Il compito del Vescovo nella Diocesi:
continuare a rendere presente e operante la persona stessa di Gesù Cristo
Carissimi, mi pare di avere capito che il vostro desiderio è di sapere chi è il Vescovo, che cosa fa nella chiesa santa di Dio e, suppongo, cosa sta a fare il vostro Vescovo a Mantova.
Per arrivare ad avere qualche idea chiara su questo tema, dobbiamo partire da Colui dal quale sono stati concepiti e voluti i Vescovi: nostro Signore Gesù Cristo.
Se apriamo il Vangelo, gli Atti degli apostoli e particolarmente le lettere di san Paolo, troviamo delle affermazioni molto precise.
Gesù, quando ha incominciato la sua vita pubblica, ha dichiarato apertamente che era venuto su questa terra a dare il via al “Regno di Dio”. Che cosa significa questa espressione “Regno di Dio”? Non ha certamente un significato politico. In quel tempo la Palestina era sotto la dominazione dei romani e, quando Gesù affermava che era venuto per stabilire il “Regno di Dio”, molti anche tra i discepoli, pensavano che Gesù volesse sottrarre la Palestina al dominio di Roma per ricostituire il regno di Israele.
Ma Gesù è molto chiaro a questo proposito. “Il regno di Dio non è di questo mondo” (Gv 18,36) dichiarerà davanti a Pilato, “il regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17,21), cioè dentro di voi, nelle vostre persone. Il “Regno di Dio, per nostro Signore Gesù Cristo, è far sì che tutti gli uomini, non soltanto del suo tempo e del suo paese ma di tutti i tempi e di tutto il mondo, arrivino alla conoscenza del vero Dio (cf Gv 17,3) e a scoprire che il vero Dio e il loro padre (I Gv 3,1) e che essi sono figli di questo Padre.
Non solo. Nostro Signore Gesù Cristo è venuto su questa terra perché gli uomini abbiano una vita nuova, per essere Lui stesso questa vita nuova che vuole comunicare agli uomini, come la vite comunica la linfa ai tralci (cf Gv 15; 1ss) affinché come Lui è il vero Figlio di Dio così tutti gli uomini per mezzo di lui diventino veri figli di Dio. Ripeto. L’annuncio di Gesù, il suo Vangelo, non è semplicemente una notizia, un fatto, un avvenimento che si compie in mezzo a noi, per cui noi diventiamo figli di Dio.
Dio nostro Padre ci ama infinitamente e, per nostro amore, per strapparci dal peccato e per darci una vita nuova, manda il suo figliolo su questa terra perché diventi uno di noi e, al nostro posto, si carichi dei nostri peccati e li cancelli col suo sangue versato sulla croce. Ma Gesù Cristo, pur essendo Dio e perciò immortale, è uomo, quindi ad un certo punto lascia questa terra perché, nonostante abbia vinto la morte con la sua resurrezione, compiuti i giorni stabiliti da Dio, ritorna al Padre.
– Come faranno gli uomini che non si sono incontrati con Gesù Cristo, quando era su questa terra, a sapere la grande novità che sono figli di Dio e che Dio è il loro Padre?
– Come faranno a ricevere quella vita nuova che ha portato Gesù Cristo e che fa della nostra persona la nuova creatura per cui siamo figli di Dio?
– Come faranno questi figli di Dio a ritrovarsi, a stare insieme per costituire realmente una famiglia i cui membri comunicano tra loro la stessa vita, i problemi di una stessa esistenza e soprattutto i problemi del loro destino su questa terra e nell’altra vita? Gesù Cristo pensa alla continuità della sua missione e l’affida agli apostoli.
Chi sono gli apostoli? Gli apostoli sono persone comuni che Gesù incontra sulla strada che percorre; normalmente sono dei pescatori, perché la zona percorsa da Gesù Cristo era sulle rive del lago di Genezaret. Ma notiamo bene. Prima di fare di questi uomini incontrati sulla sua strada, dei pescatori di uomini, Gesù compie un lavoro che dura circa tre anni: li tiene con sé, poco per volta li distoglie dagli interessi di questo mondo, li distoglie realisticamente anche dal loro mestiere; soprattutto lavora nel loro intimo, si fa conoscere, si manifesta al punto di suscitare nel loro cuore e in tutta la loro persona un’attrattiva, un fascino e quindi un desiderio di stare con lui che matura in una vera amicizia. Perciò quelli che saranno gli apostoli, sono, prima di tutto, gli amici di Gesù e gli sono tanto amici che abbandonano il padre, la madre, le sorelle, la casa, le reti, pur di seguirlo.
Gesù aveva parecchi amici che lo seguivano fedelmente. Tra questi ne sceglie dodici e con loro stabilisce rapporti più intimi ancora: li prende da parte, li istruisce maggiormente, ma soprattutto con loro apre il suo cuore e li prepara ad un compito ben preciso. Facciamo un’osservazione che viene spontanea. Come mai Gesù Cristo predilige alcune persone, fa loro delle confidenze e dà a loro certi poteri? La condotta di Gesù è quella che il Padre ha adottato nei suoi rapporti con gli uomini e che cogliamo tanto nel Vecchio come nel Nuovo Testamento. Quando Dio predilige una persona è perché di questa persona intende servirsene per il bene degli altri. Iddio non ha davanti a sé soltanto il bene di alcuni ma il bene di tutti. Se un padre va più d’accordo con un figlio lo fa nell’interesse di tutti gli altri membri della famiglia. Così è di Dio nei nostri confronti. Così è di nostro Signore Gesù Cristo.
Questi prediletti un giorno sentiranno dire da Gesù parole inattese, molto gravi, molto sconvolgenti: “a me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato” (Mt. 28,19). In un’altra occasione, imponendo loro le mani dirà: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti” (Gv 20,22). Quando celebra l’ultima pasqua, prende il pane, lo spezza, lo distribuisce e dice “prendete e mangiate questo è il mio corpo”; così del vino:
“Prendete e bevete questo è il mio sangue” (cf Mt 26,26 ss); “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19).
In altre parole significa: questo gesto che io faccio questa sera per cui il pane diventa il mio corpo e il vino diventa il mio sangue, fatelo anche voi perché io sono con voi; e tutto quello che voi fate nel mio nome sono io stesso che lo faccio con la mia presenza, con la mia potenza. Dirà ancora:“chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. Ma chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato (Lc 10, 16): il Padre nostro che sta nei cieli.
La missione di Gesù:
che gli uomini conoscano Dio come il loro padre,
che gli uomini siano figli di Dio,
che gli uomini vivano da figli di Dio –
continua negli apostoli. Ma non è detto che gli apostoli siano capaci, da soli, con la loro intelligenza, di scoprire che noi siamo figli di Dio, che Dio e nostro padre; non è detto che gli apostoli siano capaci, loro personalmente, di fare di una creatura qualsiasi un figlio di Dio; tanto meno -direi- sono capaci di fare in modo che questi figli di Dio vadano d’accordo tra di loro. Questa capacità viene loro conferita da Gesù. Nostro Signore Gesù Cristo si serve degli apostoli come strumenti per l’annuncio della sua grande notizia che gli uomini sono figli di Dio, che Dio è nostro Padre e, per dare agli uomini la vita nuova di figli ai Dio e la capacità di vivere questa nuova vita.
Anche gli apostoli ad un certo punto cesseranno di vivere. Poiché la missione di Gesù Cristo, come abbiamo già detto, è per tutti i tempi, per tutti i luoghi, per tutti gli uomini, gli apostoli devono avere dei successori cioè, altri uomini amici di Gesù, che sono stati alla scuola di nostro Signore Gesù Cristo, che hanno ricevuto il potere di annunciare il Vangelo, di amministrare la vita di Dio, di aiutare gli uomini per mezzo di un’azione soprannaturale a vivere da figli di Dio e quindi da fratelli tra di loro. Questi sono i Vescovi. Questo è il vescovo.
Per capire il Vescovo, oggi, richiamo brevemente le situazioni in cui nel corso della storia i successori degli apostoli, con tutti i compiti affidati loro da nostro Signore Gesù Cristo, si sono trovati, perché la storia della chiesa è una storia che si svolge in questo mondo, è la storia di uomini che vivono in mezzo ad altri uomini.
Quando noi parliamo della chiesa la immaginiamo come qualche cosa di astratto, di angelico, di un altro mondo. La chiesa invece è eminentemente umana perché è formata di uomini e di donne. La chiesa siamo noi. La chiesa è ogni battezzato che vive in una determinata famiglia, in un determinato tempo della storia e va quindi soggetto a quei determinati condizionamenti che sono propri di tutti. Nostro Signore Gesù Cristo non ha voluto fare miracoli nel senso di sottrarre la sua chiesa alle conseguenze e ai condizionamenti che sarebbero venuti dalle situazioni storiche, che si sarebbero verificate attraverso i tempi. Noi vorremmo continuamente vedere dei miracoli. Dio, invece, di miracoli ne compie il meno possibile.
Nella condotta di Dio c’è questo fatto importante.
Dio ha stabilito l’ordine dell’universo, di tutta la creazione, ha fornito l’uomo d’intelligenza, di giudizio, di capacità di scelta, di libertà, di una personalità che risulta da molti fattori come il carattere, il temperamento, il tipo di educazione, l’ambiente. Nostro Signore Gesù Cristo fa un solo miracolo ed è un miracolo continuo: nonostante la chiesa sia costituita da uomini che sono condizionati dall’ambiente e dalle situazioni in cui vivono, tuttavia essa esce sempre viva da tutte le vicende, alcune volte un po’ sfigurata, altre volte meno sfigurata, alcune volte più bella, altre volte molto bella.
Se ricordate, Papa Giovanni, quando parlava le prime volte del Concilio diceva chiaramente che era preoccupato che il volto della chiesa, cioè dei cristiani – la chiesa in astratto non esiste – apparisse davanti al mondo luminoso, attraente, bello, senza macchia e senza rughe. Se ha voluto il concilio è proprio perché la chiesa si rinnovasse, si ringiovanisse, ritornasse ad essere, per quanto è possibile, come l’aveva concepita nostro Signore Gesù Cristo.
Quando nostro Signore Gesù Cristo ha stabilito che gli apostoli fossero i continuatori della sua missione sapeva molto bene i rischi ai quali sarebbe andato incontro, sapeva molto bene che ci sarebbero stati dei tempi nei quali, secondo le condizioni proprie della storia, i vescovi avrebbero corrisposto molto bene al suo disegno e dei tempi nei quali avrebbero corrisposto meno bene.
Ci troviamo di fronte alla storia della chiesa.
Nei primi secoli le comunità cristiane crescono e vivono tra molte difficoltà e in alcune zone sono in stato di martirio. I capi della chiesa, cioè il Vescovo di Roma e i Vescovi delle varie chiese, facilmente devono subire il martirio per attestare la loro fede in nostro Signore Gesù Cristo, per testimoniare quel vangelo, quella grazia, quella carità che vanno prodigando e infondendo nei loro fratelli.
Passati i primi tre secoli la chiesa non è più osteggiata, ma le condizioni e le sorti dell’umanità sono disastrose; i barbari invadono l’Impero; quindi anche l’Italia, l’impero di Roma poco per volta si sfascia, i capi civili delle città, dei borghi scompaiono. Sono rapidi cenni che ci aiutano a capire come ad un certo momento capita che a capo di queste comunità, anche in senso civile, vengano a trovarsi i Vescovi. Allora, oltre che vescovi sono anche – oggi diremmo tanto per intenderci – dei prefetti o dei sindaci.
Poi, sempre per cenni rapidissimi, viene il periodo in cui i signori si accaparrano le terre o le dominano. Mantova ne sa qualche cosa della signoria dei Gonzaga. Non c’è paese della nostra diocesi che non sia legato alla storia di qualche parente dei Gonzaga. Anche per i vescovi le cose cambiano.
Adesso sono i principi o gli imperatori che mettono a capo della diocesi i loro protetti o addirittura i membri delle loro famiglie. Quanti vescovi Gonzaga abbiamo nella storia della nostra chiesa! Per fortuna oltre a un san Luigi abbiamo anche qualche vescovo santo come il venerabile Francesco Gonzaga. Il cardinale Ercole ha avuto una parte importantissima nel concilio di Trento.
Capite che allora il vescovo non era scelto secondo le sue qualità di pastore del gregge di Dio, ma troppo volte per motivazioni di interesse personale o familiare dei potenti. Questo che avveniva in provincia, avveniva anche a Roma dove le grandi famiglie erano sempre in lotta per esprimere dal loro seno colui che governasse tutta la chiesa. Capite allora, come in quelle condizioni era facile confondere i signori con i vescovi, i principi con i vescovi. La chiesa è decaduta ma non si è perduta. Contro questa situazione si sono levati vescovi intrepidi come un san Damiano e papi che hanno dovuto affrontare l’esilio come un Gregorio VII°. Ma alcune conseguenze di quelle situazioni si sono protratte, in parte, fino ai nostri tempi, particolarmente in alcune forme di esteriorità di potere, di grandezza, di prestigio.
Mi chiederete: perché rimangono ancora queste cose. Io vi rispondo: perché le persone sono lente a cambiare; non tutto è scomparso anche perché la gente rimane legata alle tradizioni. Quelli che hanno per lo meno la mia età ricordano che quando arrivava il vescovo in parrocchia era un grande avvenimento: si andava a prenderlo all’inizio del paese con il baldacchino, le confraternite sfoggiavano le loro divise, arrivavano tutti i preti dei paesi vicini, si muoveva la banda. Era ancora un residuo di un prestigio esteriore, era ancora un tentativo per affermare ciò che non c’era con manifestazioni esterne che potessero incantare la gente. Immagino quelle sante anime di Mons. Origo e di Mons Menna quando arrivavano con il loro seguito, con tanto di pastorale, di mitria e di piviale e voi andavate ad accoglierli col baldacchino e la gente ai margini della strada faceva grandi acclamazioni perché veramente quello era un avvenimento non solo raro, ma si intuiva che aveva anche un significato.
Richiamo questi particolari per dimostrarvi come alcuni residui della storia cadono con molta difficoltà. Ci sono ancora degli arcipreti che, quando deve venire il vescovo, telefonano almeno quattro volte al segretario per sapere che cosa devono fare, come devono accoglierlo. Ora siamo in un tempo in cui molte cose esteriormente sono cadute e nelle persone tutto è cambiato. Un tempo, se uno non era principe o marchese o conte, non poteva pensare di diventare vescovo. Da molti decenni, invece, può diventare vescovo il figlio di un contadino come il figlio di un operaio o di un impiegato o di un professionista. Non vado oltre, mi avvicino di più al nostro argomento.
Chi è il vescovo? Il vescovo deve essere un amico di nostro Signore Gesù Cristo: un amico di Dio. Gesù ha detto agli apostoli: “voi siete i miei amici perché tutto quello che io ho udito dal Padre mio l ‘ho rivelato a voi” (Gv l5,15). Quello che si è verificato per gli apostoli si deve verificare per ogni successore degli apostoli, si deve verificare per gli apostoli di tutti i tempi e di tutti i luoghi che sono i vescovi.
Il vescovo deve essere un grande amico, un grande confidente di nostro Signore Gesù Cristo perché: ciò che deve essere e ciò che deve fare in mezzo ai suoi fratelli è: continuare a rendere presente e operante la persona stessa di Gesù Cristo. Ne viene di conseguenza che, se questa persona che è il vescovo non conosce bene la persona di Gesù Cristo, se non gode della amicizia di Gesù Cristo, se non mette come fondamento della sua vita la sequela di Gesù Cristo, non corrisponde al pensiero, all’intenzione e alla volontà di Gesù Cristo, che per mezzo del vescovo vuole comunicare la sua stessa vita agli uomini, che per mezzo del vescovo vuole unire tra di loro col vincolo dell’amore tutti gli uomini. Non lo potrà fare se il vescovo non è pienamente disponibile come un amico.
In che modo il vescovo vivrà la sua amicizia con nostro Signore Gesù Cristo? Gesù Cristo con gli apostoli si comportava in questo modo: li portava in disparte, pregava con loro; ed erano preghiera, le confidenze che egli faceva a loro, quello che faceva capire e sentire nel loro cuore. Il primo compito del vescovo è perciò quello di essere un uomo di preghiera. Capite che quando uno dice cose gravi e decisive e sa di parlare di se stesso, può venire anche lo sgomento. Io ne parlo davanti a voi con tutta semplicità e naturalezza, ma anche con tutta umiltà perché devo fare un esame di coscienza e chiedermi: ma io prego davvero? Io sono davvero un amico di nostro Signore Gesù Cristo? Io metto nostro Signore Gesù Cristo nelle condizioni di potersi rivelare, di poter far capire, in modo soprannaturale con l’azione della sua grazia, il valore e il significato del suo vangelo? Io sono veramente unito a nostro Signore Gesù Cristo e talmente docile nelle sue mani al punto che possa servirsi della mia persona per trasmettere la sua grazia, che è la sua vita portata su questa terra e di cui gli uomini devono vivere per essere figli di Dio?
Capite quale intimità ci deve essere tra me e nostro Signore Gesù Cristo? Per essere amico di nostro Signore Gesù Cristo, io debbo seguire nostro Signore Gesù Cristo e voi sapete che cosa ha detto Gesù: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). E’ molto facile portare la croce pettorale, un anello d’oro; è molto facile indossare dei paramenti e celebrare una santa Messa. Queste sono cose esteriori; la realtà è che Gesù Cristo sull’altare rende presente il suo sacrificio e che io, il sacrificio di Gesù, lo devo vivere ed esprimere nella mia persona. Questo non è uno scherzo! Se il vescovo è così o per lo meno si sforza di essere così, di conseguenza potrà adeguatamente svolgere i suoi compiti di vescovo.
Quali sono i miei compiti di vescovo? Lo abbiamo già detto e ripetuto. Il mio primo compito di vescovo è di dire a tutta la gente: voi siete figli di Dio e Dio è vostro padre. In altre parole: predicare il vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Non ci sono altri compiti più importanti.
Qualcuno pensa che sia più importante il governo della diocesi, l’amministrazione delle parrocchie, la nomina dei parroci e dei vice. No. Per tutto questo io posso incaricare un’altra persona che può fare anche meglio di me, ma predicare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo nessuno lo può fare meglio di me e nel modo più efficace. Non perché io sia un grande oratore, ma perché Gesù si serve di me per parlare e chi ascolta me ha la certezza di ascoltare nostro Signore Gesù Cristo. Questa è la cosa importante.
Del vescovo, molto più che di un conferenziere o di un predicatore, non si potrà mai dire: “Guarda come ha parlato bene”. Può anche non essere un parlatore. Ciò che è decisivo ed importante è che il vescovo è la voce di nostro Signore Gesù Cristo che si fa intendere ai nostri giorni, alla gente di oggi. Allora capite come sia importante per il vescovo conoscere molto bene il pensiero di Gesù e per questo essere amico di Gesù Cristo, ma anche quale impegno abbia di conoscere bene la gente a cui si rivolge. Ciò che ha detto nostro Signore Gesù Cristo io lo devo dire alla gente che ho davanti e che è la gente del mio tempo.
Davanti a me stanno delle nonne, dei nonni e dei nipoti. Care le mie nonne, i vostri nipoti del mio discorso di questa sera capiscono molte cose diverse da quelle che capite voi. Davanti a me ho dei padri e dei figli. I padri e i figli dal mio discorso porteranno via cose diverse e non perché i figli sono andati a scuola, ma perché sono i figli del loro tempo, che è molto diverso dal tempo dei loro genitori.
Il vescovo, come del resto, tutti gli educatori e i genitori in particolare, ha l’impegno di essere l’uomo dei propri giorni. Un prete che oggi è vescovo mi riferiva: in san Pietro c’era un grande convegno di giovani; è sceso papa Giovanni e ha rivolto loro la parola. Sapete che papa Giovanni parlava con tanta semplicità. Molti giovani dichiararono: “Questo è l’assistente che andrebbe bene per noi”. Papa Giovanni era un vecchio giovane. Ogni vescovo dovrebbe essere un vecchio giovane. C’è chi ci riesce e chi non ci riesce, ma certamente deve sforzarsi per riuscire. Un vescovo non può vivere alla giornata o di rendita per quello che ha studiato quando andava a scuola. Il vescovo deve studiare tutti i giorni per essere in grado di annunciare il vangelo di nostro Signore Gesù Cristo agli uomini di oggi.
E’ vero che la confessione è sempre la confessione, l’eucaristia è sempre l’eucaristia, il battesimo è sempre il battesimo, la messa è sempre la messa; però celebrare tutti questi sacramenti davanti alla gente di oggi impegna enormemente, perché la gente capisca quei segni, intenda quelle parole e attraverso quei segni e quelle parole possa mettersi in contatto con nostro Signore Gesù Cristo per ricevere la sua vita. Il vescovo ha la responsabilità di essere il segno chiaro e lo strumento trasparente di questa vita divina.
Altro compito formidabile del vescovo è quello di fare di tutti un solo ovile. In parole più semplici : fare in modo che le persone vadano d’accordo tra di loro. Se è vero che siamo figli di Dio, se è vero che Dio è nostro padre, se è vero che Gesù ci porta la vita nuova e ci dà la capacità di vivere questa vita nuova, il nostro impegno caratteristico di cristiani è quello di volerci bene. Compito del vescovo – denominato tante volte col titolo di pastore – è quello di guidare le pecorelle in modo che formino un unico ovile, stiano insieme e vadano d’accordo.
Guardate che noi siamo cristiani nella misura in cui vogliamo bene al nostro prossimo, noi siamo chiesa nella misura in cui andiamo d’accordo tra di noi, noi siamo perfetti nella misura dell’amore che coltiviamo nel nostro cuore per i nostri fratelli, figli dello stesso padre che sta nei cieli. Alle volte si ha la sensazione che facciamo consistere la vita cristiana più nella pratica di alcune prescrizioni, che nella sua sostanza, che è l’amore che i figli dello stesso Padre devono avere tra di loro.
Il grande compito del vescovo è far sì che intorno a lui tutti i sacerdoti si vogliano bene, è far sì che tutti quelli che si raccolgono introno al sacerdote si vogliano bene. Perché dico intorno ai sacerdoti? Perché, il vescovo non può arrivare personalmente e in un modo abituale a tutte le popolazioni. Nei documenti del Concilio Vaticano II ci sono espressioni felicissime a questo proposito.
Il parroco, il sacerdote è colui che rende presente il vescovo, è colui che fa le veci del vescovo, è colui che rappresenta il vescovo. Allora il sacerdote predica partecipando alla grazia del mio sacerdozio che è l’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, Il sacerdote amministra i sacramenti nel nome di nostro Signore Gesù Cristo per l’imposizione delle mani che ha ricevuto dal vescovo, Il sacerdote sta in mezzo ad una comunità come un pastore, perché le persone vadano d’accordo, nel nome di nostro Signore gesù Cristo per il mandato del vescovo che lo ha costituito pastore in quella parrocchia.
OM 363 Cerlongo 71 – 19 Gennaio