Dio misericordioso e fedele, offerto alla nostra libertà, è il solo che può creare in noi il vero senso del peccato. Se Dio fosse l’ente supremo, “trascendente”, “assoluto”, ma non avesse un rapporto personale con la creatura, “e non fosse dalla nostra parte” e non avesse compiuto e non compisse continuamente le cose meravigliose che ci propone, che culminano nella comunione di vita con sè; ignorare questo Dio, “trascurare”, ‘ ed eventualmente disubbidirlo, “al limite”, potrebbe anche non essere una colpa. Che c’è tra me e te? Solo perchè tu sei l’assoluto e io sono limitato, “ci deve essere una ragione per cui io ti stia sottomesso? Quindi è soltanto l’amore di Dio”, e nella misura in cui si comprende l’amore di Dio, “si acquista il senso del peccato. Se si acquista il senso del peccato”, “si acquista anche il senso della contrizione”, “del rincrescimento”, “del desiderio della conversione”, “di ritornare a lui”, “di ritrovare il suo amore”, “di garantircelo il suo amore”, perchè è l’unico bene. Mi pare che dica un proverbio arabo:
“dove c’è fede c’è pace,”
“dove c’è pace c’è amore,”
“dove c’è amore c’è Dio,”
“dove c’è Dio c’è ogni bene”
Riconoscere il peccato e concepire sentimenti di contrizione, “il passo è breve per comprendere anche il bisogno della penitenza”. “La penitenza, che il Signore vuole”, non è il “sacrificio di molti olocausti”, “di molti buoi” “di molti arieti”, ma è il cuore contrito. ¬ “Un cuore contrito e umiliato tu non lo disprezzi”. E un cuore umile è l’atteggiamento e il senso di povertà. La povertà, “in senso biblico”, è proprio questo sentimento della dipendenza dall’amore di Dio, come del mendicante che attende tutto dall’altro che gli vuole bene.
Vedete come oggi si parla tanto di povertà. Di povertà nella chiesa, “di povertà della chiesa”, di poveri. Da un punto di vista sociale, “sono cose che si possono anche accettare”, “ma Gesù ‘ Cristo ‘ va più a fondo”, “Dio va più a fondo”. Vuole la povertà del cuore, “vuole che il cuore sia sgombro”, “che il cuore sia libero”, “che ci siano le condizioni per depositare i tesori del suo amore”, “che ci sia posto per lui che ci ama. Questa è la povertà”.
“E, ‘ perchè Dio possa entrare e trovare posto”, veramente noi dobbiamo spezzare il nostro cuore perchè, “in un modo e in un altro”, “alle volte quasi inconsciamente”, “noi lo racchiudiamo per attaccamenti sottili a noi stessi”, agli altri, “alle cose”, a ciò che non è Dio. Allora spezzare il cuore, “rompere questi fili segreti o pure anche scoperti”, costa. Gesù Cristo, “che è l’agnello di Dio che porta il peccato del mondo”, “che ha sulle spalle il peccato del mondo”, che porta l’abisso della separazione tra l’amore di Dio e l’ infedeltà, “l’idolatria dell’uomo”, ha colmato questo abisso con la contrizione di se stesso, “con l’annientamento di se stesso”, “con la morte in croce”. Ritorneremo su questo pensiero.’
L’inizio del ministero di nostro Signore Gesù Cristo è formulato in questi termini: “convertitevi perchè il regno di Dio è in mezzo a voi “. Convertirsi vuole dire: girarsi dall’altra parte. Prima si era rivolti con le spalle a Dio e la faccia “agli idoli”, “alle creature”, “al di fuori del piano di Dio”. Si deve cambiare atteggiamento “e rivolgere il nostro volto verso il volto di Dio”, verso il volto del Padre. ¬ “Ritornerò al Padre mio”. Ma questo deve essere un ritornare sui nostri passi, “che attraversa il nostro cuore”, che attraversa la nostra mente e tutto il nostro essere, “tutto l’intimo del nostro essere”. Non è semplicemente cambiando una condotta, una abitudine o altro che ci si converte! Ci si converte quando con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutto noi stessi si accoglie di Dio e si lasciano alle spalle tutti gli idoli. Insisto. Tutto questo costa.
Gesù ‘ inizia il suo ministero con le parole: ¬ “convertitevi, il regno di Dio è in mezzo a voi” intraprende il suo cammino verso Gerusalemme. E’ un cammino lungo quello di Gesù : dalla Galilea alla Samaria, “dalla Giudea e ritorno”, sconfina nella Decapoli, va sul Tabor. Ma, “la meta è Gerusalemme dove il figlio dell’uomo sarà tradito”, flagellato, ‘ crocifisso e morirà. Gli apostoli, ‘ per bocca di Pietro, ‘ si ribellano: ‘¬non sia mai ‘. E Gesù ‘ di rimando: ¬ “va lontano satana”. Perchè se io non spezzo il peccato, ‘”spezzando me stesso non getto il ponte”, non sono il pontefice che unisce Dio agli uomini, “gli uomini” a Dio. Perciò tutta la vita di Cristo, secondo l’espressione dell’autore della imitazione di Cristo, <<crux fuit et mors. Fu una crocifissione e una morte.>> “Contraddizione”, “persecuzione”, disagi. Dobbiamo notare come il suo ministero, “Gesù”, “lo incominci non soltanto pregando ma digiunando. E’ il discorso della necessità della penitenza”, “della necessità di rinnegare se stessi”, “di prendere la propria croce”, “di seguire Lui”, che cammina lungo la via della croce, per essere suoi discepoli, è un discorso ininterrotto che fa nostro Signore Gesù “Cristo”. Quindi come stamattina dicevamo: non c’è vita cristiana se non c’è preghiera, non c’è vita cristiana se non c’è penitenza. Non c’è vita cristiana se non c’è riconciliazione con Dio e tra di noi. Non c’è vita cristiana se non coltiviamo in noi il sentimento della contrizione. Alle volte noi, “nel concepire la nostra vita cristiana”, siamo abbastanza dei girovaghi, “non camminiamo sulla via stretta che porta alla salvezza. Cerchiamo tante cose che sono dei surrogati. Niente può surrogare la penitenza e la contrizione del cuore”.
“In oriente ma anche in occidente e, se volete la diffondiamo anche tra di noi”, deve rimanere un po’ come un ricordo di questo incontro, “c’è la così detta preghiera di Gesù” che è formulata in tanti modi ma la formula più semplice è questa: ¬ “Signore Gesù Cristo”, “figlio di Dio abbi pietà di me peccatore”. Questa preghiera la si può recitare al ritmo del passo, “al ritmo della respirazione: Signore Gesù “figlio di Dio”, “ispirando”, abbi pietà di me peccatore espirando, tenendo la propria attenzione al cuore dove è presente Dio, “dove è presente Nostro Signore Gesù Cristo”. E’ una preghiera che si può dire con più facilità del rosario, “in macchina”, “camminando”, “lavorando manualmente”, “in qualunque momento”, “di notte quando ci si sveglia”, “prima di addormentarsi”, invece di prendere il “noan ‘”. ¬ Signore Gesù Cristo, “figlio di Dio”, “abbi pietà di me peccatore”.
Le prime volte che la recitavo, “mi faceva impressione”, perchè -siamo un po’ schietti- un vescovo è in una situazione singolare. Tutti davanti ‘anello nè con la genuflessione come si faceva un tempo, “nè con altri trattamenti che gli vengono riservati”.
“Questo ricordarsi di essere peccatori e di avere bisogno della pietà del Signore”, di avere bisogno della misericordia di Dio. L’amore di Dio è quell’amore che è ma è un amore misericordioso, “perchè io sono piccolo”, “perchè io sono fragile”, “perchè io sono povero”, “perchè io sono misero”, “perchè io sono sempre sul punto di essere infedele”, “perchè io sono infedele”. “Signore Gesù Cristo abbi pietà di me peccatore”.
‘Direte: ma la penitenza consiste allora, “soltanto in un sentimento interiore”, nella contrizione del cuore? Io vi rispondo Ma non rispondo io. Ci risponde “Gesù” stesso: ¬”Dio guarda al cuore “. Ma il cuore è l’intimo dell’uomo, il cuore è tutto l’uomo. Tutto l’uomo serve per il peccato o compie il peccato e tutto l’uomo deve partecipare alla contrizione, tutto l’uomo deve convertirsi. Perciò ci deve essere anche quella che noi chiamiamo la penitenza esterna.
Oggi, riconosco che è difficile dare delle indicazioni concrete, in generale, per definire degli atti penitenziali corporali, ma anche qui io dico: prima di tutto ci sia quella penitenza che è la penitenza di vivere. Intendiamoci bene! Vivere deve essere una gioia.
Mi confidava un abate benedettino che mi vuole bene, “perchè è benedettino perchè ho avuto io la grazia di fargli scoprire questa vocazione”, ed è stato un mio ragazzo. Mi confidava del peso che gli procura il fato di essere abate. Ma se venisse un giorno in cui la preoccupazione dell’ufficio di abate gli togliessero la pace e la gioia lui si dimette subito perchè, “diceva”, io non sono capace di vivere senza gioia. Guardate che è un ragazzo con la testa sulle spalle, che ha avuto tante prove. Incapace di vivere senza Dio.
E la contrizione e la gioia di vivere. “La gioia di vivere non è mai disgiunta dal peso di vivere”. Abbiamo già detto: si fa fatica ad alzarci, si fa fatica a intraprendere un lavoro, si fa fatica a lavorare seriamente, si fa fatica a lavorare insieme, si fa fatica a lavorare con serietà nel senso di preparasi, si fa fatica a lavorare con diligenza. Tutto questo, indubbiamente, “è già penitenza”. C’è la penitenza della vita affannosa, -come abbiamo detto- scandita sulle lancette dell’orologio. E’ una ‘ penitenza. C’è la penitenza delle nostre costituzioni -non delle costituzioni scritte – le costituzioni fisiche, “l’età”, “gli acciacchi della vecchiaia”, “i limiti della nostra salute”, “delle nostre energie”. Sono una penitenza. Ma nonostante questo ci deve esser qualche cosa di volontario. Ricordate, “siete le piccole figlie della croce”, ci deve essere qualche cosa di volontario. Almeno di volontario nel senso di accettare lietamente quello che è connesso con la propria esistenza. Lasciate che qui richiami un principio di vita religiosa. Il fatto di vivere in comune, “il sopportare gli altri con gioia”, offrire agli altri un volto cristiano, ‘”una faccia di uno che ha coscienza di essere stato liberato”, che ha coscienza di essere stato salvato. Dice uno dei grandi filosofi del così detto <<sospetto>>, “che il cristianesimo non è credibile” perchè i cristiani non sono contenti di quello che credono. Se credessero, “se fosse vero per loro quello che professano”, dovrebbero essere della gente lieta e invece sono delle quaresime ambulanti. Questo non soltanto di fronte al mondo ma di fronte a quel mondo che abbiamo scelto, a quella piccola porzione di mondo che sono le nostre sorelle. Fatela questa penitenza. Coraggio.
Veniamo alla fine. Impariamo a inserire la nostra contrizione, la nostra penitenza interiore ed esteriore -chiamiamola così nella celebrazione sacramentale-. Normalmente, “quotidianamente nella celebrazione eucaristica”, che cosa portiamo per celebrare il memoriale della passione e morte di nostro Signore Gesù “Cristo “? E’ solo nella misura in cui partecipiamo ai dolori di nostro Signore Gesù “Cristo” che parteciperemo alle gioie della sua risurrezione. Cosa portiamo all’altare? Questa mattina mi si parlava di riforma liturgica. La riforma liturgica sta principalmente qui, nella partecipazione attiva alla celebrazione del memoriale del signore. E, “la celebrazione attiva del memoriale di nostro Signore Gesù Cristo”, comporta il conformare i nostri sentimenti, “i nostri atteggiamenti”, le nostre disponibilità a quelle di “Gesù ” che è presente, “per potere completare nel suo corpo”, che è la chiesa, ciò che manca alla sua passione. Ma, “tutto questo deve avere il suo culmine nell’atto sacramentale tipico della riconciliazione”, che è il sacramento della riconciliazione, “il sacramento della penitenza”, la confessione sacramentale.
Perchè è andata in disuso? Perchè non se ne conosce la necessità, “non la si sa inquadrare nell’esistenza. Io ho bisogno”, non di avere la coscienza a posto, “ma di avere la coscienza rassicurata dalla fedeltà di nostro Signore Gesù Cristo”, “che io sono riconciliato con il padre e con i miei fratelli”, che io compio la mia Pasqua nel passaggio dalla morte alla risurrezione, “che partecipo alla pasqua di nostro Signore Gesù Cristo” e di conseguenza posso ¬ “andare in pace”. Il saluto del sacerdote in quel momento è quello di andare in pace. Come Gesù ‘ dopo la resurrezione cosa dice agli apostoli? ‘¬ “La pace sia con voi”. Il saluto di Gesù! Ad ogni incontro, “dopo la sua risurrezione”, ha detto questo: “la pace sia con voi ” .
E’ indispensabile arrivare a questo traguardo che è poi un punto di partenza perchè è un momento di grazia, “nel quale io ho la gioia di sentirmi riconciliato con Dio e con il mondo”, e prendo forza per andare avanti, “in pace: in pace con Dio”, “in pace con il mondo”, in pace con me stesso. Abbiamo una grande stima. Conculcate negli altri. Ho usato una parola sbagliata. Capite quello che vi voglio dire, “nè”! ‘ Inculcate negli altri la stima della pratica della confessione frequente. Non è che la frequenza debba essere necessariamente settimanale, “ma frequente secondo quella misura per cui dall’una all’altra confessione c’è ancora un legame, c’è ancora un rapporto, c’è un raccordo”.
Allora, “per terminare”, leggiamo san Paolo alla seconda lettera ai Corinzi capitolo quinto dal versetto 14 in avanti.
“Poichè l’amore del Cristo” ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti siamo morti ed egli è morto per tutti perchè quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi se uno è in “Cristo” è una nuova creatura. Le cose vecchie sono passate, “ecco ne sono nate di nuove tutto questo però viene da Dio che ci ha riconciliato con se mediate Cristo” e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a se il mondo in “Cristo” non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi “fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo” come se “Cristo esortasse per mezzo nostro: convertitevi, “il regno di Dio è vicino. Vi supplichiamo in nome di Cristo”, lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, “Dio lo trattò da peccato” – io tradurrei-: lo costituì peccato- in nostro favore perchè noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.