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Brevemente illustriamo ciascuno dei consigli evangelici per realizzare nella nostra vita la presenza dell’amore di Dio per il mondo, la presenza della continuazione del mistero di Cristo nel mondo, la presenza e l’azione della chiesa nel mondo.
Una condizione per essere liberi di dedicarci interamente all’amore di Dio, attuato nei nostri fratelli é: che scegliamo Dio e lo mettiamo al posto esclusivo della nostra vita, nella nostra persona. Non nel senso che sia esclusivamente nostro, ma nel senso che esclude in -un certo qual senso- tutte le altre cose. In una parola, dobbiamo realizzare l’amore nel modo più pieno, più completo, più perfetto. Questo é il traguardo da raggiungere, poco per volta, giorno per giorno nella nostra esistenza.
Il Concilio ha rotto una tradizione. Mentre la tradizione presentava i consigli evangelici in quest’ordine: povertà, castità, obbedienza, ha messo al primo posto la castità. Per quale motivo lo ha fatto? Perché essendo la vita religiosa caratterizzata dall’amore, l’amore ha la sua radice in tutto il nostro essere e in tutta la nostra capacità affettiva che va dalle energie del nostro corpo e del nostro spirito alla sensibilità, ai sentimenti e agli affetti che costituiscono il complesso della vita affettiva. Ma la castità, intesa in senso religioso non é semplicemente il rispetto e l’osservanza di ciò che richiede il sesto comandamento. E’ indubbiamente anche quello perché per essere religiosi bisogna essere cristiani, per essere cristiani bisogna essere uomini e donne.
Noi che tendiamo per uno stato particolare o di consacrazione sacramentale o di consacrazione religiosa ad essere pienamente liberi di amare, non dobbiamo guardare la castità come semplice aspetto di una legge morale. La castità diventa, addirittura, uno stato di vita che implica l’impegno di tutte le nostre energie affettive da indirizzare all’amore di Dio, che si riversi poi nei fratelli; oppure l’impegno di tutte le nostre capacità affettive rivolte ai nostri fratelli visti, stimati, abbracciati, amati, perché sono visti, stimati, abbracciati e amati da Dio. Così che noi mettiamo tutto il nostro complesso amoroso sotto l’azione dello Spirito Santo, che é l’Amore di Dio, perché trasformi queste nostre capacità in una vera capacità di amare come Dio ama.
La castità religiosa é l’innesto della nostra capacità umana di amare, nella capacità di amare che é propria di Dio, perché Dio si serva della nostra capacità di amare per amare al nostro posto: per amare per mezzo nostro se stesso, perché Dio ama se stesso per amore di Gesù Cristo, perché Dio manifesta il suo amore nel Cristo e noi possiamo amarlo nel Cristo per amare i nostri fratelli e sorelle nel Cristo, per amare tutte le creature che sono creature di Dio e che sono ricapitolate in Cristo per essere a lode della gloria di Dio.
Comprendete il significato religioso e soprannaturale e amoroso della castità e conseguentemente la capacità salvifica della castità in quanto diventa una capacità di amare gli altri: una capacità di amore fraterno, una capacità di amore materno. La castità diventa la fecondità di una esistenza consacrata a Dio nell’ordine soprannaturale della salvezza e della grazia, diventa una capacità di produrre grazia, perché é l’amore che produce la grazia: l’amore di Dio unito al nostro amore, il nostro amore unito all’amore di Dio, il nostro amore innestato nell’amore stesso di Dio.
Come sono alti il concetto e la natura della castità, come é prezioso il suo valore! Insisto. La castità non é semplicemente osservanza di un comandamento, é un ingresso gioioso nel mistero dell’amore del Signore che, si sprigiona e si riversa sulle sue creature per salvarle. Perciò nella persona consacrata in genere, nei religiosi e nelle religiose, la castità diventa una caratteristica singolare del cristianesimo.
Il cristianesimo é amore. Il grande precetto del cristianesimo é l’amore perché Dio é l’amore. L’amore non é solo il grande precetto, ma é una realtà. Noi non siamo soltanto obbligati e spinti e costretti ad amare da una legge esterna. Noi siamo investiti dall’amore di Dio per diventare a nostra volta capaci di amare. E diventiamo tanto più capaci di amare quanto più mettiamo tutto noi stessi a disposizione dell’Amore di Dio per diventare creature amanti e – lasciatemelo dire – creature anche amabili.
Non posso protrarre molto le mie considerazioni sul consiglio della castità perpetua e perfetta propria dello stato religioso ma posso aggiungere qualche cosa. Se la castità é una capacità di amare, elevata dalla grazia di Dio nel senso che Dio si serve delle nostre facoltà amorose per investirle del suo amore e renderci capaci di manifestare: l’amore di Dio nel mondo, l’amore di Cristo per il mondo, l’amore di Dio tra di noi, questo amore che investe ogni creatura avrà manifestazioni e caratteristiche diverse a secondo che questo amore di Dio investe le capacità amorose di un uomo: sacerdote o religioso, o le capacità amorose di una donna: una religiosa, perché altro é l’amore di un uomo, altro é l’amore di un padre, altro é l’amore di una madre.
Entrambi sono amori ed hanno un fondamento comune che è: uscire da se stessi per donarsi agli altri, ma l’amore dell’uomo che esce da se stesso per donarsi, diventerà l’amore di uno sposo e un amore paterno; diventerà un amore difensivo e protettivo, un amore che prende l’iniziativa, dirige e guida. Nella donna, invece, deve prendere le caratteristiche che sono eminentemente femminili, quindi diventerà un amore sponsale e materno.
La donna deve rimanere donna anche nella vita religiosa, anzi diventa più donna in forza della sua consacrazione religiosa perché diventa più creatura di Dio. Se Dio l’ ha voluta donna, sarà tanto più donna quanto più sarà di Dio, tanto più Dio sarà libero di realizzare in lei il suo disegno. Quanto più Egli attua il suo piano, tanto più diventa donna. Se é donna essendo sposa, é donna essendo madre. I concetti si moltiplicano e bisogna sceglierne alcuni essenziali per non dilungarci.
Nella consacrazione che prende le radici di tutto l’essere amoroso, deve attuarsi ciò che é tipico della donna e quindi un amore sponsale che é, come dice san Paolo, la preoccupazione della sposa di piacere allo sposo, quindi d’essere bella, graziosa, amabile. Se é amabile per il proprio sposo, diventa amabile tutto il suo essere anche con gli altri. Una suora scorbutica, sgarbata non lo é solo per le persone che le stanno vicine, ma lo é anche per Domine Iddio! Se realizza se stessa come donna, come sposa di Gesù Cristo, la sua preoccupazione ininterrotta é d’essere piacevole a Dio e finirà d’essere piacevole anche a chi la circonda.
Non bisogna incominciare ad essere piacevoli e amabili per le creature, per diventarlo poi per Dio. Il motivo per essere piacevole e graziosa e bella, é lo sguardo di Dio. Questa preoccupazione deve essere viva non per essere amata. Qui c’è il pericolo di pensare che Dio ci ami perché siamo belle. L’amore di Dio vi rende belle. Lasciatevi rendere belle dall’amore di Dio, lasciatevi rendere amabili e graziose dall’amore di Dio. Egli vi riveste di grazia come una sposa ornata per lo sposo, con una veste stupenda, con una corona sul capo…
Il tema della sposa é un tema biblico della rivelazione, della vita cristiana che, diventa concreto nella vita religiosa che é l’apice della vita cristiana. Questa deve essere la funzione della castità. Se vi foste sposate, tutto il vostro essere avrebbe teso a rendervi amabili ad un uomo. La castità deve rendervi amabili per Iddio e conseguentemente sarete amabili anche per le creature non per uno scopo umano, ma per una legge naturale della grazia della salvezza, per un fascino che emana dalla persona consacrata. E’ questo fascino di amabilità che c’è nella religiosa, che fa accendere i sentimenti più contrastanti, ma che diventa un mistero nel mondo della presenza dell’amore di Dio.
Siete spose e siete madri. Caratteristica della madre é la dedizione alle proprie creature. Per voi é la dedizione alle creature del proprio Sposo che é Dio creatore di tutto, è la dedizione alle creature del proprio sposo che é Cristo e sono gli uomini da redimere e da salvare, è la dedizione alle creature del proprio sposo che é lo Spirito Santo, e sono le creature da santificare che devono diventare l’oggetto del vostro amore di donne, quello del corpo e quello dello spirito, quello della sensibilità e quello dei sentimenti senza paura perché appartengono a Dio e sono consacrati a Dio.
C’è troppa paura nel mondo religioso a voler bene. Certo! Se l’amore lo si intende in un modo non consacrato, non soprannaturale, non crocifisso, non redento, non purificato, non custodito dal mistero della croce e dalla conseguente pratica della mortificazione, diventa un “pasticcio” in nome dell’amore di Dio e di nnostro Signore Gesù Cristo. Ma non é il pericolo di “fare dei pasticci” che, ci deve trattenere dall’amore. Qualsiasi attività umana da quella delle mani a quella della parola, può servire per il bene e per il male. Allora, poiché possono servire per il male non devo servirmene per il bene?
Il grande tesoro della capacità di amare nella persona consacrata, tante volte viene trascurato per la paura di un amore disordinato. Certo, bisogna essere limpidi, chiari, soprannaturali, castigati, mortificati, crocifissi, ma bisogna essere amanti. Chi non ama rimane nella morte. Noi sappiamo di passare o di essere stati trasferiti dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli e li amiamo col cuore, e quando si dice cuore, si dice tutto il complesso affettivo.
L’amore per essere umano deve anche essere manifestato. Naturalmente ci sono delle espressioni che manifestano un amore sponsale e terreno, che é materno fisicamente, ma c’è un amore che é religioso e che ha le sue manifestazioni umane. Come saranno? Non si può scendere in dettagli ma, se é un amore umano deve essere un amore che si manifesta, perché Dio ha manifestato il suo amore. Se Iddio avesse continuato a dire per quaranta secoli della storia “Io vi amo” e non avesse mai fatto niente per dimostrare il suo amore, noi potremmo anche dubitare; ma quando per amore si é manifesto come un padre, come uno sposo, come un amico, allora noi abbiamo il dovere di credere. Tutto quello che intercorre tra gli uomini, tra le creature deve avere conseguentemente, le sue manifestazioni. Se l’amore c’è si deve vedere, non si deve credere perché neppure all’amore di Dio si crede se non ci fossero tanti segni che lo rendono evidente.
Fedeltà alla povertà. Non faccio tante riflessioni. Si tratta della libertà del cuore.
La povertà consiste in un sentimento d’indigenza nei confronti di Dio, per cui si attende tutto da Dio. La povertà é quel sentimento che fa “atti” di possesso delle cose ma le rispetta come dono di Dio. Poiché le creature e le cose sono di Dio io non le posseggo, io le uso con gioia, con gusto, ma non mi ci attacco. Questo “non mi ci attacco” é una cosa seria perché, fin quando una cosa non ce l’ ho, non mi ci attacco, ma quando ce l’ ho c’è il pericolo di attaccarvisi. Siamo poveri e beati fino a quando non abbiamo quattrini. Viceversa potrebbe esserci il pericolo di diventare beati se ne abbiamo molti. Le suore sono povere fino quando non hanno niente. Quando incominciate ad avere l’acqua, il riscaldamento, la televisione… e… finite di avere! La povertà religiosa deve avere le sue espressioni affettive perché se si tiene più distaccato il cuore, quante meno occasioni e pericoli ci sono.
Per riportare le cose nella loro funzione: la povertà ha la funzione di renderci più capaci di amare come la castità. Se una creatura umana attacca il proprio cuore alle ricchezze di questo mondo… (non so se penso giusto!) Credo che ci sia un disordine maggiore ad essere attaccato al danaro, per dire qualunque interesse materiale, che avere il cuore attaccato ad una creatura umana, perché il danaro é un valore più basso della creatura umana. Mi pare che, oggettivamente, un peccato contro la povertà o la disposizione, per esempio, alla avarizia sia un peccato più degradante di un peccato contro la purezza e che l’avarizia sia una disposizione più pericolosa di una certa inclinazione o debolezza nel campo della castità.
Noi ci siamo molto impressionati, abbiamo molto parlato, ci siamo molto preoccupati del problema della castità, che poi era nient’altro che l’osservanza del sesto comandamento espresso in una litania di peccati nei pensieri, nei sentimenti negli sguardi. C’è ben altro. C’è l’aspetto positivo. Abbiamo dato poca importanza alla povertà e siamo andati a finire in cose come queste: l’ago, il ditale, l’orologio, le mille lire senza dirlo alla superiora. I predicatori degli esercizi dicono che, il diavolo incomincia dal filo che poi diventerà una corda quindi un laccio che strangola. Non esageriamo. E’ qualche cosa di più sostanziale. Bisogna badare a questa bella libertà nei confronti delle cose, a questa bella gioia di mantenere il cuore libero.
Ci sono manifestazioni d’attaccamento del cuore da parte del mondo religioso che impressionano. Le bambine non possono passare da una parte perché sporcano. Dall’altra parte non possono giocare perché rompono i vetri. I giovani non possono entrare perché disturbano la santa regola. Sono manifestazioni contrarie alla povertà. Non si é liberi, non si é disponibili. Non lasciate che le creature di Dio siano di Dio, del loro creatore! Non pensate che “quelle” creature degli uomini valgono più dei muri, più dei vetri e sono più preziose dei pavimenti lucidi?
“Uno” non ama fino a quando pensa a se stesso, fino a quando al primo posto pone se stesso. L’amore non é egoismo, ma altruismo. L’amore é rapporto con un altro nel dare. Nel dare si avrà e, “il dare” é il mezzo autentico per avere. Dare non con calcolo specialmente rispetto alle creature. Quando si é in questa condizione di darsi a Dio prima di tutto? Non mea sed tua volumptas fiat”; exinanivit semetipsum factus hobedens usqua ad mortem, mortem autem crucis. Ecco qui il mistero: annientò se stesso, “fatto sottomesso” fino alla umiliazione della morte di croce. Sono cose che si possono fare solo per Iddio. Non si possono fare per la bella faccia della superiora o per le creature. Ecco dove nascono i problemi dell’obbedienza religiosa! Qui c’è la questione di attuare nella propria vita l’amore di Dio e l’amore del prossimo.
Allora l’uomo ha bisogno di scoprire Iddio nel prossimo. Chi mi rappresenta Dio mi deve rappresentare l’amore di Dio. Da nessuna parte c’è, che qualcuno rappresenta l’autorità di Dio, mentre c’è da tutte le parti che bisogna rappresentare l’amore di Dio e manifestarlo perché Dio ci vuole sottomessi al suo amore e non alla sua potenza. Per sottometterci alla sua autorità bastava un “et” della sua volontà e ci avrebbe annientati. Vuole la sottomissione all’amore e questo avviene quando c’è la manifestazione, l’incarnazione, l’espressione dell’amore di Dio che é amabilità, tenerezza, delicatezza, rispetto. Dio ci rispetta. Gesù Cristo si mette in ginocchio davanti agli apostoli e lava a loro i piedi. Gesù Cristo dice: “Voi mi chiamate maestro e signore e dite bene, lo sono. Se io maestro e signore ho lavato a voi i piedi, voi dovete fare altrettanto”.
Il problema dell’obbedienza si risolve risolvendo il problema dell’autorità nella chiesa. Noi Vescovi col “mitra” e il pastorale siamo i “servi servorum dei”! Deve essere vero e non solo per modo di dire. Noi siamo i ministri di Dio, quindi i servi di Dio. Il termine ministro é legato alle categorie correnti: ministro della pubblica istruzione, ministro degli interni, ministro degli esteri ecc. No. Ministro é colui che serve e non colui che amministra.
Attraverso questa Kenosis, cioè attraverso questo annientamento “exinanivit semetipsum” raggiungiamo la pienezza di noi stessi. Quando Cristo é stato se stesso? Il giorno della risurrezione. Infatti è stato costituito Signore il giorno della risurrezione. Entrò nella gloria del Padre in conseguenza della risurrezione. Fu fatto se stesso perché risorse da morte. Ma raggiunse la risurrezione attraverso la passione, la morte, l’annientamento. Ecco perché l’obbedienza non é la mortificazione della propria personalità, ma è invece, la massima espansione della personalità.
Avendo annientato me stesso per amore di Dio, mi metto danti a lui in tutto il mio “niente”, in tutta la mia povertà e Dio mi arricchisce di tutti i suoi beni, quindi arricchisce anche la mia persona. Cioè mi salva, mi dà la possibilità di realizzare tutto me stesso con la sua grazia perché mi sono fatto indigente. “Fecit mihi magna qui potens est quia respexit humilitatem ancillae suae”. Tutti mi chiameranno beata. Sarò grande perché ero vuota di me stessa e Dio ha potuto operare in me. L’obbedienza intesa in questo modo non é un accordo giuridico di dipendenza, ma è un rapporto di amore di Dio e di amore del prossimo perché io mi dono totalmente a Dio affinché faccia di me lo strumento di salvezza dei miei fratelli.
Il motivo per cui Cristo ha preso l’aspetto di servo ed é diventato obbediente fino alla morte di croce é la nostra salvezza. Il motivo per cui in noi ci devono essere questi segni come nel Cristo é perché noi, col nostro annientamento, diventiamo prezzo ed elemento di salvezza per tutti i nostri fratelli. Vedete allora come i tre consigli evangelici della castità, della povertà e della obbedienza sono tra loro intercomunicanti e riguardano la realizzazione della nostra vita di amore. I consigli evangelici non sono: uno é povero, l’altro é casto, l’altro é obbediente.
Uno é casto in proporzione del suo spirito di povertà ed é obbediente nella misura in cui é casto, ed é povero nella misura in cui é obbediente. Sono elementi, sono espressioni di un’unica vita legati tra di loro, intercomunicanti, complementari uno all’altro. Non é che la povertà completi di più la castità, che la castità completi di più l’obbedienza. No. L’un l’altro si completano e non si possono scindere, perché hanno insieme l’unica funzione di renderci più capaci di amare. Ed é appunto in una maggiore capacità di amare che noi realizziamo noi stessi. E’ nella capacità di amare che noi acquistiamo maggiore personalità.
Intanto in ognuno di noi ci sarà una personalità più grande, in quanto in ognuno di noi ci sarà una capacità più grande di amare, e questa capacità la acquistiamo scoprendo l’amore di Dio per noi, lasciando che Dio investa tutta la nostra capacità di amare, che in noi realizzi l’amore di uomo o l’amore di donna attraverso queste che sono semplicemente delle condizioni: essere casti, essere poveri, essere obbedienti.
Così sia.
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