dove non ci deve essere
una subordinazione di lavoro ma una coordinazione
Martina Franca 1967 – Incontro con i sacerdoti –
Mi pare che la conclusione più logica dell’incontro di queste giornate, il ricordo più vivo che dobbiamo portare a casa, sia il sentimento della carità, che nella chiesa unisce tutti nell’unità, ma in particolare unisce noi sacerdoti.
Vi lascio allora come ricordo il numero 8 della Presbiterorum Ordinis dove sono messe in evidenza alcune cose che devono stimolare la nostra carità vicendevole e sono proposti degli esercizi particolari di carità sacerdotale, dove è soprattutto indicata la fonte, la sorgente di questa nostra carità che, è la partecipazione all’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo. Non esiste il mio e il vostro sacerdozio personale, ma l’unico sacerdozio a cui noi tutti, indistintamente, secondo il nostro grado, partecipiamo.
Partecipando, all’unico stato fondamentale dell’essere del Verbo incarnato sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo, tutti, troviamo in lui la sorgente della nostra carità perché, è proprio Cristo sacerdote e vittima del suo sacerdozio che ci ama come nessuno può amare, che ci ama di quell’amore più grande del quale non ce n’è un altro, che è dare la propria vita per i propri amici.
Noi partecipiamo proprio a questo essere del verbo incarnato, conseguentemente partecipiamo ai suoi sentimenti di dedizione, per cui ha dato se stesso per amore del Padre in redenzione e per la salvezza dei fratelli, quindi partecipiamo alla sorgente viva, alla fornace ardente di carità che nasce dal cuore di nostro Signore Gesù Cristo e che si dirige verso tutti e specialmente verso coloro che hanno una sorte comune come la nostra, verso coloro che partecipano al nostro stesso stato sacerdotale e come noi alla sorgente della carità di nostro Signore Gesù Cristo. Qui dobbiamo attingere pensando al nostro sacerdozio. Non separiamolo mai dai sentimenti di carità con cui Gesù Cristo ci ha amato ed ha fatto di noi, i suoi amici “Vos amici mei estis”.
E, ci ha fatto amici che non possono essere divisi tra loro. Siamo amici dello sposo della chiesa, dobbiamo essere amici nella chiesa. Questo è il motivo primo della nostra carità sacerdotale e che ci deve contraddistinguere anche nel ministero. Noi siamo tutti impegnati nella missione, che ci viene in conseguenza della partecipazione al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, che è l’edificazione dell’unica chiesa di Cristo, l’edificazione di quella chiesa particolare in cui il nostro sacerdozio è inserito concretamente come ambito e tempo d’azione, nel tempo della nostra esistenza e nel luogo della nostra attività. Non possiamo concepire la nostra attività disgiunta da quella dei fratelli. Il concilio dice che, lavorerebbe invano colui che pretendesse di concepire il suo ministero sacerdotale disgiunto da quello dei propri confratelli e da quello del vescovo.
Abbiamo un unico compito, l’edificazione della chiesa, questo tempio dello Spirito che è affidato al nostro ministero e tutti dobbiamo fare la nostra parte. Si verificano alcuni stati d’animo che derivano dal vedere le mansioni che ci possono essere in una diocesi, come dei compiti che indicano distinzione, onore, grado, privilegio. Cosa sono queste mansioni ecclesiastiche alle volte sancite anche dal diritto, in confronto alla realtà vera, sostanziale e salvifica in cui tutti abbiamo uno stesso compito anche se lo svolgiamo in mansioni diverse? C’è chi è in cura d’anime in modo diretto, chi è nelle parrocchie, chi deve dedicarsi allo studio in favore dei propri fratelli, ma tutti hanno lo scopo di edificare l’unica chiesa di nostro Signore Gesù Cristo. Non quella del vescovo.
Sarebbe un assurdo che, in un impegno tale, uno lavorasse per proprio conto, uno portasse massi e pilastri e lasciasse alla loro sorte coloro che edificano i muri o pretendesse di edificare una volta o una copertura senza che ci siano i muri. Sono immagini che dicono quanto è indispensabile una mutua partecipazione fraterna, sincera, leale, fattiva che toglie da noi qualsiasi motivo di rivalità, che non si confà all’opera meravigliosa di Dio a cui è destinato il nostro lavoro. Nostro Signore Gesù Cristo che ci manda a lavorare nella sua vigna ci deve trovare attenti e pronti, ma soprattutto uniti tra noi nello svolgimento dei nostri compiti.
Un altro motivo della nostra unione, soprannaturale ed evangelico è la natura sacramentale e visibile della chiesa. Questa mattina abbiamo rilevato che, il perno dell’unità della chiesa locale è il vescovo, che gli edificatori dell’unità sacramentale della chiesa sono i sacerdoti che devono comporla prima di tutto fra di loro, per poterla comporre in mezzo ai fedeli.
Lo scandalo delle divisioni tra i sacerdoti! Il nostro popolo è disposto a capire e perdonare tantissime mancanze ma non la cupidigia dei soldi e la mancanza di carità fraterna. Il nostro popolo compatisce le miserie che possono sembrare più gravi, ma non ammettere che il sacerdote sia avido dei beni terreni e che non voglia bene ai propri confratelli, perché Il sacerdote è sempre nell’atto di raccomandare e di predicare la carità, perché è il rappresentante dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo vivente che dona se stesso per gli altri! Si può avere carità per gli altri quando non la si dimostra per i più vicini, per i consanguinei, per i partecipanti al sangue di nostro Signore Gesù Cristo che sono i sacerdoti?
Oggi che di quando in quando, il nostro popolo gode di una concelebrazione e vede i sacerdoti bere ad uno stesso calice e assumere l’unico corpo di nostro Signore Gesù Cristo, non accetta che al di fuori della concelebrazione i sacerdoti non siano uniti tra loro. Gesù Cristo pone la carità vicendevole dei suoi, come condizione perché il mondo creda che lui è stato mandato dal padre. Riteniamolo questa condizione come avvenimento conclusivo di queste giornate benedette.
Andiamo a cercare tante ragioni del nostro insuccesso nell’apostolato, della scristianizzazione delle nostre popolazioni, dell’allontanamento di molti dalla chiesa. Abbiamo mai fatto un esame sulla nostra carità fraterna? Sullo spettacolo che diamo agli altri se non ci vogliamo bene? Volerci bene tra noi, qualsiasi debba essere il posto che occupiamo nella chiesa cui siamo destinati? In particolare oggi c’è il problema dei sacerdoti anziani e dei sacerdoti giovani. Sono due età diverse non solo di esistenza ma di storia. I tempi hanno camminato con una accelerazione mai verificata prima. Adesso c’è tanta distanza di mentalità, ma questo non è un motivo perché ci sia la distanza nella carità.
Dicono che, gli anziani guardano con simpatia e nostalgia i giovani sacerdoti e dicono che quelli di mezza età fanno certe facce ai giovani… Se i giovani in genere sono fastidiosi e hanno un’aria diversa dalla nostra non è poi detto che la nostra aria sia migliore della loro o che la loro sia peggiore della nostra. Dobbiamo guardarli con simpatia anche quando sono sulla strada di prendere delle “nasate”. Lasciate che se le prendano e poi, quando se le sono prese non dobbiamo ridere. Se le cureranno da soli o li aiuteremo a curarli! Naturalmente lo stesso discorso vale per i giovani che a volte butterebbero via tutto, senza sapere cosa devono mettere al posto di quello che hanno buttato.
Poi ci sono i parroci e i vice parroci, quelli che pretendono di essere giovani e non lo sono. E’ passato il tempo del padrone e del servitore! C’è l’unico, “unicissimo”, sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo; c’è un’unica chiesa da edificare dove non ci deve essere una subordinazione di lavoro ma una coordinazione. Conseguentemente, come in una qualsiasi organizzazione, anche la più piccola, ci deve essere un capo o costituito o eletto, ma questo capo non deve mai essere un padrone e l’altro non deve fare il “saputello”, ma sappia davvero, impari davvero, abbia davvero cose valide da proporre. Possono mantenere le loro idee che possono essere anche valide, possono vedere aspetti diversi di una stessa realtà, possono non avere gli stessi punti di vista. In qualsiasi modo sopra di tutto ci sia la carità.
Presbiterorum Ordinis 8 – Unione e cooperazione fraterna dei Presbiteri tra loro
A- “Tutti i Presbiteri, costituiti nell’Ordine del Presbiterato mediante l’Ordinazione, sono intimamente uniti tra di loro con la fraternità sacerdotale; ma in modo speciale essi formano un unico Presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo. Infatti, anche se si occupano di mansioni differenti, sempre, esercitano un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini.
Tutti i Presbiteri, cioè, hanno la missione di contribuire a una medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedichino alla ricerca dottrinale o all’insegnamento, sia che esercitino un mestiere manuale – condividendo le condizioni di vita degli operai, nel caso che ciò risulti conveniente e riceva l’approvazione dell’Autorità competente -, sia infine che svolgano altre opere d’apostolato o ordinate all’apostolato.
E’ chiaro che tutti lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del Corpo di Cristo, la quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi tempi. Pertanto, è assai necessario che tutti i Presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda, in modo da essere sempre cooperatori della verità (43).
B- Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri di questo Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: il che viene liturgicamente rappresentato fin dai tempi più antichi, nella cerimonia in cui i Presbiteri assistenti all’Ordinazione sono invitati a imporre le mani, assieme al Vescovo che ordina, sul capo del nuovo eletto, o anche quando concelebrano la Sacra Eucarestia in unione di affetti.
Ciascuno dei Presbiteri è dunque legato ai confratelli con il vincolo della carità, della preghiera e dell’incondizionata collaborazione, manifestando così quella unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una sola cosa, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre (46).
C- Per tali motivi, i più anziani devono veramente trattare come fratelli i più giovani aiutandoli nelle prime attività e responsabilità del ministero, sforzandosi anche di comprendere la loro mentalità, per quanto possa essere diversa, e guardando con simpatia le loro iniziative. I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l’età e l’esperienza degli anziani, sappiano studiare assieme ad essi i problemi riguardanti la cura d’anime, e collaborino con loro.
D- Animati da spirito fraterno, i Presbiteri non trascurino l’ospitalità (47), pratichino la beneficenza e la comunità di beni.(48), avendo speciale cura di quanti sono infermi, afflitti, sovraccarichi di lavoro, soli, o in esilio, nonché di coloro che soffrono la persecuzione (49).
E’ bene anche che si riuniscano volentieri per trascorrere assieme in allegria qualche momento di distensione e riposo, ricordando le parole con cui il Signore stesso invitava gli Apostoli stremati dalla fatica: « Venite in un luogo deserto a riposare un poco » (Marc. 6, 31).
Inoltre per far sì che i Presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata fra di essi una certa vita comune, ossia una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali: può trattarsi, cioè, di coabitazione, li dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni.
Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall’autorità ecclesiastica competente, fomentano – grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all’aiuto fraterno – la santità dei sacerdoti nell’esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l’Ordine dei Presbiteri.
E Infine, a causa della medesima partecipazione nel sacerdozio, sappiano i Presbiteri che sono specialmente responsabili nei confronti di coloro che soffrono qualche difficoltà; procurino dunque di aiutarli a tempo, anche con un delicato ammonimento, quando ce ne fosse bisogno. E per quanto riguarda coloro che fossero caduti in qualche mancanza, li trattino sempre con carità fraterna e comprensione, preghino per loro incessantemente e si mostrino in ogni occasione come veri fratelli e amici.”
OM 102 Martina Franca_15 1967