Aggiornamento, ritorno alle sorgenti
é quanto intende il Concilio.
Monopoli, 30-31 Gennaio1966 – 1 febbraio
Nel misero biglietto di convocazione fatta all’ultimo momento, dicevo che mi sarei giustificato. Le giustificazioni sono come le scuse: se si accettano valgono, se valgono può darsi che siano vere.
Fino a questo punto non potevo impegnarmi perché sono sempre stato preso da impegni più o meno importanti, comunque, che mi legavano e che mi legheranno ancora in seguito. Quindi c’è anche la prospettiva che vi lascerò più in pace di quanto non vi lasci adesso. E, mi pare di lasciarvi abbastanza in pace.
Siccome nella regione sono considerato come uno dei vescovi disoccupati, oltre l’impegno della commissione liturgica, mi é venuto l’impegno del ridimensionamento delle diocesi.
E’ interessante?
Sì. Oltre tutto sarà anche laborioso. Poi c’è la quasi certezza di avere molti suffragi dopo morte, in seguito a questa operazione.
Naturalmente é un’operazione che, la commissione deputata per questo scopo non porterà a compimento. Essa non farà niente altro che presentare un progetto più che mai definitivo e dopo che gli interessati avranno fatto le loro contro deduzioni, la Santa Sede deciderà.
Comunque dal mese d’Aprile in avanti, ogni mese all’incirca, dovremo stare tre giorni a Roma dopo aver consultato – ci assicurano – qualche mezzo quintale di documentazioni che ogni diocesi si é premurata di mandare a Roma per dimostrare come qualmente ha ragione di continuare a sussistere per ragioni storiche e politiche ecc. Di questo dovremo rendere conto in un modo minuzioso e anche valido. Il mio compagno di sventura per la Puglia é Mons. Polio di Otranto.
Questa é la ragione “grossa” per cui siamo arrivati fino a questo momento. Poi ci siamo accorti che se si ritardava, incominciava una settimana ancora più carica di questa.
Nei giorni prossimi ci sarà la candelora, poi il primo venerdì e il primo sabato del mese.
Poi, siamo di carnevale e questo, assolutamente, non lo si può toccare e quindi incomincia la quaresima. Allora facciamo, come si dice, quel poco che possiamo con molta semplicità e soprattutto con un grande desiderio di intesa.
Oggi parlo da solo perché non ho un compagno che mi aiuti a portare la croce. E’ venuto meno anche questo!
L’argomento su cui voglio intrattenervi, mi pare sia stato desiderato da alcuni di voi e credo che a tutti voi interessi. E’ un tentativo di presentazione, non un commento vero e proprio, del decreto sul ministero e la vita sacerdotale, quello che incomincia con le parole Presbiterorum Ordinis.
Ho detto: una certa presentazione.
Vi faccio rilevare che il decreto é nato man mano che procedeva la celebrazione del Concilio e s’imponeva all’evidenza dei Padri l’importanza dei sacerdoti per l’edificazione della Chiesa, dal momento che la preoccupazione di questo Concilio é stata la Chiesa non soltanto studiata, capita, espressa, ma soprattutto la Chiesa come realtà vivente che ha bisogno di essere vivificata.
Ricordate che c’è stato un tempo in cui si parlava di un semplice proclama o indirizzo da rivolgere ai nostri sacerdoti, ma é stato accantonata l’idea di questo messaggio benché il testo fosse già stato preparato e fosse stato distribuito ai vescovi.
Appunto quando noi abbiamo avuto in mano il testo di questo messaggio, abbiamo riscontrato (posso parlare anche al plurale) che non era all’altezza dello scopo che voleva raggiungere, e perciò si é pensato alla stesura di un vero e proprio decreto, come c’è un decreto per i vescovi e il governo delle diocesi.
Questo decreto é stato discusso molto minuziosamente non soltanto nelle commissioni conciliari ma anche in aula e alla prima stesura sono state fatte delle forti critiche perché si rilevava che era un documento molto giuridico, nei rapporti giuridici sia con il vescovo sia con i sacerdoti tra di loro; si rilevava che doveva essere più profondamente teologico e che ogni affermazione che riguardasse tanto il ministero come la vita dei sacerdoti, non doveva derivare tanto dalla autorità della gerarchia, cioè dalla autorità del vescovo, quanto dalla natura stessa delle cose.
Se mi permettete, questo é uno dei punti su cui ha sempre insistito il Vaticano II, non solo per combattere un certo giuridismo di cui si era appesantita la dottrina della Chiesa, ma soprattutto per mettere in evidenza il contenuto teologico dogmatico che riguarda certe realtà della Chiesa e in particolare le sue funzioni che derivano dall’ordine sacro.
Come tutti i poteri del vescovo derivano dalla consacrazione episcopale – giurisdizione compresa – così tutto ciò che riguarda la vita del sacerdote ha la sua origine, la sua sorgente, la sua derivazione e una sua giustificazione anche logica e razionale dalle premesse teologiche che esistono nella rivelazione.
Quindi, poco per volta, lo schema del decreto é stato ripulito, presentato così come si trova oggi e approvato a stragrande maggioranza. Non ricordo più l’esito ma é stata una votazione veramente unanime.
Il decreto, come é configurato disposto come materia, presenta certamente una novità. Qualcuno diceva “prius esse, deinde operari” oppure “operari seguitus est”.
E’ un bel principio anche quello ma si é insistito, invece, nel descrivere prima ciò che riguarda l’esercizio del ministero e poi la vita del sacerdote con l’intento preciso di derivare la spiritualità del sacerdote, i motivi della sua vita spirituale particolare, perché come cristiano li deriva come tutti gli altri fedeli dal battesimo e dalla cresima.
Se c’è qualche cosa che lo distingue e lo mette al di sopra – in certo qual senso – dagli altri, é perché in lui c’è una consacrazione nuova, c’è un ministero da esercitare che diventano la sorgente e la giustificazione di questa sua vita spirituale, della sua particolare spiritualità.
Quindi, nella prima parte si parla del ministero del sacerdote e nella seconda parte si parla invece della vita del sacerdote.
Perché abbiate davanti il quadro:
il decreto consta di un proemio,
poi di un primo capitolo: il presbiterato nella missione della Chiesa e
un secondo capitolo: il ministero dei presbiteri, funzione dei presbiteri, rapporti dei presbiteri con gli altri, distribuzione dei presbiteri e vocazione sacerdotale;
terzo capitolo vita dei presbiteri,chiamata dei presbiteri alla perfezione, peculiari esigenze spirituali nella vita dei presbiteri, sussidio per la loro vita e
una conclusione esortativa.
In questo incontro, per avere una visone d’insieme della prima parte che riguarda appunto il ministero del sacerdote, dobbiamo tenere presente la prospettiva nuova che si afferma in questo decreto.
Ma non é soltanto la prospettiva di questo decreto.
E’ la prospettiva, cioè il modo di collocare le parti in una determinata linea, in una determinata successione che é propria di tutto il Vaticano II°, cioè, quella che possiamo chiamare: la prospettiva ecclesiologica.
Ma, una ecclesiologia non statica, non definita una volta per sempre, ma una ecclesiologia dinamica, cioè che riguarda la vita concreta di ogni giorno – o come si dice – la vita nella storia.
Anche questo documento ha una prospettiva ecclesiologia. In termini più semplici, il ministero sacerdotale é visto: non come una funzione del singolo sacerdote che si rivolge al singolo individuo, il ministero sacerdotale é visto invece, come azione del sacerdote in comunione con gli altri sacerdoti e con il loro vescovo, inteso ad edificare la Chiesa.
Come abbiamo detto in altre circostanze, la prospettiva é molto diversa anche se, in concreto si potrebbe avere l’impressione che coincida. Cioè, altro é curare individualmente le persone perché accolgano il vangelo e la grazia di Dio e vivano in modo da raggiungere la salvezza eterna, altro invece é il modo di lavorare insieme dei presbiteri di ogni singola Chiesa in comunione con tutte le chiese, per edificare la Chiesa in ogni luogo dove si raccolgono i credenti nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, intorno al vescovo.
In modo da incrementare la Chiesa, in modo che ognuno – che riceve le cure pastorali del sacerdote – sia spinto ad unirsi agli altri, sia spinto a vivere con gli altri, sia spinto a condividere la vita degli altri. Quindi:
non a salvarsi per proprio conto,
non a santificarsi per proprio conto,
ma, salvarsi, perfezionarsi, santificarsi
invista della perfezione,
in vista della santificazione,
in vista della salvezza di tutta la Chiesa che vive sulla terra.
Questo non é soltanto un mio pensiero.
Ci mancherebbe ancora!
Non varrebbe niente in ordine la presentazione dei documenti del Concilio!
Mi sono preso il gusto, – più o meno perché non é tanto un gusto – di rileggere con attenzione il documento, così come mi é stato possibile in questi giorni.
Ho raccolto alcuni testi e mi pare che siano una dozzina, che si trovano specialmente nella prima parte del decreto dove il ministero del sacerdote é proprio visto in questa funzione di edificare la Chiesa.
Subito al numero 1:
“L’ordine dei presbiteri ha un compito estremamente importante e sempre più arduo da svolgere nell’ambito del rinnovamento della Chiesa di Cristo”
E’ quindi subito definito il suo compito estremamente importante, arduo eccetera nel rinnovamento della Chiesa. E’ ciò che si propone il Concilio di rinnovare la Chiesa
Ancora la numero 1:
“i presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai vescovi, sono promossi al servizio di Cristo maestro, sacerdote e re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra é incessantemente edificata in popolo di Dio, Corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo”.
Al numero 2:
“Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo”
l’espressione é equivalente ad edificare la Chiesa-
di cui però non tutte le membra hanno la stessa funzione’ (Rm 12,4) promosse alcuni di loro come ministri”
Ancora al numero 2:
“La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all’ordine episcopale, partecipa dell’autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo”
che é la Chiesa.
Ancora al numero 2:
“Effettivamente il loro servizio che comincia con l’annuncio del vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo… il quale ha anche offerto se stesso per noi nella sua passione, per farci diventare corpo di così eccelso capo”.
Al numero 4 :
” I presbiteri nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzi tutto il dovere di annunziare il vangelo di Dio, in modo che eseguendo il comando del Signore Andate nel mondo intero a predicare il vangelo a ogni creatura, possano costituire e incrementare il popolo di Dio”.
Costituirlo il popolo di Dio ed incrementarlo.
Al numero 6:
” Ma nell’edificare la Chiesa, i presbiteri devono avere con tutti dei rapporti improntati alla più delicata bontà, seguendo l’esempio del Signore”
nell’edificare la Chiesa!
“..Ma la funzione di pastore non si limita alla cura dei singoli fedeli: essa va specialmente estesa alla formazione dell’autentica comunità cristiana” .
Più esplicito di così!
Ancora al numero 6:
“D’altra parte non é possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità”.
Prendere le mosse per edificare la comunità dalla celebrazione del mistero eucaristico!
Alnumero 9:
” Infine i presbiteri si trovano in mezzo ai laici per condurre tutti all’unità della carità, amandosi l’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza”
Al numero 12:
” Con il sacramento dell’ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il suo corpo che é la Chiesa”.
Non sono i ministri delle membra, ma sono i ministri del capo e da lì deriva la loro autorità
al numero 8:
“é chiaro che tutti i presbiteri lavorano per la stessa causa, cioè, per la edificazione del Corpo di Cristo”.
Mi pare che ci sia abbastanza per dire come si devono comprendere,come si devono intendere le cose del Concilio. Ora, così si dice ad ogni piè sospinto, ma non deve diventare un luogo comune, altrimenti é come non dirlo, altrimenti é soltanto riempirci la bocca di luoghi comuni e non concludere niente.
Se la Chiesa ci presenta sulla scorta della Rivelazione una nuova visione della realtà cristiana, e quindi descrive il ministero del sacerdote in funzione di questa visione, é evidente che bisogna adeguare il nostro modo di vedere, è evidente che da una determinata prospettiva in cui sono poste le cose ne nasca una mentalità adeguata:
che queste cose così le veda,
che queste cose così le rispetti,
che queste cose così le tratti e in quel senso si impegni.
Ciò che é caratteristico, singolare del Vaticano II°, e mi pare che lo abbiamo detto altre volte, non é che sia soltanto un richiamo anche solenne, se volete, ad una vita migliore intesa gerarchicamente così che il sacerdote non corrisponderà a quel rinnovamento e a quell’aggiornamento voluto dai nostri ultimi pontefici e dal Concilio, per il semplice fatto che farà meglio le sue cose.
E’ certo che, come conseguenza della celebrazione del Concilio, -non vorrei che sorgessero dei malintesi! –
dobbiamo pregare di più,
dobbiamo ricevere con più assiduità e più spirito di fede i santi sacramenti,
dobbiamo insistere maggiormente nella meditazione della parola di Dio,
dobbiamo essere più mortificati.
Queste cose sì, indubbiamente.
Ma non fare queste cose meglio per se stesse e in se stesse.
Facevo meno bene, oppure trascuravo la meditazione?
Praticavo o non praticavo la mortificazione?
Adesso praticherò la mortificazione e intensificherò la pratica della mortificazione!
Non basta questo.
La mortificazione, la meditazione, la ricezione dei santi sacramenti, per quanto riguarda la mia vita spirituale, li devo compiere secondo una visuale nuova, perché io stesso devo essere edificato come Chiesa e allora il mio lavoro, tutto, da quello della cura della mia vita spirituale a quello della così detta cura d’anime, deve tendere alla edificazione della Chiesa.
Non deve tendere direttamente alla mia salvezza, come se io me la potessi fare da solo con Dio, e gli altri potessero andare direttamente a Dio, attraverso questi atti buoni e a queste pratiche che sono dette cristiane. No.
Tutto questo deve essere visto e ordinato in modo che si giunga all’edificazione della Chiesa.
Cambiamento dunque di prospettive, cambiamento di mentalità.
L’anno scorso, più o meno di questi giorni si stava insistendo sulla necessità del cambiamento di mentalità.
Più si va avanti, più ognuno di noi può constatare che quando prende in mano i documenti del Concilio e si propone di fare qualche cosa, il primo inciampo contro cui ci si imbatte é proprio la mentalità che non é mancanza di buona volontà, non é la mancanza di docilità, neppure la mancanza di generosità, ma é questa quasi incapacità di adeguarsi alla visione nuova delle realtà soprannaturali, delle realtà che riguardano il mondo della salvezza.
Adeguamento alla nuova visione e rinnovamento, aggiornamento, ritorno alle sorgenti, é quanto intende il Concilio.
Il Concilio non ha inventato le cose. Alle volte si sentono espressioni poco felici che ingenerano scandali più o meno giustificati, o stati d’animo meravigliati più o meno ragionevoli.
Il Concilio non ha inventato nulla.
Non poteva inventare nulla nell’ambito della rivelazione, perché la rivelazione é terminata.
Ma la rivelazione ha quotidianamente bisogno:
di essere scoperta,
di essere approfondita,
di essere portata alla luce del sole.
Questo ha fatto il Concilio.
E’ vero che la Chiesa c’era anche prima della costituzione della Chiesa. Questo lo ammettiamo tutti, ma la visione della Chiesa che si aveva prima del Concilio é ben diversa dalla visione della Chiesa che si ha oggi.
E’ vero che il battesimo c’era anche prima del Vaticano II°. E’ certissimo, ma altro é il modo con cui si concepiva questo sacramento, genericamente parlando, prima del Concilio, altro é il modo con cui si concepisce questo sacramento, oggi.
Si insisteva piuttosto in un inserimento in nostro Signore Gesù Cristo senza passare attraverso l’inserimento nella comunità ecclesiale, senza considerarlo come un inserimento al corpo di nostro Signore Gesù Cristo.
L’inserimento si fa nel corpo.
Non si fa nel Capo.
E’ tutto il corpo che poi é unito al Capo e forma il corpo mistico di nostro Signore Gesù Cristo: il “Christus totus”.
Quindi il Concilio non inventa, non crea.
Il Concilio può mettere nella giusta luce le cose.
Tra le cose che, ha posto in una luce chiara e più rispondente al disegno di Dio e quindi in una luce più autentica, più corrispondente alla rivelazione, c’è il ministero del sacerdote.
Adesso continuando a fare qualche riflessione, e scusate se su certi chiodi insisto, vediamo che rispetto al nostro ministero c’è una centralità, c’è un punto verso cui devono congiungersi tutte le azioni del nostro ministero.
Questa centralità evidentemente é la Chiesa,
è l’edificazione della Chiesa,
è il perfezionamento della Chiesa.
Ne viene di conseguenza la domanda, quando io ho davanti un individuo, una persona che voglio inserire o più strettamente congiungere o ricongiungere al Corpo di Cristo che é la Chiesa, di che cosa debbo preoccuparmi?
Quand’é che questa persona in un modo vitale parteciperà al mistero della Chiesa e sarà inserita sempre in un modo vitale alla realtà della Chiesa?
Quando in questa persona ci sarà una vita cristiana centrata sulla carità.
La centralità della Chiesa da una parte, a cui deve tendere tutta l’azione del nostro ministero, deve portarci a tenere come punto di arrivo la perfezione della carità nelle anime -chiamiamo così anche nei corpi – nelle persone che sono affidate alle nostre cure e che sono oggetto del nostro ministero.
Questo “oggetto del nostro ministero” passa un po’ per modo di dire, tanto non ci sono laici che ci ascoltano.
Noi dobbiamo avere la preoccupazione di portare la gente verso la carità,
verso un grado più alto di carità,
verso la perfezione della carità:
la carità che é virtù teologale infusa e soprannaturale,
come la Chiesa é nello stesso tempo la meta cui deve arrivare e il mezzo per arrivare a questa meta.
La meta é la perfezione della carità.
Gli strumenti, i mezzi sono gli atti di carità, sono le azioni ispirate alla carità .
Ad un certo punto come la Chiesa non sarà più strumento ma diventerà la meta definitiva di tutta la storia della salvezza in cielo, così la carità ad un certo punto cesserà di essere strumento della perfezione della vita cristiana e diventerà il fine raggiunto quando Dio sarà tutto in tutti perché non ci sarà più di egoismo ma la totalità del suo amore.
Quindi insistiamo ancora e poi lo riprenderemo un’altra volta, su:
la carità che ha ragione di fine
la carità che é al centro della vita cristiana,
la carità che é il vero legame della vita ecclesiale,
la carità che deve diventare la preoccupazione pastorale più viva nell’esercizio del nostro ministero.
La preoccupazione più viva del nostro ministero é portare la gente verso la carità, alla pienezza della carità, quindi guardiamo le azioni principali sulle quali nei prossimi giorni possiamo anche ritornare. Diciamo le cose panoramicamente perché non é possibile scendere nei dettagli.
Eventualmente in qualche dettaglio si potrà scendere come conseguenza di un vostro intervento.
Le azioni principali dell’esercizio del nostro ministero sono : l’annunzio della parola, l’amministrazione dei sacramenti, le celebrazioni liturgiche che sono le sorgenti, e dall’altra parte l’educazione alla pratica delle virtù morali, delle virtù teologali, l’esortazione, l’invito alla pratica delle rinunzie evangeliche.
Dico rinunzie evangeliche per non ripetere i “consigli evangelici” che poi si vanno a confondere con la vita religiosa. Anche questo è segno di mancanza di idee chiare. Le rinunzie evangeliche sono da una parte le sorgenti e dall’altra parte sono la palestra di allenamento.
La parola, i sacramenti, le azioni liturgiche sono le sorgenti.
L’ascetica in genere è il mezzo per conseguire la carità.
Non per conseguire la salvezza dell’anima, ma per conseguire la carità.
La carità ha ragione di fine.
Tutto quello che abbiamo detto:
– l’annuncio della parola,
– il ministero della parola,
– il ministero sacramentale liturgico,
– la direzione spirituale,
– il governo delle anime ecc.,
sono dei mezzi che valgono in quanto servono a qualche cosa. Sono degli strumenti e devono essere considerati come strumenti. Non sono dei fini. Oggetto di quest’azione strumentale é la carità.
Diventa evidente il discorso della prima lettera ai Corinzi, l’inno alla carità di san Paolo che alla fine dice: adesso ci sono la fede, la speranza e la carità. La maggiore di tutte é anche adesso la carità e la carità rimarrà per sempre.
Vedete come siamo vicini alla pratica del nostro ministero?
Non ho detto che siamo entrati nel concreto dell’esistenza umana per vedere come si fa ad educare alla carità. Ci vorrebbe del tempo e si dovrebbe essere preparati e capaci, ma ognuno di noi deve sapere che, così si devono vedere le cose.
Cosi? Perché così?
Perché la salvezza nasce dall’amore di Dio e dalla risposta del nostro amore a Dio.
La salvezza nasce dall’amore di Dio.
L’amore di Dio nel Cristo, nella sua passione, morte e risurrezione;
l’amore del Padre e del Figlio nello Spirito che si incentra poi nel mistero eucaristico, é la sorgente del nostro amore.
L’abbiamo già accennato riferendo uno dei testi.
Ed é la sorgente non solo come motivo: perché Dio mi ama allora io conseguentemente lo debbo amare. Diligamus quoniam prius ipse dilexit nos. Ma perchè Dio mi ama e mi dà il suo Spirito. Il suo Spirito diffonde la carità, cioè una capacità di amare nel mio cuore e io divento capace di amare.
In questo senso si deve intendere la carità, l’amore, la risposta.
Non é che noi siamo capaci di fare qualche cosa, da soli, proprio in questo ambito della perfezione della vita cristiana che é l’amore.
La capacità di amare, ci deriva dall’amore di Dio.
Sic Deus dilexit mundum ut filium suum unigenitum daret”;
” Christus dilexit me et tradidit se metipsum propter me.
Un altro testo riguarda lo Spirito Santo: “Abbiamo la testimonianza di essere figli di Dio dal momento che il Padre ci ha dato il suo Spirito.
La carità di Dio é stata diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci é stato dato.
Dunque non è semplicemente per un modo razionale, per un motivo logico, ma per un movimento vitale di partecipazione dell’amore di Dio fatta a noi, che noi diventiamo capaci di amare.
Questa capacità di amare quando diventa cosciente, attiva e responsabile in noi, diventa la risposta del nostro amore all’amore di Dio.
L’amore a Dio, al Cristo, ai fratelli, alle creature é la caratteristica della vita cristiana nella quale si edifica la Chiesa.
“Il carattere amoroso della vita cristiana” é una espressione del papa. In quel caso il Papa stava parlando della vita religiosa, ma la vita religiosa é un’espressione “perfetta” della vita cristiana o che vorrebbe essere perfetta.
Quell’ultimo libro di Mariten tanto discusso!.. Se la prende per quest’apertura dei nuovi cristiani o dei nuovi preti verso il mondo.
Ma il mondo é creatura di Dio!
Il mondo, come creato, partecipa alle vicende della storia della salvezza.
il mondo geme e attende la sua liberazione e attende la sua trasformazione in cieli nuovi e in terra nuova.
Non si può amare Dio se non si amano anche le sue creature.
Questo é caratteristico della vita cristiana.
Ed é in questo amore a Dio,
in questo amore a Cristo
in questo amore ai fratelli
in questo amore alle creature
che si edifica la Chiesa.
Non la chiesa come struttura, ma la Chiesa come vita.
In questo consiste la vita della Chiesa a cui tende ogni azione del nostro ministero.
Comprendete allora che, ci sono due cose da tenere presenti?
Primo rilievo.
La carità con tutto ciò che la suppone – vedi fede, speranza- e tutto ciò che la consegue – vedi virtù morali – non é una cosa naturale in noi, che dipende unicamente dalla decisione, dagli impulsi e dalla fermezza della nostra volontà.
La carità è qualche cosa di ontologicamente aggiunto alla nostra natura.
La carità è una vita soprannaturale. Quindi come la pratica delle virtù non é possibile con le semplici forze umane, tanto meno é possibile la pratica della carità se la carità non è diffusa nei nostri cuori in un modo soprannaturale da Dio.
Questo é da tenere presente, perché alle volte noi pretendiamo che la gente sia buona senza gli aiuti della grazia di Dio, perché noi mettiamo in evidenza il dovere da compiere e non mettiamo in uguale evidenza i mezzi con cui é possibile compiere questi doveri.
Secondo rilievo.
La vita morale o la vita cristiana in genere non deve essere concepita, come vita basata su altre virtù che siano disgiunte dalla carità, da altre virtù che non poggino sulla carità, che non abbiano la loro motivazione nella carità, che non abbiano soprattutto la loro sorgente dinamica nella carità. Se c’è il primato della carità non ci può essere nessun primato per le altre virtù.
Capitemi bene! Dice san Paolo: tutti corrono ma soltanto uno arriva primo. Se c’è un primato é il primato della carità.
Ne deriva che, tutto quel modo di concepire la vita religiosa, per esempio, in cui la cosa più importante é l’obbedienza, tutto quel modo di concepire la vita dei giovani per cui é la purezza è la cosa più importante non é vero.
La virtù più importante per tutti, dai religiosi ai giovani, ai coniugati, ai sacerdoti é sempre e rimane sempre la carità.
OM 64 Presbiteri_01 1967