Mons. Carlo Ferrari, Vescovo a Monopoli dal 1952 al 1967
Nell’ingenuo mondo mondo immaginario dell’adolescenza, una volta, nascevano alcuni miti, e sembrava non dovessero mai tramontare. Erano spesso associati o incarnati in persone autorevoli per scienza e inattingibile prestigio, dalle quali traspariva anche una singolare imponenza culturale.
Tanta suggestione e convinzione suscitò in noi Mons. Carlo Ferrari al suo arrivo nella città di Monopoli, nella chiara estate del 1952. Ci parve come una stella fissa nel moto dei cieli e del nostro piccolo mondo.
Ora, scomparsa, ci lascia raccolti nel territorio dei ricordi.
Fin dagli anni del Seminario capimmo che in Lui non c’era soltanto la severità del presule autorevole, ma anche il cuore del pastore premuroso. E tanto riscoprimmo, appena sacerdoti, in uno dei ritiri spirituali che sensibilmente egli stesso ci dettava. Nel commentare il cap. 34 di Ezechiele ci avvertiva che la nostra responsabilità era piú grave dei pastori d’Israele, non ancora depositari della verità intera.
Suo costante impegno per quei tre lustri di guida della Diocesi di Monopoli fu di portare i fedeli ai pascoli buoni della verità, alla conoscenza dei misteri dell’opera del Signore. E ci volle solerti nel ministero della parola, obbligati ad attrarre gli animi con la bontà di vita, e risoluti nel difenderli dai pericoli del tempo. Potremmo riassumere tutto il suo apostolato, il suo intento pastorale, nella catechesi sostenuta da studio biblico. Volle sacerdoti preparati anche per le lezioni di religione nelle Scuole elementari, e per il popolo, ancora acritico, in città e nelle campagne, predispose una persuasiva istruzione e predicazione biblica.
Poi la liturgia, come inconfondibile servizio decoroso, completo, con il canto corale, di tutta la gente; una liturgia autentica, senza sfarzo, degna di parlare alle menti e suscitare preghiere e sentimenti da vivere, come poteva capitare per le sue omelie di limpida e aggiornata esegesi.
Il messaggio di Cristo doveva trovare espressioni adeguate, essenziali anche in devozioni e processioni liberate da folclore, da pigre compensazioni e pericoli di superstizione. Cosí dolorosamente faceva constatare a tutto il popolo che mentre in tempi non lontani “si lasciarono miseramente deperire dei veri capolavori, si sostituirono poi con statue di cartapesta o rivestite di stoffa e si collocarono un po’ dovunque nei sacri edifici”. E sollecitava la venerazione, l’amore, la devozione alla Madre di Dio e amabile madre nostra con la conoscenza dei misteri della fede, la pratica della legge cristiana, l’ubbidienza ai pastori delle anime, espressa anche con la ricchezza e lo splendore delle arti.
L’annuncio di fede doveva tener conto dei problemi contemporanei e conquistare le coscienze dei giovani, formarli e immetterli nell’impresa divina della consecratio mundi, come ammaestrava il Concilio ecumenico appena aperto, e del quale egli avvertiva di essere un testimone così privilegiato e responsabile, da trasmetterci amorevolmente l’ansia e l’afflato ecclesiale del rinnovamento.
Sulla figura del sacerdote-pastore tornò ancora in seguito, commentando il cap. X di Giovanni, che contempla il Cristo pastore e guida. Ci esortò alla coscienza del dovere dell’unione con Dio e della inseparabilità dal gregge, da nutrire con la parola divina e con l’esempio.
La Bibbia fu per lui un chiodo fisso: «Chi non conosce le Scritture non conosce Gesú Cristo», ricordava con San Girolamo e ribadiva che il movimento liturgico era sfociato in un movimento biblico, era imperniato sulla storia di Dio nel mondo e sui misteri di Gesú Cristo, fondamento e risorsa della vita religiosa.
Mons. Ferrari e il Vescovo di Gravina Aldo Forzoni, nell’intera Puglia, venivano allora indicati come appassionati pastori, occupati nell’elevare le qualità civili e morali del popolo, nel ridare consapevolezza e vitalità cristiana ad una religiosità non esente da convenzioni e soggettivi sentimentalismi.
Egli rimase sempre legato e affezionato a Monopoli, alla moltitudine dei cittadini che chiamava suoi figli. Nella lettera pastorale dell’ 8 maggio 1953, scriveva: «Fin dal primo giorno mi sono sentito piú di qualsiasi altro uno di voi; mi sono accorto di appartenervi senza scampo: le vostre preoccupazioni, i vostri problemi, le vostre necessità, le vostre pene, le vostre gioie sono le mie», e Monopoli, devota, gli conferí la cittadinanza onoraria. Di continuo ne invocò la presenza, la presenza del suo Vescovo. E lui seguitò a ricordarla; scelse di trascorrere qui, tra il mare e le colline vicine, gran parte degli ultimi anni di vita. E celebrò in solennità e pietà il 40° anniversario della sua ordinazione episcopale nella nostra cattedrale che per 15 anni era stato luogo privilegiato del suo ministero. Poi ripartí a Mantova, dove era Vescovo emerito, appena in tempo, quasi, per transitare e precederci nella sconfinata Metropoli dei cieli.
Potremmo concludere qui, con queste note che sembrerebbero necrologio, ma fissano invece alcuni eventi significativi di un episcopato sollecito anche delle vocazioni ecclesiastiche, del decoro degli edifici sacri e di una animazione ricreatrice delle infantili fiabe con il Carnevale dei bambini e la partecipazione della intera Diocesi in sfilate di eleganti e fantasiosi carri.
Concludere per accogliere nella vera pietà chi non è piú in terra, secondo il parce sepulto virgiliano, ma la storia esige che non si omettano occasionali risvolti o episodi importuni che l’essere umano non sfugge. E Mons. Ferrari rivelò durezza, anche ostinazione, cosí, piú o meno, sembrò ad alcuni, in quegli anni prima dello storico movimento del ’68 e non ancora al bivio del Concilio Vaticano II che solleciterà ogni partecipazione democratica nel rispetto della dignità e responsabilità di ognuno.
Appena giunto a Monopoli, infatti, intimò ad alcuni sacerdoti lo spostamento dal proprio paese, per remote parrocchie e catapecchie, ma il suo intento fondamentale era quello che i suoi preti si dedicassero con abnegazione ad ogni fatica apostolica. Non conosceva il meridione, non aveva ancora affondato i suoi occhi nei nostri vicoli e nel cuore della gente del sud, e atteggiamenti di piemontese aristocrazia lasciava supporre, a volte, indifferenza, distacco, che poi, specie in questi ultimi anni, sovvertí in arrendevole familiarità. Distacco in un certo verso, e d’altra parte distinzione per qualcuno, per qualche categoria sociale, anche se, d’altronde, rivelò disposizione sincera per l’intero popolo.
Dei suoi malintesi, delle sue imperiose opinioni se ne contristò e manifestò a tutto il clero il suo rincrescimento, riconoscendo come pure gli eventi e il tempo eliminano le acerbità. Fu difensore preoccupato del nostro popolo, della nostra connaturata religiosità, della nostra splendida e armoniosa cattedrale, della Diocesi che ebbe Vescovi con sede a Monopoli, quanto meno, fin dal VII secolo. E, come abbiamo avuto occasione di dichiarare altre volte, con Mons. Ferrari certamente non sarebbe stata ingiustamente soppressa la sede vescovile di una lunga e ricca storia religiosa, fertilizzata, certamente, nel prestigio di una autonomia diocesana, tuttora invocata.
Bagordo: sacerdote di Monopoli
Dal periodico monopolitano “Porta Nuova” Anno XI – n. 33 – Marzo 93
C’è una edizione ridotta su “La Cittadella” 13 Dicembre 1992