12 Giugno 1969 incontro con i sacerdoti in Seminario
Questa mattina, in questo incontro, vorrei essere capace di tenere un discorso pacato, sinceramente umile e semplice coi miei sacerdoti.
Vi sarete accorti che svolgo molto volentieri il ministero in mezzo ai miei sacerdoti. Non so se lo faccio per un’inclinazione naturale o per corrispondere ad un dovere. Indubbiamente il primo dovere che incombe sul vescovo è fare di tutto perché i suoi sacerdoti rispondano alla grazia di un comune sacerdozio: il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
Vorrei arrivare più avanti di un semplice esercizio del ministero. Ve lo dico sinceramente davanti al Signore. Vorrei arrivare ad un incontro sempre più personale, che ci dia la possibilità di una conoscenza quanto più possibile perfetta, per stabilire tra noi quella comunione che è esigita proprio dalla natura stessa del nostro comune sacerdozio, perché così possiamo dare ai nostri fedeli quella testimonianza di unità nella carità che è il più forte argomento e il più forte motivo per cui potranno credere a nostro Signore Gesù Cristo.
Per questo, come ho già rilevato altre volte ci vuole del tempo. Adesso abbiamo trascorso insieme un anno intero di attività pastorale. Io suppongo che voi vi domandiate – e io me lo domando per primo davanti al Signore-: che cosa ha fatto il Vescovo durante questo anno?
Che cosa intendeva fare specialmente in mezzo a noi sacerdoti? Credo e ammetto che per voi, questo, possa anche non essere chiaro perché le intenzioni di una persona – in questo caso sono io – si scoprono con una certa difficoltà, tanto più quando le intenzioni non sono dichiarate con assoluta chiarezza, non perché manca l’intenzione di essere chiaro, ma perché c’è una difficoltà ad essere chiaro.
Se guardiamo alle manifestazioni esteriori, qualcuno di voi e anche tutti voi, legittimamente potreste dire: quest’anno non abbiamo fatto niente. Qualcuno di voi ha già detto: ho avuto l’impressione che il Vescovo camminasse nella stratosfera, nell’astratto, nel teologico. Secondo un’espressione uscita da voi, ma detta francamente e personalmente, pare che il vescovo abbia fatto dell’alta teologia e quindi che siano mancate le iniziative pratiche, le indicazioni precise, le disposizioni dettagliate.
Qualcuno di voi o molti di voi o tutti voi, avete più di una ragione per pensare così. Questa non è un’accusa o una difesa. Questo è un parlarsi confidenzialmente. Non è che io rimanga male. Ve lo dico bene qui, davanti a nostro Signore Gesù Cristo. Affatto. Ho detto che non si può essere chiari, non per l’intenzione di non essere chiari, ma per la difficoltà ad essere chiari. Adesso per intenderci meglio cercherò di chiarire in una forma di meditazione davanti a nostro Signore, e non in una forma di apologia di me stesso.
Che cosa intendeva fare il vescovo con quel poco che ha fatto?
Mi riferisco principalmente all’esercizio del ministero della parola del vescovo che è il primo dei suoi ministeri, che è l’altissimo ministero, che è l’eccelso ministero come lo ha definito il concilio, di annunziare la parola di Dio in mezzo al popolo, ma soprattutto in mezzo ai suoi sacerdoti.
In concreto ci sono stati i ritiri. Sono stati pochi, ma c’è stato modo di dire qualche cosa. Ci sono stati gli incontri di Castiglione, e nei vicariati più di una volta.
Che cosa ha in mente il Vescovo?
Io ho in mente il concilio. Io ho in mente che abbiamo insieme la responsabilità di tradurre nella nostra vita e nel nostro ministero il grande insegnamento, l’eccezionale insegnamento che ci è stato proposto dal concilio. Non è necessario che ripeta qui, che il concilio ha come tema fondamentale la chiesa. Io ho cercato di farlo intendere in questo tempo, da quando mi trovo in mezzo a voi, nel modo più essenziale, nel modo più fondamentale, ridotto ai minimi termini – ma questa espressione deve essere intesa bene – perché si vada alla radice di quel rinnovamento, di quell’aggiornamento, di quel ritorno alle sorgenti. Sono queste le famose espressioni che si usano per dire in che senso ci impegna il concilio.
E, mi pare se sono stato chiaro di aver posto dinanzi a voi – come ho davanti alla mia coscienza e cerco di averlo davanti in un modo chiaro – i due estremi in mezzo ai quali dobbiamo situare noi stessi, la nostra vita spirituale e il nostro ministero. Da una parte ci sono le Divine Persone, dall’altra parte la persona dogli uomini, in mezzo c’è la nostra persona per il nostro ministero.
E, mi pare, se sono stato chiaro, di aver posto dinanzi a voi l’impegno, – mi permetto di chiamarlo impegno – di scoprire con chiarezza che: chi conta nella nostra vita, chi conta nel nostro ministero, chi conta nella vita di tutti gli uomini di tutto il mondo:
– è il Padre,
– è il Figlio,
– è lo Spirito Santo,
– è ciò che fa il Padre,
– è ciò che fa il Figlio,
– è ciò che fa lo Spirito Santo:
– è ciò che intendono fare e fanno il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Questa realtà essenziale ed infinita che determina ed è al fondamento ed è alla radice di tutte le altre realtà, nella nostra teologia e nella nostra spiritualità e nel nostro costume ecclesiastico, è stata rivestita di paludamenti tali, per cui è stata molto oscurata l’immediatezza personale di un Dio infinitamente personale, ed essenzialmente personale, di un Dio che non è indefinito, ma definitissimo, infinitamente definito dalla realtà delle relazioni personali: per cui:
– il Padre è il Padre
– il Figlio è il Figlio;
– lo Spirito Santo è lo Spirito Santo
– il Padre è il Padre perché ama il Figlio;
– il Figlio è il Figlio perché ama il Padre;
– e lo Spirito Santo è l’amore del Padre e del Figlio;
– e sono un Dio solo, e costituiscono una comunione di vita nell’amore.
Questa non è alta teologia. Questo non è astrattismo. Questo non è teoria. Questo è la realtà più alta, più concreta. Questa é la realtà di tutte le realtà. Tutte le altre realtà non possono essere, non possono sussistere se non sono sostenute da questa realtà di un Dio personale la cui natura è l’amore, la cui vita è l’amore, la cui esistenza è l’amore, il cui amore si riversa sugli uomini.
Abbiamo detto tante volte, ma lo dobbiamo dire e soprattutto capire meglio: il mistero che sta a fondo della vita cristiana, a fondo di tutti i misteri della vita cristiana è l’amore di Dio. Nulla si spiegherebbe, nulla si farebbe, nulla esisterebbe, nulla potrebbe esistere se non ci fosse l’infinito amore di Dio.
Domani è la festa liturgica del sacro cuore. Gli storici diranno quale importanza ha avuto questa devozione – che ha avuto anche le sue deviazioni – per portare la chiesa a prendere coscienza, con pienezza come lo ha fatto durante il concilio,
– del mistero dell’amore di Dio, – che è il mistero di una esistenza di Tre Persone che formano un Dio solo,
– che è il mistero della comunicazione, della offerta, della chiamata alla partecipazione di questo stesso amore, di questa stessa vita nell’amore, di questa stessa vita nella comunione di amore offerta agli uomini, nella quale noi troviamo la salvezza.
La salvezza noi la troviamo nel mistero dell’amore di Dio, nella realtà dell’amore di Dio. Nell’amore di Dio trinitario non in un qualsiasi amore di Dio! Nell’amore di Dio come è l’amore di Dio:
– che è l’amore del Padre per il Figlio
– che é l’amore del Figlio per il Padre,
– che è l’amore del Padre e del il Figlio ed è lo Spirito Santo,
– che sono il termine della nostra esistenza,
– che sono il modello della nostra esistenza
-che sono la sorgente della nostra esistenza.
Al posto di esistenza noi possiamo metterci salvezza, perché non c’è esistenza vera se non è salvata dall’amore di Dio. Questo è il primo punto del rinnovamento, dell’aggiornamento del ritorno alle sorgenti. – A quali sorgenti dobbiamo ritornare? – Alle sorgenti bibliche? Queste sono le sorgenti bibliche. – Alle sorgenti liturgiche? Lo stesso. – Alle sorgenti patristiche? Lo stesso.
Sono documenti che ci attestano questa sorgente e il rinnovamento, e l’aggiornamento devono essere fatti in questo senso. Cioè, la persona degli uomini deve trovare – come si esprime il concilio – il supremo modello e la sorgente della sua vita, della sua condotta, dei suoi costumi nella Trinità delle Divine Persone di un Dio solo Padre Figlio Spirito Santo.
– La persona dei nostri fratelli?
I nostri fratelli sono il punto del nostro inserimento nel mondo. Incontrare i nostri fratelli, scoprirli, capirli e quindi evangelizzarli, santificarli, guidarli, ma, – e qui c’è forse una difficoltà d’intesa – non secondo le esigenze che esprimono loro, ma secondo le esigenze che esprime Uno che sta prima di loro, cioè di Dio. L’uomo deve scoprire se stesso, deve scoprire la sua persona, deve scoprire la sua personalità nel modello che è Iddio.
La persona dell’uomo è fatta ad immagine e somiglianza della Persona Divina, della Persona in Dio. Questo è importante.
A me pare di poter dire, e lo dico senza pretese, che si possa affermare che noi, della persona filosoficamente e anche un po’ teologicamente, abbiamo dato una certa definizione: natura completa, concetto, azioni, attribuzioni, . Non dico che sia sbagliato. Ma secondo la rivelazione del mistero trinitario, la persona non è qualche cosa in se stessa e per se stessa, ma è qualche cosa per gli altri, è qualcheduno in quanto conta, in quanto vale per gli altri, in quanto è degli altri.
Oggi anche nella coscienza comune la persona prende il primo posto. Meno male! Avete letto quali affermazioni ha fatto il sommo pontefice a Ginevra a questo proposito. E’ importantissimo. Noi dobbiamo aiutare i nostri fratelli a scoprire se stessi, ad essere qualcuno, ad affermare se stessi secondo il modello che è stato concepito dalla infinita sapienza e dall’infinito amore di Dio.
Scusate se uso una espressione scolastica ma in questo caso ci facilita le cose.
Questa “relatio ad”, questo essere, questo essere pienamente, questo essere secondo tutte le possibilità, questo essere secondo il frutto e la maturazione di tutti i doni di natura e di grazia, è “Esse”, ma “ad”.
“Esse”, ma ” ad” è l’atteggiamento fondamentale della natura della persona umana; “Esse ad” è l’esigenza radicale della persona umana; “Esse ad” è la corrispondenza più piena al disegno di Dio di fare l’uomo a sua immagine e somiglianza, e quindi farlo personale, e di definire di conseguenza la sua persona secondo il modello di Dio stesso: “Esse ad”
Vedete dove ha le sue grandi radici il precetto della carità?
dove si sana veramente l’uomo ?
come si strappa l’uomo da quel male infinito che è l’odio che dà la morte ?
che è il peccato che si identifica con egoismo?
Quindi è l’impegno del nostro ministero di guardare a quel supremo modello e a quella sorgente che sono le Divine Persone, ai loro rapporti intimi che si consumano nell’amore, che hanno il loro compimento nell’amore che fa di tre persone un Dio solo, per interpretare, per aiutare ad interpretare se stessi, noi e gli altri fratelli, secondo questa via, secondo questa esigenza, secondo questa natura data da Dio che comporta con altrettanta evidenza, non soltanto corrispondere alla esigenza di essere per gli altri, quindi ad una esigenza di amore e di carità. Importa il più grande il più forte degli impegni della vita della persona umana del cristiano.
“L’amore di Cristo, infatti, ci domina avendo ponderato che uno solo morì per tutti” E’ l’espressione più alta, più piena dell’amore personale trinitario: il Padre che dà il Figlio, il Figlio che dà se stesso, lo Spirito Santo che lo dona a ciascheduno di noi ” dunque tutti morirono” Sapete in quale senso lo dice san Paolo.
“Se egli morì per tutti – ecco qui l’impegno – affinché quelli che vivono non vivono più per se stessi ma per colui che morì e risuscitò per loro”. Notate che c’è da completare, cioè, c’è un sottinteso in questa affermazione: “che vivono per lui”. “Lui” si identifica con i fratelli: “Quello che avrete fatto a uno di questi miei più piccoli lo avrete fatto a me”
Questo morire per Cristo, questo non vivere più per se stesso, ma per Cristo e per i fratelli, ma per Dio e per gli altri, è la realizzazione piena non solo del precetto dell’amore ma della persona dell’uomo. “Esse ad”.
Dicevo prima, che noi abbiamo dato una certa definizione delle azioni delle persone e poi le abbiamo rivestite di un complesso di virtù e ne abbiamo fatto il cristiano e il santo. Non è che non ci siano i cristiani e che non ci siano i santi. Non è che non ci siano stati i cristiani o i santi. Ci mancherebbe ancora! E’ il modo di concepire le cose che non è secondo il pensiero di Dio, che è un perdere il tempo, che è un vagare per sentieri che non portano direttamente alla meta, che è il non cogliere la radice i problemi.
Questo è il realismo verso cui noi dobbiamo orientarci: il Padre il Figlio lo Spirito Santo, che chiamano ad una comunione di amore noi che siamo molti, ma che dobbiamo fare una cosa sola.
La vita di comunione tra noi, la vita comunitaria, la vita di gruppo e tante altre cose devono essere definite, intese secondo questi principi, che hanno il loro supremo modello, la loro sorgente, la loro motivazione di essere nella Trinità delle Divine Persone di un solo Dio. Questo, ridotto ai termini essenziali, ai termini fondamentali!
Qui tra questi due termini si situa la nostra presenza. tra Dio e gli uomini c’è il nostro ministero nel nome di Dio a favore degli uomini per la salvezza degli uomini. Si potrebbero dire tante cose. Forse quelle che dico non sono le più importanti. E’ un tema sul quale vogliamo ritornare per una settimana intera nella vicina estate.
– In quale misura questo modo di concepire è chiaro in ognuno di noi, prima di tutto nella nostra vita?
-La nostra è veramente una vita di relazione con Cristo, per Cristo, in Cristo con il Padre, nello Spirito?
E’ la formula classica, essenziale: per mezzo di Cristo, in unione col Cristo, nel Cristo stesso in diretta personale relazione con il Padre da cui deriva tutto, da cui tutto ha principio, dal cui amore tutto ha origine sotto l’azione dello Spirito Santo.
Questo Spirito Santo è rispuntato – per dire così – nell’insegnamento del magistero soprattutto in quella forma di insegnamento che è la sacra liturgia. Le nuove anafore con le due biblesi prima della consacrazione e dopo la consacrazione, mettono in luce l’azione dello Spirito Santo. Vedrete quale tendenza si manifesta ancora nelle ‘instrutio’ per il nuovo ‘ordo’, che pure è così bella e così ricca. Quando parla delle biblesi, parla dell’azione onnipotente di Dio.
C’è una specie di rispetto umano a nominare lo Spirito Santo. Veramente dobbiamo dire: rispunta la presenza dello Spirito Santo. Ci siamo battuti tanto per il Figliolo ma non altrettanto per lo Spirito Santo che è l’anima e l’animazione di tutta la vita spirituale, della nostra vita spirituale di battezzati nello Spirito, della nostra vita di confermati nello Spirito, della nostra vita di consacrati per l’azione dello Spirito.
Il tipo della nostra vita spirituale. – Come ci troviamo nel movimento, nel gioco, nell’azione delle Divine Persone? – Sono veramente rapporti personali i nostri con le Divine Persone o è teologia e astrattismo?
Queste cose le dico bene, in un modo del tutto pacifico prima di tutto a me stesso, e mi permetto di ripetere quello che ho già detto tante volte. Se le cose fossero sempre state a posto non sarebbe stata necessaria quella rivoluzione o quel terremoto che è il concilio. Quindi, se c’è stato il concilio vuol dire che c’è da cambiare qualche cosa, e non qualche cosa di secondario, per riportarci alla radice delle realtà della vita, alle radici delle realtà della nostra santa fede.
– Il nostro ministero ha sempre come punto di partenza, evidente, l’amore infinito di Dio che manifestano le Divine Persone, rivelatesi attraverso la storia della salvezza per quello che sono, per quello che compiono per noi? – Ci riferiamo sempre, partiamo sempre da li? – Facciamo discendere tutto da questa sorgente?
Rigagnoli! Pozzanghere! Scusate queste parole: quando si muore di sete si beve anche in una pozzanghera. Ma c’è la sorgente!
– Ci riferiamo sempre lì, partiamo sempre di lì, ritorniamo sempre lì? Nulla deve essere staccato da lì o avere ragione di se stesso, perché l’unico che ha ragione per se stesso, di essere e agire per se stesso, è Dio.
– Abbiamo come termine della nostra azione, del nostro ministero la edificazione della persona come “esse ad” perché giunga ad una comunione di vita?
Abbiamo detto altre volte dell’edificazione della chiesa concepita come “messa in opera” di tutti i ministeri, di tutti gli uffici, di tutti i carismi per la edificazione della unità nella carità, per essere “uno solo” come il Padre e il Figlio e Spirito Santo “sono Uno”
Questi sono i due termini: le Divine Persone e la persona degli uomini, la comunione di amore in Dio, la comunione di amore tra noi che ha il suo modello, la sua sorgente in quella di Dio e in mezzo, lo strumento siamo noi, ma lo siamo e lo dobbiamo essere come persone e come comunione di persone; responsabilmente ma in un’unica comunione, veramente in una espressione di unità di intenti .
L’unità del presbiterio, il volerci bene tra di noi, l’andare d’accordo tra di noi, l’intenderci tra di noi, lo studiare insieme, il programmare insieme e l’eseguire insieme tra di noi senza individualismi, senza particolarismi.!..
Io non so se, a questo punto, il pensiero del vescovo può essere più chiaro. E guardatevi bene dal chiamarlo il pensiero del vescovo, se non lo scoprite come il pensiero di Dio e come il pensiero della chiesa, perché vale in quanto è pensiero di Dio, vale in quanto è pensiero della chiesa oggi!
Questa unità tra di noi. Io do molto importanza a quella espressione di unità tra di voi, che è nata dalla vostra libera determinazione ed elezione ed è il consiglio presbiterale. Non deve essere un organismo accanto agli altri organismi. Deve essere una espressione di unità, deve essere uno strumento per la edificazione della unità tra di noi, eve diventare la norma costringente della unità tra di noi.
I controlli, i richiami, i provvedimenti debbono essere operati spontaneamente da questa comune responsabilità, che è espressa in un determinato organismo. Questo non lo dico, per togliere a me e ai miei collaboratori l’ingrato compito di compiere queste parti. No. Ma: perché ci sia una maturità di coscienza più alta, perché ci sia una coscienza di unità e di concordia più vera, perché ci sia una corresponsabilità autentica. Qui c’è sempre la questione di quel tempo necessario per intenderci e capirci tra noi.
Credete che ci vuole più fortezza ad esercitare la pazienza per non fare un richiamo, di quanta ce ne voglia per fare un richiamo?
Un’altra cosa: non è indispensabile che il richiamo lo faccia personalmente il vescovo. Io dalla prima volta che ho parlato a voi, ho detto che considero azione mia qualsiasi azione di chi collabora con me e lo ripeto pacificamente e cordialmente al termine di un anno pastorale unicamente per chiarezza, per togliere qualsiasi equivoco. Vorrei essere creduto. Io faccio proprio così e non devo fare diversamente.
Mi pare che ci sia materia di meditazione. Non ho detto tutto quello che avrei voluto o potuto dire. Ho detto qualche cosa e spero che serva: per conoscerci meglio, per volerci più bene, per lavorare insieme nel senso del mistero trinitario, nel senso ecclesiale e nel senso ecclesiastico.
OM 223 Sacerdoti 69 – 12 Giugno 1969 incontro con i sacerdoti in Seminario