Ostiano – Domenica 2 marzo 1969- nuova collocazione dell’altare
Sono tornato in mezzo a voi per dare maggiore risalto a ciò che si è compiuto durante tutta una settimana e che, questa sera, è espresso in questa celebrazione, in quest’altare collocato in un modo singolare in mezzo a voi.
L’altare in mezzo a voi. Credo che a questo punto, per la vostra partecipazione alle conversazioni tenute nei giorni scorsi, siate in grado di comprendere questa novità che trasforma, almeno parzialmente, la disposizione della vostra chiesa. L’altare è venuto al di qua dalla balaustra ed è diventato il centro di un’azione che si svolge davanti a voi più visibilmente. Oggi, ci sono delle cose che possono turbare i nostri animi perché pensiamo che siano delle novità che non si capiscono sufficientemente. Molte cose, anche nella chiesa e nei nostri ambienti, sono fatte per amore di novità, ma ci sono delle cose che non sono nuove e che sono una riscoperta di cose antiche. Sono un aggiornamento, una riforma che il Concilio ha voluto, e che noi dobbiamo volere con Papa Giovanni e con il Concilio, ma che soprattutto dobbiamo comprendere.
Noi Mantovani abbiamo avuto la fortuna di avere come Vescovo della nostra Chiesa, S. Pio X, il primo dei pontefici moderni ad affermare che la vita cristiana deve tornare alle sorgenti della liturgia, che la sorgente più autentica di una vera vita cristiana è la celebrazione liturgica. Il Concilio ha dato una voce nuova, più universale, più incisiva. Il Concilio ha dato le linee e indicato le norme perché quell’intuizione del nostro papa diventasse una realtà per tutta la chiesa.
Le nostre stesse chiese erano architettate in modo che la celebrazione della Messa risultava un’azione che compivano soltanto i preti mentre la gente assisteva. Si diceva del precetto di assistere la Messa nei giorni festivi. Assistere vuole dire guardare quello che fa un altro. Celebrare, invece, significa fare qualche cosa insieme, in un modo cosciente, in modo solenne, in modo che ognuno compia la propria parte.
Quindi, celebrare insieme: vuole dire partecipare a quell’azione che si svolge, vuole dire non essere spettatore ma attore, perché una celebrazione liturgica non è altro che un avvenimento della storia della salvezza che accade in questo momento della celebrazione.
La storia della salvezza, cioè quello che Dio fa con gli uomini, per mezzo degli uomini, a favore degli uomini perché siano salvi, non è terminata con l’Ascensione al cielo di nostro Signore Gesù Cristo. Questa storia continua, se non continua non ci salviamo. Allora Gesù mantiene la sua promessa di essere in mezzo a noi fino alla fine dei tempi, proprio per portare a termine, per ognuno di noi, quella salvezza che già ci ha offerto morendo in croce e risuscitando da morte.
La celebrazione liturgica è il momento più autentico e più pieno, più espressivo di quanto accade in mezzo a noi di questa continuazione della storia della salvzza nelle azioni che Gesù Cristo compie per noi, ma che vuole compiere con noi, perché vuole che ognuno di noi entri nella salvezza che egli ci offre, vuole che ognuno sia attore di quell’avvenimento che si compie nel tempo in cui viviamo. Dunque, se la celebrazione liturgica è il momento in cui Gesù Cristo è attualmente presente e operante per portare a compimento in ognuno di noi la salvezza.
E’ chiaro che non deve essere soltanto azione del prete E’ chiaro che non è soltanto il prete che rende presente nostro Signore Gesù Cristo, l’attore principale della nostra salvezza. E’ chiaro che tutti noi dobbiamo prendere la nostra parte in quello che si compie. E, mentre nostro Signore Gesù Cristo rende presente la sua forza, la sua grazia, l’energia vitale della sua morte che distrugge il peccato e della sua risurrezione che ci porta una vita nuova, noi dobbiamo accogliere questa azione di nostro Signore Gesù Cristo con l’apertura della nostra fede, sapendo che c’è Uno che s’interessa alla nostra persona e vuole operare in noi la Pasqua, cioè il passaggio dalla morte alla vita, dalla morte del peccato, dalla debolezza, dall’infermità, dal limite che ha posto il peccato nella nostra esistenza: ad una vita nuova di figli di Dio, ad una vita nuova di figli che si rivestono della virtù di nostro Signore Gesù Cristo, ad una vita nuova dei figli di Dio la cui volontà é che noi siamo santi, cioè, che noi siamo degni d’essere figli di Dio.
Allora non deve essere più “assistere alla Messa” ma “partecipare alla Messa”, ma fare la nostra parte nella Messa. Sarà l’ascolto della parola, sarà la preghiera comune, sarà soprattutto l’offerta di noi stessi con Gesù Cristo che rende presente il suo sacrificio in mezzo a noi, per il ministero dei suoi sacerdoti. Sarà l’offerta di noi stessi, della nostra persona perché la nostra persona appartiene a Dio; sarà l’offerta della nostra vita perché la vita che possediamo ce l’ ha data Dio; sarà l’offerta delle nostre energie, del nostro lavoro, delle nostre fatiche, delle nostre gioie e delle nostre pene perché questo è il tessuto dell’esistenza che santifica la vita dei figli di Dio. sarà l’offerta, come ha fatto Gesù, per un riconoscimento della sua misericordia, della vita nuova di cui ci fa partecipi Dio per poi introdurci nella beatitudine eterna.
L’offerta del sacrificio non deve essere soltanto azione del sacerdote ma deve essere anche la partecipazione al sacrificio di ognuno di noi. Noi dimentichiamo che Gesù Cristo ha offerto il suo sacrificio indicandone il modo e il senso della continuazione nel tempo: quindi non solo morendo in croce, ma dandoci il segno della sua morte in croce, dandoci il sacramento della sua morte in croce nel pane e nel vino consacrato.
Il sacrificio cristiano è un sacrificio che si compie come banchetto, come “chi mangia di questo pane e beve di questo vino”. Noi celebriamo il sacrificio cristiano – la Messa – mangiando la carne del Signore e bevendo il suo sangue. Il pane e il vino consacrati. Così si partecipa alla Messa. Così ci s’incontra con nostro Signore Gesù Cristo. Così introduciamo Gesù Cristo nella nostra persona, perché sia alimento della nostra vita, perché sia sostentamento della nostra esistenza quotidiana. Così tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, dotti o ignoranti, comunque siamo, partecipiamo tutti alla stessa mensa, tutti mangiamo un solo pane, tutti siamo ugualmente figli di un unico Padre. A questa mensa non c’è un pane per i ricchi e un pane per i poveri. Almeno qui, siamo tutti uguali: tutti uguali, non per abbassarci allo stesso livello, ma per innalzarci alla stessa dignità di figli di Dio.
Così noi partecipiamo alla celebrazione liturgica, così noi diventiamo attori di quello che si compie in chiesa, ognuno per la sua parte. Il sacerdote ha la sua parte. Vedete come questa sera è espresso bene il ministero sacerdotale. I sacerdoti sono intorno al vescovo celebrano insieme un’unica Messa, perché partecipiamo tutti allo stesso sacerdozio di nostro Signore Geù Cristo, che ci abilita a presiedere all’assemblea liturgica, che ci abilita ad annunziare la parola del Signore, che ci abilita a rendere presente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo sacramentalmente,che ci abilita ad unificarvi nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.
I sacerdoti insieme al vescovo che compiono una stessa azione, che è l’azione di nostro Signore Gesù Cristo, formano veramente una cosa sola. La concelebrazione è il momento più alto dell’intesa, dell’unione, della comunione di vita tra sacerdoti e Vescovo. Non era mai stato espresso in un modo così evidente, come lo è nella concelebrazione, che i sacerdoti sono una cosa sola con il Vescovo, che i sacerdoti e il vescovo sono una cosa sola tra loro per la forza del sacramento dell’ordine in quanto devono rappresentare nostro Signore Gesù Cristo ed esprimono soprattutto la chiesa, che è unità nella carità tra molti.
E poi ci siete tutti voi, dai vostri ragazzi che guidano il canto a coloroche aiutano per il canto, e tutti voi che dovete partecipare al canto. Nella vostra chiesa non c’è la cantoria dove andavano i cantori e facevano spettacolo. Non ci deve essere solo qualcuno che canta. Tutti devono cantare. Quando nelle nostre chiese canteremo tutti perché compiamo la stessa azione? Quando canteranno gli uomini che hanno soggezione a cantare in chiesa? L’azione liturgica è azione di tutti quindi, tutti vi devono partecipare. Gesù Cristo vuole incontrarsi con tutti, Gesù Cristo vuole salvare tutti, ma tutti noi dobbiamo fare la nostra parte.
Direte, che cosa centra il canto? Il canto è l’espressione della nostra fede e della nostra fiducia. Il canto è fare una cosa con gli altri, il canto è intonarsi con gli altri. Se non ci s’intona con gli altri si stona. Quest’unisono con gli altri è già una espressione d’unione tra noi, è una espressione di carità tra noi, è un desiderio di corrispondere al grande precetto dell’amore per il prossimo che ci deve unire intorno all’altare di nostro Signore Gesù Cristo.
Il discorso continuerebbe. Lascio al vostro arciprete e ai vostri sacerdoti di continuarlo, perché queste realtà della nostra fede diventino familiari in mezzo a voi e queste grandi azioni che si compiono nelle nostre chiese siano sempre più gradite, perché sempre più comprese, quindi sempre più frequentate perché gustate e diano sempre più fede perché la partecipazione è veramente qualche cosa di vivo e di vitale.
OM 203 Ostiano 69 – Domenica 2 marzo ore 17 ad Ostiano 1969