Popolo di sacerdoti
Quaresima 1966 – Cattedrale di Monopoli N° 6
Durante la celebrazione di venerdì scorso vi ho detto molto brevemente e come ho potuto, le cose più belle che caratterizzano il popolo di Dio, le cose più alte della sua grandezza e della sua dignità e, notate che, quindi, sono le cose più alte della nostra personale grandezza e della nostra dignità, dal momento che siamo noi a formare questo popolo di Dio, che è un popolo sacerdotale.
Siamo un popolo di sacerdoti. La nostra consacrazione a sacerdoti dell’Altissimo è avvenuta nel momento del Battesimo quando, per mezzo della rigenerazione dell’acqua e dell’unzione dello Spirito, siamo stati e trasformati da semplici creature in figli dilettissimi, in figli di Dio. La nostra consacrazione si è approfondita, si è estesa, è di ventata cosciente, ancora per l’azione dello Spirito Santo in noi il giorno della Cresima. In quel giorno da una parte più intimamente – dice la costituzione sulla Chiesa – siamo stati inseriti nel popolo di Dio e dall’altra siamo stati maggiormente consacrati, di conseguenza, per essere i sacerdoti dell’Altissimo.
La nostra consacrazione di sacerdoti, di membri di un popolo sacerdotale, è una consacrazione permanente. Nel nostro catechismo molte volte abbiamo parlato del carattere, che è un segno che non si cancella mai. Questo segno che non si cancella mai è appunto la nostra configurazione al Cristo sacerdote, è il segno della nostra partecipazione e, in un certo qual senso, l’innesto per cui noi possiamo partecipare al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
E’ un segno che non si cancella mai, che ci segue dovunque, non solo è con noi ma ormai fa parte di noi. Siamo noi consacrati sacerdoti del Signore e perciò, come dicevamo la volta scorsa, in qualunque istante, da qualunque parte, qualunque cosa facciamo, il nostro sacerdozio non lo possiamo lasciare da una parte, non lo possiamo deporre in un posto e poi andarcene, non ce lo possiamo togliere di dosso. Siamo sempre così: segnati da questa consacrazione.
Come uno non può cancellare nella sua persona la figliolanza che lo lega a suo padre, così noi per la consacrazione del Battesimo e della Cresima non possiamo più cancellare la nostra figliolanza soprannaturale che ci fa figli di Dio e quindi impegnati a glorificare il Signore, perché il nostro sacerdozio ci impegna e l’esercizio del nostro sacerdozio sta appunto qui: da una parte dare gloria a Dio, dall’altra parte salvare i nostri fratelli.
Dare gloria a Dio, abbiamo detto l’ultima volta, è fare sì che quelli che ci vedono così come siamo, come ci comportiamo, abbiano a pensare bene del nostro Dio, abbiano a pensare bene del nostro Padre. In altre parole abbiamo detto: noi dobbiamo comportarci in modo che il nostro Padre celeste che sta nei cieli faccia bella figura. Questa è la glorificazione di Dio. Comprendete come questo impegna tutta la serietà della nostra vita cristiana.
Glorificare Dio vuole dire riconoscere la sua grandezza, vuole dire riconoscere la magnificenza della sua grazia, della sua misericordia, vuole dire corrispondere a questa grazia, a questa misericordia; significa allora credere in Lui, aver fiducia in Lui, amarlo. S. Agostino che riassume, per così dire, tutto il senso della letteratura biblica, ad un certo punto dice: “Cantare amantis est”: quando uno ama, canta. Che cosa canta? Canta l’oggetto del suo amore, canta perché è contento, canta perché è felice. Dobbiamo essere contenti noi, che siamo i redenti dal sangue di nostro Signore Gesù Cristo, che siamo i salvati dal Padre, che siamo i destinatari dell’eredità del cielo.
Cantiamo noi anche con il canto materiale? Intendete un pochino il significato del canto liturgico: “cantare amantis est”. E’ proprio di colui che ama esprimere la piena dei suoi sentimenti per mezzo del canto. Non posso soffermarmi su questo aspetto perché è complesso. Il nostro canto può essere: un canto tutto fiducioso, tutto di gioia, anche quando è il canto del dolore, perché chiedere perdono con la sicurezza di essere perdonati è una cosa che dà gioia, è una cosa bella, è una cosa che dilata il nostro cuore.
Comprendete che dare gloria a Dio, così come io più o meno sono riuscito a dirvi, è anche salvare i nostri fratelli? Si dice, tante e tante volte, che la miglior predica è il buon esempio, che gli altri si attirano a Dio non tanto con le parole, ma soprattutto si attraggono con la forza di una vita esemplare. Se noi glorifichiamo Iddio, facciamo fare bella figura al nostro Padre che sta nei cieli. Il nostro Padre, che sta nei cieli, si servirà appunto di noi per attirare molti dei suoi figli un po’ distratti, un po’ sbandati, un po’ lontani e che ancora non lo conoscono, perché facciano anch’essi parte del suo popolo, ed abbiano anch’essi la gioia di poterlo glorificare
Abbiamo detto, l’ultima volta, che il nostro sacerdozio che si esercita nella glorificazione di Dio deve, conseguentemente, avere qualche cosa da offrire al Signore e la nostra offerta è tutto ciò che compone la nostra giornata, anzi, tutto ciò che compone la nostra vita: siamo noi stessi con tutto ciò che passa nella nostra persona di bello, di buono, di meno bello, di meno buono, persino il peccato, sì, perché lo dobbiamo offrire alla misericordia di Dio affinché ci perdoni.
Tutto di noi dobbiamo offrire al Signore, insisto, per dare gloria a Dio, e sempre per i nostri fratelli, perché Dio è il Padre e non può essere glorificato quando si dimenticano gli altri suoi figli, quando non si pensa alla salvezza degli altri suoi figli.
Abbiamo detto l’ultima volta che la nostra offerta, comunque sia, prende il suo valore dai meriti di nostro Signore Gesù Cristo che è morto in croce, perché il nostro sacerdozio è la partecipazione al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
Figliolanza divina è una partecipazione alla sua prerogativa di Figlio vero del Padre, di Figlio sostanziale del Padre.
Quando avviene che la nostra offerta è unita all’offerta di nostro Signore Gesù Cristo? Può avvenire sempre. La stessa preghiera che la tradizione cristiana ci ha insegnato: “Signore, vi offro tutte le azioni della giornata, fate che siano secondo la vostra volontà, per la gloria vostra”, è una preghiera sacerdotale che ci dà modo di unire ciò che facciamo nella nostra giornata ai meriti e all’offerta di nostro Signore Gesù Cristo.
Il grande teologo Congar, dice che sua madre, fin da piccolo, gli aveva insegnato una preghiera brevissima. Le buone madri cristiane non fanno pregare a lungo i loro figli, li fanno pregare bene, con delle preghiere semplici ma molto sensate,ma molto piene di mistero cristiano. E la preghiera è questa: “Mio Dio, vi offro tutta la mia giornata, fate che ogni cosa sia gradita a voi e giovi ai miei fratelli. Amen”.
Ma questa offerta si unisce all’offerta di nostro Signore Gesù Cristo, abbiamo detto, principalmente durante la celebrazione liturgica. E’ proprio allora che in un modo sacramentale, cioè in un modo che ha istituito nostro Signore Gesù Cristo, la nostra offerta si unisce all’offerta di Gesù cristo, il pontefice eterno che dà la gloria piena al Padre. L’azione liturgica, allora, ci trova uniti a Gesù Cristo e uniti ti tra di noi. L’azione liturgica ci unisce a Gesù Cristo già in questo momento per mezzo della Parola. Ci unirà di più al momento dell’ Offertorio e della Consacrazione e, particolarmente al momento della Comunione, ma deve unirci tra di noi perché siamo il popolo di Dio.
E, se ognuno di noi: non fa parte del popolo di Dio, non ha questa coscienza, non ha questa intenzione, non ha questa volontà, non si prende questo impegno, non fa questo sforzo, non appartiene al popolo di Dio in pienezza, non si unisce a nostro Signore Gesù Cristo, non partecipa alla grande glorificazione del Padre.
Queste cose, più o meno, le avevo dette venerdì scorso e le ho ripetute questa sera, perché mi pare che dobbiamo impararle bene, perché sono le cose più pratiche della vita cristiana, perché ci mettono in grado, ogni momento, di essere autenticamente cristiani.
Continuo il discorso di questa sera, sempre insistendo su questo punto particolare, su questa caratteristica del popolo di Dio che è un popolo sacerdotale. Incominciamo dicendo: il popolo di Dio è l’attore principale dell’azione liturgica. Non si può essere completi in uno spazio così breve di tempo, quindi certe cose andrebbero poi completate perché diventino più chiare, più esatte, più vere, tuttavia prendete quello che questa sera cerco di mettervi davanti e poi verrà l’occasione per completarle con tante altre cose.
L’azione liturgica per eccellenza, che è la Santa Messa, è azione del popolo di Dio. In tutto il Nuovo Testamento: Vangelo, Atti degli Apostoli, Lettere degli Apostoli, Apocalisse, non si parla mai di sacerdoti nel senso che intendiamo noi. Non si parla mai di noi preti. Si parla sempre del popolo sacerdotale. Perciò, con nostro Signore gesù Cristo si è verificato, non dico una trasformazione, ma un compimento del disegno di Dio, del proposito di Dio che sin da principio ha voluto non tanto istituire dei sacerdoti, ma costituire un popolo di sacerdoti.
Non dico che non ci fossero sacerdoti nell’Antico Testamento, che non ci fossero i sacerdoti nelle religioni non cristiane, ma il Nuovo Testamento, cioè, nostro Signore Gesù Cristo non ha più parlato di sacerdoti. Ha, invece, inculcato con più insistenza e con più realismo il fatto che il popolo è il sacerdote di Dio e quindi anche noi.
Oggi col nostro linguaggio, perché i fatti non cambiano, chiamiamo sacerdoti i Vescovi, i preti. Guardate che nella letteratura del Nuovo Testamento sono designati con dei termini, con delle parole che li dicono “capi”: Episcopi sono quelli che stanno a sorvegliare. Preti, presbiteri, anziani, sono sempre i capi, i presidenti. Tante volte si dice che sono i pastori, però non si dice mai che sono i sacerdoti.
Non è che non siano sacerdoti perché, di fatto, esercitano il sacerdozio, ma come lo esercitano il sacerdozio? Adunando il popolo, celebrando la Parola di Dio e poi, in mezzo al popolo, celebrando l’eucaristia, ma è la “ecclesia” che celebra l’Eucaristia, cioè il popolo di Dio. E’ l’assemblea liturgica che celebra la lode di Dio, quindi voi siete gli attori principali dell’azione sacra.
Fate caso: chi è l’oggetto della Parola del Signore che si annuncia durante la celebrazione liturgica? L’altare? I sacerdoti? Anche i sacerdoti, anche i Vescovi , quando ascoltano la predica, ascoltano la Parola di Dio. Ma quando sono in funzione? No. Allora, siete voi. Quindi, chi è l’interlocutore di Dio? Chi è l’altro? Uno è Dio con la sua parola che traduce, sotto l’azione dello Spirito Santo, per la bocca del suo ministro, ma questa parola è destinata a voi, deve terminare a voi, deve raggiungere voi, deve salvare voi.
Si capisce che deve salvare prima me che la pronuncio, se io questa Parola l’ ho accolta, prima, nel mio cuore, ma è a voi che è rivolta questa Parola.
In questa parte della Parola di Dio siete o non siete voi il soggetto della celebrazione liturgica?
Questo che parla, -il vescovo in questo caso- è più o meno un altoparlante, é un trasmettitore, può fare anche molti gesti. Una volta i predicatori facevano veramente gli attori nel senso che intendiamo noi, ma l’azione la compiva chi apriva le orecchie, chi stava attento, chi intendeva, chi accoglieva, chi custodiva, chi faceva germogliare, chi faceva fruttificare la parola nel proprio cuore.
Prima della Parola di Dio c’è un altro fatto precedente: quello di trovarvi qui in chiesa. Il fatto di trovarvi in chiesa, se voi ne avete coscienza, se voi ne avrete sempre più chiara coscienza, vi costituisce assemblea del Signore.
Dov’è l’assemblea del Signore? Per sé, la celebrazione liturgica, è la celebrazione che compie l’assemblea del Signore.
Che cos’è l’ assemblea del Signore? Siete voi. Siete voi che dovete glorificare Iddio.
La riforma liturgica conseguente al Concilio, come ha riportato le cose al loro giusto posto! Come ha riportato le cose dove le voleva il Signore! Prima, non è detto che tutto fosse sbagliato, ma era incompleto, non era abbastanza inteso. Prima si pensava ad un bel pontificale il giorno della Madonna della Madia con schola cantorum, l’organo, tutti i sacerdoti ben parati e la gente stava a vedere.
A quel pontificale, poi, vengono i parenti che sono arrivati per la festa, i forestieri, gli intenditori di musica e si piazzano contro tutti i pilastri per stare a vedere. Questi sono degli spettatori, comprendete, non degli attori.
E l’assemblea dov’era? C’era di fatto, c’era materialmente, ma non c’era la coscienza di essere quelli che dovevano glorificare Iddio, che dovevano anche per mezzo del canto esprimere la lode a Dio.
Eccoci adesso tutti impegnati! Ci sarà una scuola di guida, un gruppo che va avanti, ma poi tutti devono partecipare, sia pure per mezzo di una semplice espressione che sarà una antifona o un ritornello o altro. Tutti devono glorificare Iddio e non semplicemente attraverso il canto, ma particolarmente attraverso quella glorificazione che, come abbiamo detto, viene da nostro Signore Gesù Cristo.
Ad un certo punto nostro Signore gesù Cristo è in mezzo a noi, non soltanto per mezzo della sua Parola, non soltanto per mezzo del suo ministro, ma sotto le specie del pane e del vino, nel mistero della sua esistenza terrena di nostro Salvatore e di Pontefice eterno che muore e risuscita per noi.
Ed è in quel momento che noi partecipiamo alla morte e alla resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, é in quel momento che si compiono le meraviglie di Dio in mezzo a noi, per cui ci strappa dal regno delle tenebre, ci libera, ci purifica, ci rimette i nostri peccati, e per i meriti della morte di nostro Signore Gesù Cristo ci trasferisce in una vita nuova, in una vita di luce: nella vita della resurrezione del Figlio risuscitato da morte.
E, il momento culminante della celebrazione liturgica è quando, terminato di suonare il campanello, dopo l’Elevazione dell’ostia e del calice, ci leviamo tutti in piedi. Non è mancanza di rispetto stare in piedi davanti all’ Eucarestia. E’ stare intorno a nostro Signore Gesà Cristo morto e risuscitato per lasciarci trascinare dalla sua morte e resurrezione, per lasciarci portare con Lui nell’azione suprema del suo compito di salvezza, e di dare gloria a Dio Padre. Ecco, allora, il significato di quelle parole già ricordate, con cui termina la parte centrale della Messa, che oggi è ancora cantata in latino ma presto, vedrete, sarà cantata in italiano:”Per ipsum, cum ipso et in ipso…”
I Padri antichi dicono che, a questo punto, l’assemblea era così presente, così attenta, così cosciente di ciò che si era compiuto, e così cosciente di essere tutt’uno con nostro Signore Gesù Cristo, che tutti insieme rispondevano “Amen” nel momento dell’incontro col Padre, per dire la propria riconoscenza, il proprio grazie, la propria lode, con una tale pienezza di effusione che assomigliava al tuono. Era il clamore dell’animo.
Lo rispondiamo anche noi stasera? Non dimenticherò mai un particolare che è accaduto alla chiusura della celebrazione del Concilio. Quando il Papa, davanti a S. Pietro, davanti a quella moltitudine sterminata, davanti a tutto il mondo che guardava attraverso la televisione o che ascoltava attraverso la radio, ha detto: “Per ipsum, cum ipso et in ipso,est tibi Deo Patri onnipotenti…omnis honor, et gloria…” è tuonato il cannone di mezzogiorno di Roma. Non vuole dire niente, però può dire anche qualche cosa: può dire il nostro “Amen”.
Insisto: siete voi che fate tutte queste cose. Anche se è il sacerdote, che dice tutte quelle parole in latino, anche se è solo il sacerdote che può compiere la consacrazione del pane e del vino, l’assenso, la ratificazione, il consenso, non sacramentale -si capisce- di celebrazione liturgica, viene dal vostro “Si”.
Se ci fosse una assemblea che risponde “no”, Iddio non è glorificato.
Evidentemente! Iddio, in quel momento, è bestemmiato.
Se ci fosse una assemblea che dice niente.Iddio guarda nostro Signore Gesù Cristo e intorno a Lui, non vede nessuno se non siete voi gli attori principali dell’azione liturgica. Per chi sono il pane e il vino che si distribuiscono ad un certo punto della celebrazione liturgica? Per chi è il Sacramento dell’amore, il vincolo dell’unità, il vincolo della pace tra di noi, il segno dell’unità, il Corpo di Cristo? Per voi. Il Corpo di Cristo è per voi, per stabilirvi come assemblea, per ricomporvi come popolo di Dio e unirvi nella carità.
E poi, “andate in pace, la Messa è finita”!
Andate in pace, nella pace tra di voi, nell’unità tra di voi, nella carità tra di voi, a portarla in giro e la gente vedendovi possa dire: – ma guarda come si vogliono bene -.
Allora crederebbero tutti in nostro Signore Gesù Cristo.
Sarebbe così che noi, col nostro sacerdozio, daremmo gloria al Padre e salveremmo i nostri fratelli.
OM 28 Quaresima 1966