uomo?
Ecco il grande passaggio da una filosofia statica perché soltanto essenzialista, in una dinamica e quindi esistenziale. Ricordiamo le definizioni di Severino Boezio della scolastica a proposito della persona. Non sono cristiane. La persona umana, la persona fatta ad immagine di Dio è essenzialmente un essere capace di stabilire rapporti con gli altri, è essenzialmente un essere relativo, ‘relatio ad’.
E se la persona oltre ad una essenza è una esistenza, questa esistenza deve definirsi dalla sua relazione, dalla capacità di stabilire dei rapporti con gli altri come fanno le Divine Persone, non essere per se, in se, ma essere per gli altri, degli altri, a disposizione degli altri.
Qui c’è proprio il rovesciamento della tendenza individualista che si arrocca nell’egoismo e che trova la sua realizzazione nella carità, nell’azione dello Spirito Santo, nell’amore. Qui veramente siamo strappati dalla radice del peccato e siamo innestati nella radice della grazia, che fiorisce nella carità.
Ecco perché siamo Chiesa: perché siamo gli uni per gli altri, siamo gli uni degli altri, siamo una cosa sola con gli altri. Dovremmo diventare:’uno’ con tutti gli altri. Qui si definisce la Chiesa.
Qualcuno, in questi tempi, ha manifestato una certa apprensione per l’imperfezione del Magistero.
Qui c’è tanto margine di sicurezza! “Ama et fa quod vis”.
Questo è un bel relativismo morale: dal nostro egoismo alla piena disposizione per i nostri fratelli.
Qui c’è da fare, per essere quello che si deve essere, non per essere qualcosa in qualsiasi modo!
Ricordiamo la parabola dei talenti. Se ne abbiamo ricevuto due o cinque, noi non dobbiamo trafficarli per noi stessi ma per il bene dei nostri fratelli.
La persona è identificata con se stessa ed è inconfondibile rispetto a tutti gli altri.
Il Padre è uno solo con il Figlio, ma è infinitamente distinto dal Figlio.
Ognuno di noi deve essere talmente se stesso da non confondersi con nessuno. Ognuno deve raggiungere quella maturazione di doni naturali e di grazia dati da Nostro Signore Gesù Cristo che sono la caratteristica di ciascuno.
Ciascuno da Dio è amato e chiamato per nome. E’ conosciuto per nome. Quindi non c’è nessun collettivismo, nessun comunitarismo, nessun massimismo. Ma una distinzione distintissima e precisissima della persona di ciascuno di noi, che è con gli altri, una persona unica per gli altri e con gli altri.
Qual è il momento privilegiato in cui si incontrano il mistero trinitario con il mistero ecclesiale?
Qual é il momento in cui le Divine Persone sono più presenti e più operanti, per attuare il loro piano di salvezza in mezzo a noi: l’edificazione della Chiesa?
Questo tempo felice, questo momento forte è il mistero eucaristico.
Il mistero eucaristico è uscito da un certo isolamento per prendere le proporzioni che gli sono proprie, in seguito al movimento liturgico biblico e in seguito al ministero del Vaticano II .
Il mistero eucaristico era stato definito dall’antica teologia, dal nostro catechismo come il simbolo che, sotto le specie del pane del vino contiene realmente corpo, sangue, anima, divinità di nostro Signore Gesù Cristo per nutrimento delle anime.
Tutto è incentrato sulla presenza sacramentale, reale, di nostro Signore Gesù Cristo, sul sacrificio incruento di nostro Signore Gesù Cristo.
Cose vere ma estremamente incomplete.
Per avere dei riferimenti biblici prendete il capo sei di san Giovanni.
Gesù Cristo, pane di vita per avere la vita eterna, è dato dal Padre. Gesù è un dono del Padre.
Nel mistero eucaristico noi abbiamo la presenza attuale, operante del Padre che ci dona il Figlio suo: “Deus dilexit mundum ut filium suum daret”.
Per me personalmente vale soprattutto nel momento della celebrazione eucaristica. E’ il dono del Padre ed è un dono attuale per me, “hic et nunc”. Il corpo dato, il sangue versato è il dono del Padre, è l’adempimento della volontà del Padre. E’ il dono del Padre per raggiungere un determinato scopo. Lo scopo della sua divina volontà è di costituirsi un popolo, quindi di non santificarci e salvarci individualmente.
La comunione eucaristica come atto individuale, non ci deve essere. La comunione è il dono del Padre perché noi siamo in grado di attuare quei rapporti che ci costituiscono membri del popolo di Dio, in cui Dio ci vuole santificare e salvare.
Il mistero eucaristico è il compimento della volontà del Padre che vuole unificare tutti, dandoci per capo nostro Signore Gesù Cristo, “omnia restaurare in Cristo”, ricapitolare tutto e tutti in Cristo, darlo come capo alla sua chiesa che è il suo corpo. Tutto questo il Padre lo fa principalmente nel modo più efficace e più vitale proprio nel mistero eucaristico. Gesù è dato per noi.
Qual è la grazia di questo sacramento? E’ quella significata da tutti gli elementi di questo “signum”.
Tutti gli elementi di questo “signum” – secondo i documenti della rivelazione- si raggruppano almeno intorno a tre episodi ricordati dai diversi documenti, tre episodi inscindibili che costituiscono, tutti e tre nel loro linguaggio, la volontà di Dio e il significato di questa grazia:
1)la lavanda dei piedi,
2)il banchetto pasquale,
3)la morte in croce.
Se Gesù Cristo fosse semplicemente morto in croce e avesse detto”fate questo in memoria di me”, noi avremmo avuto un sacrificio come quello dei pagani, che offrono una vittima a Dio per riconoscere la sua sovrana maestà e non avremmo avuto un sacrificio dei figli che riconoscono il loro Padre, perché sarebbe mancato l’elemento del banchetto.
Sedere alla stessa mensa, mangiare lo stesso pane, bere alla stessa coppa, ed è mangiare un pane che è la carne, che é il corpo dato, immolato per la nostra salvezza, ed é bere alla coppa del vino che è il sangue versato per la nostra salvezza è un convito sacrificale, attraverso cui si partecipa ad un’immolazione: all’immolazione del Figlio di Dio. Gesù raccogliendoci alla stessa tavola,
dandoci da mangiare lo stesso pane e dandoci da bere lo stesso vino, fa di tutti noi una cosa sola: fa una comunità conviviale.
Dobbiamo tenere presente il senso biblico della cena, e quindi dello spezzare il pane, del bere alla coppa, della benedizione con cui ci benedice Dio.
Dell’atteggiamento che Gesù Cristo propone ai suoi. Lui, Maestro e Signore, lava i piedi ai suoi e poi dice: dovete fare così gli uni verso gli altri se volete essere miei discepoli.
Gesù che ci unisce come capo del suo corpo, come la vite i propri tralci, fa di noi i figli della famiglia del Padre, fa di noi l’unità nella carità e tutto questo avviene attraverso l’azione dello Spirito Santo.
Tanto per citare, non si può dire tutto. Quel corpo che ci è dato, è un corpo da mangiare, quel sangue che ci è dato è un sangue da bere. E’ un pane da mangiare, é un vino da bere, quindi la celebrazione del mistero eucaristico non ha senso, secondo la volontà di Dio e le intenzioni di nostro Signore Gesù Cristo, se non c’è la partecipazione del mangiare e del bere.
Sono da mangiare e da bere prima che essere da adorare e da conservare per dare la benedizione eucaristica! Qui ci sarebbe da sviluppare un altro punto: quello della presenza.
– Questo corpo di Cristo, per opera di chi è stato concepito? Per opera dello Spirito Santo.
– Da chi è stato condotto Gesù Cristo nella sua vita? Dallo Spirito Santo Santo.
– Il Padre, che ci ha dato questo corpo morto per noi, per opera di chi l’ha risuscitato? Per opera dello Spirito Santo.
Questo corpo glorioso -atti capitolo secondo- quando siede alla destra del Padre riceve lo Spirito per comunicarlo ai credenti. Quindi è un corpo vivificante, concepito, condotto, risuscitato vivificato dallo Spirito e reso vivificante dallo Spirito. E’ quello che si legge nel numero 17 . Il compito dello Spirito Santo nel mistero eucaristico è quello: di unificarci fra di noi, di congiungerci a nostro Signore Gesù Cristo, di farci comunicare a nostro Signore Gesù Cristo.
Qui siamo introdotti nella pienezza della intelligenza del mistero di nostro Signore Gesù Cristo.
Qui diventiamo le membra di Gesù Cristo Corpo,
qui diventiamo i tralci di Gesù Cristo Vite.
Il mistero eucaristico assume le sue proporzioni di avvenimento di qualche cosa che si compie;
assume le sue dimensioni personali dove è presente l’azione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo;
assume le sue dimensioni ecclesiali per l’edificazione della chiesa, per l’edificazione della fraternità nella carità.
Grazie della vostra pazienza.
Adesso mettetecela tutta per raccogliervi ed approfondire. Poi ci ritroveremo ancora per un po’ di discussione.
discussione…
(non tutte le domande si sentono dal registratore)
Cerchiamo di mantenerci nello spirito del ritiro, quindi facciamo lo sforzo di non considerare ciò che abbiamo ascoltato come una lezione, ma come una meditazione. Con molta semplicità e molto fraternamente, cerchiamo di esprimere qualche cosa, insieme, che ci aiuti a fare diventare questi misteri sorgente della nostra vita spirituale per l’efficacia del nostro ministero e nello stesso tempo modello.
….
….. I misteri hanno una forza esemplare unica, potentissima secondo cui noi dobbiamo modellare la nostra vita spirituale e secondo cui dobbiamo svolgere la nostra attività pastorale.
Questi misteri che sono fondamentali della nostra religione, devono diventare il traguardo dell’aggiornamento inteso nel senso più vasto della parola, che va dall’aggiornamento culturale teologico – spirituale- ascetico – mistico – senza avere la paura della parola mistico, a quella conseguente riforma che si è proposto il Concilio e che equivale a conversione di tutta la nostra persona, equivale a quella metanoia, a quel cambiamento di mentalità che è il punto più difficile della conversione. Convertirci da un difetto morale è relativamente facile, ma convertirci nel senso di cambiare il nostro modo di pensare, è molto più difficile, è molto più radicale.
Eppure il Concilio esige da noi questa conversione, questa riforma, perché esige un ritorno alle sorgenti.
Il concilio si propone di riportarci proprio nel vivo della più forte autenticità del mistero cristiano, guardando nel nostro modo di concepire una certa teologia, una certa spiritualità e anche una certa attività pastorale.
Noi dobbiamo tornare alla sostanza del mistero e non rimanere ai margini com’è capitato troppe volte.
Non dobbiamo considerare il mistero come “alta teologia”.
(interruzione sonoro, riprende sotto)
Se per teologia s’intende la scoperta di ciò che Dio ha voluto comunicare a noi di vitale, di esistenziale, quindi di operante nella nostra vita, per portarci alla salvezza – questo indubbiamente è teologia – non possiamo farne a meno, perché è come fare a meno della salvezza stessa.
Se per teologia, invece, intendiamo un sistema teologico, oppure una teologia speculativa che si é distaccata dal dato biblico per portarsi nella zona dei concetti e delle astrazioni e ha dimenticato la zona storica in cui accadono gli avvenimenti della salvezza, è evidente che qui non c’è teologia.
Della teologia, quella di cui abbiamo parlato prima, dobbiamo farne il nostro nutrimento, dobbiamo farne l’oggetto del nostro ministero.
Vi dico con semplicità e un po’ d’ingenuità e un pizzico d’illusione che la meditazione di questa mattina, l’ ho incominciata al principio d’anno, l’ ho proposta agli uomini, alle donne, alle suore.
Quando la si propone ai laici, che non hanno la mente deformata da una certa teologia, la accolgono con entusiasmo e senza difficoltà . Quando invece la si propone ai preti, si sente quell’espressione sgradita: questa è teologia, questo non è pratico.
Domanda che si sente
Potrebbe, a larghi tratti, darci la figura di un sacerdote strutturato secondo questa meditazione, secondo queste idee, perché noi, finora abbiamo studiato una teologia razionale, lontana dalla vita, e abbiamo fatto fatica a calarla nella nostra vita spirituale.
Questa che sentiamo oggi è più vicina, più calda, più scorrevole.
Lei che ha pensato a queste cose, ha pensato anche ad una figura di prete formato secondo queste idee?
Risposta
Credo che, per un po’ di tempo, fin tanto che non ci conosceremo bene, il nostro dialogo sarà un po’ un duello. Un duello nel senso che il magistero del concilio ci ha posto in crisi e ci propone: non degli altri contenuti, ma un contenuto più completo, più ricco, più efficiente di vita cristiana e di vita spirituale. Tutto questo non matura all’improvviso, sia per pensarlo sia proporlo.
Per rispondere alla sua precisa domanda, sono in condizione di darle una risposta molto confortevole.
Il secondo ciclo di meditazione che è già stato incominciato, riguarderà proprio i compiti specifici del sacerdote alla luce di questi tre misteri: il mistero trinitario, quello eucaristico e quello della chiesa
Evidentemente tutto questo ha bisogno di una elaborazione comunitaria. Dobbiamo dare, tutti, il nostro apporto nello studio e nella ricerca. < Voi intuite come da quei tre punti che abbiamo preso in considerazione, vengono fuori le conseguenze:
– il nostro ministero tende a formare delle comunità quindi ad edificare la chiesa,
– il nostro ministero è un ministero del presbiterio e non di un prete isolato;
– l’unità del presbiterio intorno al vescovo è per esprimere quella comunità di vita che ci è indicata dalla nostra consacrazione: partecipazione all’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo
– particolarmente, è molto importante nella vita nostra di oggi, che siamo tentati o di diventare – come diceva poco fa un vostro confratello – degli abatini oppure dei demagoghi, di fare alta contemplazione e paternalismo, oppure fare del socialismo cristiano, perché tanto in un estremo, come nell’altro non c’è il posto giusto del sacerdote.
D Cosa intende per aggiornamento spirituale e cosa dobbiamo intendere noi.
R Per aggiornamento spirituale noi dobbiamo intendere qualche cosa che molto probabilmente già esiste nella nostra vita spirituale, ma che potrebbe anche non esserci. Molto opportunamente nel libro “introduzione alla vita spirituale ” si distingue tra vita religiosa, vita interiore e vita spirituale.
Esclude i due primi termini: vita interiore e vita religiosa ed insiste sulla vita spirituale nel senso che deve essere una vita di rapporti tra persone.
Noi questa mattina abbiamo evidenziato come la nostra vita di cristiani è una vita di rapporti col Padre, col Figlio, con lo Spirito Santo.
Non con il Dio genericamente ma con il Dio vivente: il Padre di Nostro Signore Gesù Cristo che ci manda il suo Spirito perché noi siamo i suoi figli . Quindi deve essere una vita di rapporti personali con le tre Divine Persone e poi deve essere una vita di rapporti nella carità con tutte le persone che ci circondano. Questa è la nostra vita spirituale.
Noi, qualche volta, abbiamo fatto della vita spirituale un settore della giornata nel quale mettevamo il breviario, la meditazione, la visita al santissimo sacramento, la celebrazione della messa come atti di vita spirituale propria: un settore chiuso, non comunicante, forse neppure verso l’alto con le divine Persone, ma con un Dio generico.
Guardate che, noi siamo ancora ammalati delle conseguenze di un certo deismo astratto e non personale.
La religione cristiana è la religione del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.
I nostri rapporti devono essere rapporti con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo: con il Padre che è all’origine di tutto, con il Figlio che è l’immagine del Padre quindi il modello, br> con lo Spirito Santo che anima i rapporti del Padre e del Figlio e poi il rapporto con i fratelli.
Allora: l’adorazione, la celebrazione della messa, la recita del breviario, eccetera, devono essere i momenti forti in cui si chiariscono, si alimentano, si attuano questi rapporti: momenti in cui si attinge alla forza che Iddio ha disposto per noi perché questi rapporti diventino rapporti effettivi, momenti che devono dare una dimensione più personalistica alla nostra vita spirituale, in senso verticale con le divine Persone e in senso orizzontale con i fratelli.
Non devono mancare né l’uno né l’altro altrimenti manca la croce di nostro Signore Gesù Cristo.
Domanda che non sento
R Il Padre ha amato tanto il mondo da dare il suo Figlio, ma abbiamo cercato di concentrare tutta la nostra pietà in Gesù Cristo… Si. Tanto più una vita spirituale e un ministero sono Cristocentrici se sono autenticamente legati a Gesù Cristo che è Figlio del Padre e che ci anima per mezzo del suo Spirito. E’ il Cristo isolato, anche quello dell’eucaristia, che non è il Cristo completo.
Noi siamo arrivati al punto di concepire la solitudine del tabernacolo e ne abbiamo fatto oggetto di un discreto romanticismo. C’è anche un aspetto di verità, ma dobbiamo ricordare che Gesù Cristo afferma – e non era necessario lo affermasse: “il Padre non mi lascia mai solo”. Prima della lampada o delle lampade viventi, c’è il Padre accanto a Gesù Cristo!
Questo non esclude il dovere della nostra presenza, ma per corrispondere al dovere della nostra vocazione di figli del Padre.
Gesù Cristo fa di noi i figli del Padre.
La nostra caratteristica di cristiani è di essere figli di Dio e noi siamo figli nel Figlio: ci ha dato lo Spirito di adozione nel Figlio suo.
D Quando ha parlato dell’eucaristia mi pare – che abbia detto, non so come spiegarmi… il vantaggio che abbiamo dal rito della comunione, sembra che lei ne abbia fatto una cosa che riguarda tutti. E noi personalmente? E’ troppo togliere l’individuo, la persona per riportarci sugli altri.
R Lei si ricorda che, quando io ho accennato ad una descrizione della persona l’ ho definita proprio come “relatio ad”, ma anche ad essere quello che ognuno deve essere inconfondibilmente.
La Scrittura, sia l’antico testamento sia il nuovo testamento, quando descrivono il pastore dicono che il pastore è colui che conosce per nome le proprie pecorelle, quindi dinanzi a Dio noi siano distinti nella nostra individualità ed inconfondibilità.
Per il linguaggio biblico, assegnare il nome è definire una persona.
Il nome definisce una cosa e tanto più una persona. Avevo detto: niente massimismo, niente comunitarismo.
C’è un rapporto personale con nostro Signore Gesù Cristo, Capo da cui discende tutta la vita ed un rapporto con i nostri fratelli che sono invitati a sedere alla stessa mensa e mangiano lo stesso pane, e siamo animati da un unico Spirito, e siamo figli di un unico Padre.
D La chiesa, popolo di Dio, corpo mistico, tempio. Oggi io leggo sempre e sempre: popolo di Dio. In questa affermazione, sì che è popolo di Dio, ma pare di voler escludere gli altri aspetti. Insiste solo sul popolo di Dio anche per eliminare forse il magistero o interpretarlo in una maniera che non è esatta.
R Si. Non dobbiamo meravigliarci che questo accada. Per la gente essere stati promossi a popolo di Dio, a popolo sacerdotale, é stata una cosa bellissima. Ora dobbiamo stare attenti. Se alcuni dei nostri fedeli possono diventare unilaterali, accentuando soltanto uno dei misteri della nostra chiesa, fermandosi ad un’unica immagine, io voglio ricordare a me stesso e a tutti, che noi siamo stati, per tanti secoli, tanto unilaterali da escludere addirittura le definizioni che ci vengono dalle immagini bibliche e di aver dato della chiesa un’immagine deformata che non ha niente a che fare con la chiesa di nostro Signore Gesù Cristo.
La chiesa bisogna definirla con tutte le immagini, con tutte le espressioni di cui si serve la Rivelazione. La definizione completa, se c’è una definizione, l’abbiamo soltanto dalla somma di tutte le immagini che ci descrivono il mistero della chiesa perché: essendo la chiesa una realtà misteriosa, è indescrivibile, è inesauribile, allora si moltiplicano le immagini per notificare gli aspetti.
Tutti gli aspetti, poi, bisogna metterli insieme.
Non è che un aspetto escluda l’altro, però ognuno accentua una realtà più che un’altra.
Vedremo che il sacerdozio ministeriale si definisce soprattutto dall’immagine del corpo di nostro Signore Gesù Cristo.
Non si può (non si capisce dal registratore) dobbiamo portare un po’ le conseguenze di quei rivolgimenti che accadono in un determinato momento della storia.
D
Quando ha parlato del mistero eucaristico ha parlato della lavanda dei piedi e ha accentuato l’espressione “fate questo in memoria di me”. Ha solo questo significato ‘fate questo in memoria di me” la lavanda dei piedi?
R La lavanda dei piedi è riferita soltanto da san Giovanni, il quale non riporta l’istituzione della eucaristia, – è tutto eucaristico san Giovanni – è l’espressione ( non si legge il nastro) neotestamentaria della espressione del servo di Yavè, il servo di Dio che si umilia fino ad annientarsi per la redenzione di molti. E’ quasi come un parallelo. C’è da ricordare che la composizione del vangelo di san Giovanni è molto ritardata quindi avviene dopo un’esperienza ecclesiale che quindi, è un’eco della lettera ai Filippesi, exinanivit semetipsum . Qui c’è espresso l’annientamento detto più chiaramente nel “factus oboediens usque ad mortem”. Qui c’è già l’espressione della umiltà del servo, dello spirito di servizio, da rendere agli altri.
D
Comunione ecclesiale non individuale. Non penso che abbia inteso dire che non si può fare la comunione, come qualcuno fa, fuori della messa.
R
Ho detto che non c’era il tempo per soffermarci sul significato della presenza permanente di Gesù Cristo sotto i segni eucaristici e che anche questo sarebbe un tema interessantissimo. La presenza reale permanente di nostro Signore Gesù Cristo è sulla linea della celebrazione eucaristica e non è indipendente dalla celebrazione eucaristica, che noi concettualmente abbiamo troppo localizzato al momento della consacrazione, tanto che siamo andati a cercare dove è l’essenza della messa e qualcuno è arrivato a dire che era nell’offertorio.
Siamo in un avvenimento in cui si muove liberamente Dio, che ha certamente dei punti indicativi fissi nell’azione sacramentale, ma che va oltre il nostro modo di concepire. Quindi, niente paura di fare la comunione fuori della messa quando c’è una ragione, ma che sia inteso che la comunione è una partecipazione ad una celebrazione avvenuta e che, in un certo modo, ha ancora la sua continuità anche fuori dallo stretto rito liturgico. Io ritengo che l’unica ragione buona sia quella di non creare dei traumi tra la gente. Non c’è una ragione teologica. E’ semplicemente una ragione disciplinare.
D
Adesso ritornando a casa, ciascuno pensa alle sue cose, naturalmente c’è chi ha più, chi ha meno, chi ha delle risorse, chi non le ha, eccetera. E’ possibile, noi, vivere concretamente questa unità, oppure ciascuno ce ne ritorniamo soltanto con l’aver sentito tante cose belle?
R La risposta da una parte è molto semplice e dall’altra diventa molto complicata.
Se Iddio ha disposto le cose in modo da fare lo scherzo di dare alla chiesa come capo visibile un Papa Giovanni, è stato uno scherzo giocato agli elettori che pensavano di eleggere un papa di transizione e che invece ha fatto trasalire tutti.
Se il Concilio Vaticano II è stato voluto come un concilio di aggiornamento, vuole dire che non eravamo a posto.
Se il tema centrale del concilio è stato la chiesa, vuole dire che non eravamo a posto proprio sotto questo aspetto: dell’unità tra di noi per corrispondere al disegno di Dio ed essere una cosa sola nella carità.
Tutto il nostro modo di concepire, nel passato, era una perfezione individualistica, era una religione individualistica, era una preoccupazione moralistica che riguardava l’individuo, < quindi il nostro grande peccato, la nostra malattia era contro lo Spirito, era contro la carità.
Noi dobbiamo compiere la conversione in questo senso.
La conversione che ci chiede il Concilio è una conversione ecclesiale nel senso comunitario, nel senso dell’unità tra noi, nel segno della carità tra noi. Mai, questo, è stato detto con tanta chiarezza. Nel vangelo, se si voleva, lo si trovava. In san Paolo si trovava il primato della carità, ma noi abbiamo sempre continuato a dare il primato a tante altre cose.
Noi abbiamo misurato, per esempio, il livello della vita cristiana dal numero delle presenze alla santa messa. Non dico che, non sia un indice di cui non dobbiamo tenere conto, ma non abbiamo mai cercato il livello della vita cristiana nella zona della carità e nell’unione tra di noi, prima di tutto nell’unione tra di noi preti.
Il concetto del parroco vescovo e papa della sua parrocchia, sul quale si può fare dello spirito, non corrisponde ad una disposizione di animo contraria all’autorità. Se guardiamo lo spirito di dipendenza dall’autorità ne trovavamo prima e adesso. Ma quello era il vincolo dell’unione?
Il vincolo dell’unione è la dipendenza o l’amore?
E’ la dipendenza inspirata dall’amore?
E’ la dipendenza conseguente all’amore?
Pensavamo diversamente. Ecco la metanoia.
Ora il Concilio è stato celebrato da pochi anni. Queste cose tra noi le diciamo con tanta chiarezza soltanto oggi. Solo adesso incominciamo il discorso e, se pretendiamo di vederne già i frutti, esageriamo. Non dico che dobbiamo mettere davanti un tempo indefinito, ma ricordiamo che la legge della salvezza è legata alla dimensione storica, è una legge della crescita come il seme che deve avere il tempo di morire, di germogliare, di crescere, di dare frutti. Non si può raccogliere immediatamente.
Io sono disposto, se il Signore mi darà fiato, di dire queste cose per dieci anni. Dopo che avrò continuato, a ripeterle per dieci anni, incomincerò a pretendere che si vedano i frutti.
D domanda che non si legge
R Le contestazioni? Anche le contestazioni nella chiesa sono un fenomeno dei nostri tempi, che hanno degli aspetti che si possono deprecare, condannare, escludere, eccetera, ma che, se noi abbiamo l’umiltà di farci un esame di coscienza, ad un certo punto possiamo anche considerarle come il manico della scopa con cui lo Spirito Santo ci sveglia, o come il battipanni di cui si serve lo Spirito Santo per farci muovere, per accelerare la nostra crescita. Non canonizzo la contestazione, evidentemente perché il primo contestato finirei con l’essere io, però guardiamo le contestazioni con meno apprensione, con maggiore fiducia.
Mi attengo alla linea del sommo pontefice che a questo proposito si è pronunciato e ha detto quali sono le contestazioni che non hanno senso e quali sono quelle positive, perché il vangelo è la più grande contestazione che ci sia contro l’egoismo e contro i peccati degli uomini. I “guai a voi” di nostro Signore Gesù Cristo sono terribilmente contestativi.
Bisogna subito dire che il diritto canonico anche nella lettera è già superato in parecchi punti, soprattutto in ciò che riguarda le strutture ecclesiastiche, dai vari documenti ufficiali che sono del concilio stesso e poi dai decreti e tutti i documenti di esecuzione dei decreti che sono venuti dopo.
Circa le istruzioni sul mistero eucaristico sulle celebrazioni liturgiche, qui c’è già un’indicazione molto forte di come dovrebbe essere strutturata la vita parrocchiale.
D
Ha un senso chiedere come dobbiamo essere in conformità a questi principi?
Quale sarebbe il nostro comportamento ideale, o invece non è proprio nella natura stessa di quello che lei ha detto, una libertà interiore preponderante nel decidere. Cioè, se adesso si crea una specie di modello del sacerdote diverso da quello di prima, ma sempre secondo la legge,non è che sia una figura diversa…
R Ecco, io ti rispondo rimandandoti alla seconda meditazione che, con la grazia di Dio, faremo ancora prima della fine dell’anno e nella quale si mettono i fondamenti veramente teologici per definire il carattere specifico della personalità del sacerdote, secondo una mentalità ancora latente, se non corrente, senza nulla di definito nel senso della casistica, nel senso della indicazione pratica.
Se questa è una vita, ognuno la deve vivere tenendo presente che ci sono due limiti: la croce di nostro Signore Gesù Cristo a cui dobbiamo conformarci e la carità che ci ispira lo Spirito Santo. Quando il nostro comportamento non è contrario alla carità, e ci costringe nel senso di essere conformi a nostro Signore Gesù Cristo crocifisso perché lo Spirito Santo è lo spirito di Gesù Crocifisso, noi siamo a posto, ci possiamo muovere con tutta la libertà dei figli di Dio
D.
R. Riguardo al popolo di Dio. Anche a questo proposito mi permetto di rimandare alla seconda meditazione perché fin tanto che non è definito ciò che è proprio della gerarchia non potremo definire in quali limiti noi dobbiamo stare.
D Il sacerdote deve rinnovare la più grande difficoltà che può incontrare nella sua vita, la solitudine. Oggi se ne parla tanto quindi si spara contro il celibato, eccetera..
R. Le rispondo subito. Uno studio metodico esiste, ma quello di distinguere tra morale e dogmatica. Di fatto, è una sola la salvezza che ci porta nostro Signore Gesù Cristo, è una sola la sua grazia e, nella sua grazia conformemente al senso della sua grazia, noi dobbiamo trovare la soluzione di tutti i problemi della nostra vita personale, quindi, la morale cristiana è la morale della grazia di Dio, è la morale della fede. Fede e grazia di san Paolo! E’ nella fede, è nella grazia che trova soprattutto il sostegno per il problema della solitudine, cui lei accenna.
D
Non c’è niente come una vita fraternamente intesa nella carità che aiuti il sacerdote a superare anche la sua condizione di solitudine. In concreto, allora, sarà necessario arrivare per i presbiteri ad una forma di vita comunitaria anche esteriormente. Indubbiamente. Non so a quale distanza noi, storicamente, ci possiamo trovare, ma se non arriviamo a queste forme
R.
Io oso dire una cosa che non ho mai detto in pubblico alla quale vorrei non si desse importanza. C’è nella chiesa una confusione enorme tra vita religiosa e vita sacerdotale per cui, si ha noi il peso della vita religiosa senza averne i vantaggi e hanno gli altri di fare la figura di essere religiosi. Questo è uno dei punti sui quali si dovrebbe fare chiaro. Si dovrebbe definire con chiarezza dove consiste la vita religiosa. Mi pare che più religiosi di noi ce ne siano pochi. Voi siete maestri e potete dire più di quanto so io. Non per parlare male della vita religiosa .No. La vita religiosa nella chiesa è essenziale, guai se non ci fosse. Adesso tutte queste forme di istituti secolari che si mettono in concorrenza con gli istituti propriamente detti, avrebbero la pretesa, accolta dal buon Dio, di santificare la vita del sacerdote.
E’ un assurdo teologico che il sacerdote possa trovare in un istituto secolare i mezzi per la sua salvezza. Mezzi che non troverebbe, in ipotesi, proprio nel suo ministero, nel suo essere consacrato. E’ un assurdo teologico.
OM 205 Sacerdoti 69 – Santa Teresa, 6 marzo 1969