dopo un pellegrinaggio in Polonia con amici polacchi
Sento quasi il dovere di scusarmi con i lettori de « La Cittadella » perché, mentre ritengo giusta una informazione sulle principali attività del vescovo, non sono in grado poi di farvi partecipi subito delle impressioni e riflessioni su un mio breve viaggio in Polonia. Non lo avevo nei miei progetti: è stata una felice occasione offertami da amici a portarmici. L’arrivarci in aereo da Milano è un salto di pochissime ore. Il trovarcisi è un altro salto molto difficile da misurare e da scrivere.
Varsavia – è stata la prima tappa – ti offre subito una buona accoglienza. Appena fuori dell’aeroporto, dove il disbrigo delle pratiche non fa perdere molto tempo, ci si inoltra in lunghi e vasti viali costeggiati da boschetti e da parchi di un bel verde autunnale, che – felice coincidenza – splende al sole.
Sinceramente si fa fatica a immaginare che questa grande area percorsa da filari di piante e di edifici soltanto trenta anni fa si presentava come la più tragica spianata ingombra di macerie provocate dall’esplosione della follia nazista. Venti milioni di polacchi dovevano essere ridotti a poche migliaia di servi!
Ora, i corpi delle vittime sono composti in ordinati cimiteri di sterminio o di guerra e formano un’ammonitrice corona poco distante dai bordi della città. Di questi segni muti della pazza paura dei regimi totalitari ve ne sono anche all’interno della città: un resto di muro isolato, un angolo di strada, la gradinata di una chiesa. Innumerevoli mani pietose di persone anonime, ma non disposte a dimenticare, non lasciano mai mancare ceri e fiori freschi; queste evidenti espressioni della memoria del cuore hanno tanti significati.
Varsavia, come le altre città più o meno gravemente segnate dalla furia devastatrice, è risorta dal nulla e si impone all’attenzione del visitatore. La città antica che si affaccia dall’alto sulla Vistola, è stata ricostruita; è custode di un cumulo di memorie civiche e religiose di molti secoli. La città nuova corrisponde ai criteri di una moderna urbanistica di largo respiro. Il centro è segnato dal palazzo delle scienze e delle arti: è un dono dei « padroni » (così sono correntemente indicati i Russi dal popolo) che riproduce in proporzioni ridotte il LOMANOSOR di Mosca e vuole costituire il tempio della ideologia di stato; si erge con una certa imponenza su tutti gli altri edifici, anche al di sopra delle chiese dove la fede degli anziani e dei giovani continua quasi con ostinazione a manifestarsi viva e compatta.
Le vie sono spaziose; le principali, e non solo esse, alberate, hanno lunghi marciapiedi, corsie multiple, svincoli sotterranei per pedoni; i mezzi pubblici di trasporto sono frequenti e rapidi, quelli privati sono scarsi anche se più sviluppati che in altri paesi dell’est, Russia compresa. Noi italiani si rimane sorpresi, e in certo senso compiaciuti, a constatare che quasi due terzi delle automobili in circolazione sono FIAT prodotte in Polonia su licenza della « Casa Madre »
Una parentesi su un dato che evidenzia la situazione economica della famiglia media polacca. Se ne ricava che proprio la diffusione dell’auto privata rappresenta la più chiara e sintomatica contraddizione del regime. La « FIAT 125 » costa 140.000 zloty, cioè l’equivalente di tre anni e mezzo dello stipendio di operaio o di un impiegato. Per cui circola l’amara barzelletta che il polacco medio guadagna 2.500 sloty al mese, ne spende tremila (un buon terzo va per il fitto dell’ appartamento) e il resto lo mette da parte per comprarsi l’automobile. In realtà oggi il salario mensile medio, anche in seguito ai fatti di Danzica, è di 3.500 zloty, pari a 65.000 lire, ma chi vuole condurre una vita decente ha bisogno di circa 6.000 zloty, di conseguenza è costretto a svolgere due o anche tre lavori con vere acrobazie per stare al ritmo: fortuna che le occasioni di lavoro non mancano.
Non posso certo arrogarmi la pretesa di esprimere un giudizio sulla economia di un paese dove ha soggiornato appena otto giorni e per di più senza avere una competenza in materia. Registro ciò che colpisce. Fa parte di quel brusco salto, di cui ho detto a principio, scoprire avvertire le conseguenze di ciò che significa che tutto appartiene allo Stato.
Almeno tutte le abitazioni del cittadino medio sono di proprietà dello Stato; è fortunata una famiglia a cui tocchi un appartamento di 40 mq.; vi è un disagio molto serio per le giovani coppie che nell’attesa mai breve di avere un appartamento proprio, devono convivere con genitori e fratelli (il controllo delle nascite si esercita anche senza proclamarlo !).
Anche i negozi appartengono allo Stato, pochissimi portano sull’insegna il nome del proprietario e questi offrono per lo più oggetti di artigianato; le forti tasse scoraggiano queste forme di commercio privato. Esistono negozi di oggetti caratteristici (porcellane, cristalli, ferro battuto, legno scolpito, fini tessuti di lino eccetera: bel richiamo per i turisti. Gli altri hanno quasi sempre dimensioni e aspetto di magazzini: vi si trova di tutto anche se la qualità è modesta. I polacchi vi trovano per esempio di che vestire con una sobria eleganza senza fronzoli; abiti a parte, il portamento sia dell’uomo che della donna è dignitoso, ispirato a buon gusto e dà tono alla persona.
La situazione alimentare appare buona: c’è di tutto e di qualità genuina. Dovunque i prezzi sono contenuti perché bloccati. C’è nell’aria un senso di incertezza per la situazione economica perché, se da un lato i provvedimenti adottati dopo i moti di Danzica del 1970 hanno portato a un equilibrio accettabile tra salari e costo della vita, dall’altro la bilancia dei pagamenti diviene sempre più deficitaria verso l’estero (leggi Unione Sovietica); si dice che l’Unione Sovietica fornisce alla Polonia l’80 per cento delle materie prime e acquista il 50 per cento della sua produzione Ma credo che nessuno sappia come stanno realmente le cose.
E’ risaputo che nei paesi dell’Est per gli acquisti si fa la fila: specialmente a noi italiani la cosa fa meraviglia, qui è diventata normale e, a ben pensarci, se si esclude l’ansia di arrivare prima che la merce si esaurisca (ciò che avviene raramente), tutto riesce più ordinato e scorrevole; il servizio è compìto e svelto, ma lascia spazio a una cordialità senza fretta; se si esaurisce una derrata non è perché manca, ma chi è addetto alla distribuzione non ha interesse a sollecitarne il rifornimento, non sono affari suoi .
La gente, a parte quelle incertezze sul futuro a cui abbiamo accennato, generalmente si accontenta della situazione economica esistente, i focolai di agitazione non mancano ma sono contenuti.
Ciò che invece crea situazioni di disagio veramente serie sono le abitazioni popolari. L’appartamento e costituito da due vani più la cucina senza finestra. I problemi umani e morali che derivano da una simile situazione sono sicuramente gravi.L’espansione umana é più controllata che da noi ma la preoccupazione, di “inscatolare” molta gente con il minimo di spesa in tutti i grandi centri, porta a costruire degli edifici più che grandiosi, ossessionanti: enormi biscioni (costruzioni a zig-zag) che toccano il chilometro di lunghezza, di progettazione russa. In qualche caso come nei dintorni di Danzica sono più d’uno che si snodano paralleli e, per quanto distanziati e intercalati dal verde diventano l’un per l’altro una muraglia opprimente.
E’ più umana la vita in campagna: più libertà, più spazio, é garantita l’ iniziativa personale anche se la situazione e economica e sociale può risultare più precaria. Si ha l’ impressione che l’estensione di terreno concessa ai singoli proprietari sia commisurata alla possibilità degli attrezzi che riescono a trainare uno o due cavalli. La meccanizzazione é -praticamente inattuabile: il modesto reddito non consente di accedere ai prezzi proibitivi delle attrezzature meccaniche. E’ un punto oscuro della politica economica di questo paese che ha una potenzialità agricola molto favorevole. I nostri importatori puntano forte sui suoi prodotti: erano di ritorno proprio in quei giorni dalla fiera internazionale di Poznam dove avevano concluso buoni affari, cioè, acquistato a condizioni vantaggiose un prodotto di pregio maturato naturalmente. Come mai, allora, l’80 per cento della superficie é coltivato con mezzi così arretrati?
Sul percorso Cracovia-Varsavia, attraverso un paesaggio lievemente ondulato interrotto da vasti e folti boschi di pini e di betulle si sorpassano di continuo i tipici carri a quattro ruote con sponde a bigoncia, trainati a bilancino e guidati dal timone ad asta unica attaccata ai finimenti del cavallo. Frequenti i gruppetti di donne che con la zappa fanno affiorare dal terreno le bianche patate, non distante il carro attende il prezioso carico; intanto un uomo guida l’aratro tirato dal cavallo e prepara il terreno appena liberato per la semina dell’avena o del frumento; ogni tanto si scorge una « seminatrice » anteguerra faticosamente manovrata dal marito o dalla moglie. Così su tutto l’orizzonte si ripetono questi quadri che riportano, uno di campagna come me, ai ricordi degli anni venti. So bene che non bisogna abbandonarsi a vane nostalgie, ma le patate che affiorano tra le zolle, e il cavallo, un carro duro cigolante sul quale far ritorno a casa, il seme gettato, il frutto raccolto e poi la buona madre terra… tutto questo è più che un ritorno al passato.
La catena di montaggio, il petrolio, il profitto individuale o collettivo, ecco gli anni settanta. Indietro non si torna, anzi, c’è tanto e tanto cammino da percorrere davanti a noi. Ma dal punto in cui troviamo qual è la via perché ogni uomo sia padrone signore, non schiavo delle cose o di altri uomini, e la terra e il cielo e il mare producano il cento per uno per la vita, la libertà e la dignità tutti ?
Un cattolicesimo impavido ed austero.
In Polonia, avvicinando le persone, è naturale che chi proviene da un Paese occidentale ponga domande sul perché di una accettazione, – in apparenza scontata, di una condizione economica certamente al di sotto delle potenzialità e delle forze di lavoro del Paese.
E’ rassegnazione fatalistica? Non sembra, poiché quando le condizioni di vita sono diventate insopportabili, come nei cantieri navali di Danzica nel ’70, gli operai hanno sfidato i tentativi di repressione violenta dei « compagni al potere » e hanno imposto le loro ragioni; focolai di malcontento ne esistono tuttora e i dirigenti sono costretti a tenerne conto. Non pochi danno una risposta che può avere la sua parte di verità: questa gente non si è ancora trovata in condizione di essere contagiata dalla « febbre consumistica » perciò non ne subisce i condizionamenti.
I polacchi hanno le loro risposte che noi facciamo fatica a capire.
La prima proviene dalla loro situazione politica: in ogni momento essi sperimentano in modo doloroso e drammatico la mancanza di quei beni che hanno un netto primato sui beni economici.
La dipendenza dall’URSS è totale.
In politica estera Gierek è oggi considerato I’alleato più fedele e ossequente dei Cremlino.
In politica interna, l’ortodossia verso i “padroni” ha portato il governo a rafforzare enormemente il controllo e l’autorità del partito sulla vita sociale e culturale polacca.
La stampa è monopolio del partito, quindi è facile indovinare quale ne sia l’orientamento: degli avvenimenti interni ed esterni si riporta ciò che coincide con le finalità di una ideologia senza sottintesi; il resto è ignorato.
La seconda risposta è di natura storica.
Senza entrare nei particolari, è sufficiente tener presente, per gli ultimi secoli, che la Polonia è sempre stata oggetto delle mire espansionistiche della Russia e della Germania e conosce molto bene il prezzo della libertà politica e dell’integrità territoriale.
Noi non siamo in grado di valutare cosa significhi per i polacchi sentirsi gli unici cittadini di una sola Patria.
Ma esiste una terza risposta ed è la più decisiva: tutti i polacchi, tolta una esigua minoranza che si aggira sul mezzo milione di cittadini ortodossi, protestanti o atei sono profondamente cattolici.
Nati come popolo nel secolo nono intorno alla unità della nuova fede, tutte le vicende della loro storia dolorosa li hanno trovati a dover difendere contemporaneamente il loro patrimonio civile e quello religioso.
Costituisce un punto molto imbarazzante per il Regime presentare alle nuove generazioni una storia patria che prescinda dalla religione: non è facile in questo caso fare ricorso ai trucchi ingenui e sacrileghi dei musei dell’ateismo.
Sintomatico, per riferirci ai giorni nostri, ciò che è avvenuto intorno all’eroica figura del Padre Massimiliano Kolbe: prima della beatificazione era esaltato come eroe nazionale, ora su di lui è calato il silenzio assoluto.
Il cattolicesimo dei polacchi nasce dalla tradizione ma non si sostiene con le tradizioni è frutto di convinzione, si professa nel rischio, nell’austerità e nella penitenza.
L’attività religiosa è permessa o più esattamente tollerata solo nell’ambito delle chiese parrocchiali e nei rispettivi ambienti; l’ unica persona autorizzata a questa attività è il parroco. Tutti gli altri sacerdoti, religiosi o laici, lo fanno a loro rischio e pericolo: i pericoli sono le multe, la retrocessione sul posto di lavoro, il carcere.
In una situazione come questa, i fedeli hanno ricostruito tutte le chiese distrutte dai nazisti, passando per interminabili e scoraggianti trafile burocratiche; costruiscono chiese e cappelle: nei rioni nuovi, sostentano i loro vescovi, i sacerdoti, le religiose, i seminari, le case di formazione, ecc.
Se si pensa alla condizione economica di questi fedeli, si deve riconoscere che sono la quasi totalità a sacrificare, per i bisogni della chiesa, non il superfluo ma parte del necessario. Questo, sì, è un indice sicuro che fa toccare con mano il primato dei valori spirituali su quelli economici.
I polacchi credono ancora nel valore della penitenza.
Tutt’altro che retrogradi, amano la cultura e profittano volentieri della possibilità di istruirsi.
Ma, nonostante l’indirizzo ideologico a cui sono sottoposti nelle scuole di ogni grado, non perdono, anzi acuiscono, il senso della Croce come mezzo di salvezza per se, per la patria, per il mondo.
Durante il Concilio, le parrocchie a turno hanno organizzato veglie settimanali di una notte intera per il buon esito di un evento così decisivo per la vita della chiesa: la presenza più folta è stata quella degli uomini e dei giovani.
E’ risaputa nel mondo la devozione per la Madonna nera di Czestochowa: che non si esprime in gite turistiche o nel numero delle candeline accese ma in veglie e pellegrinaggi penitenziali.
Resiste, nonostante tutti gli ostacoli che cerca di frapporre la Polizia, il pellegrinaggio a piedi nel mese di maggio: parte da Varsavia e dura nove giorni!
Questi sono alcuni aspetti, a vista, del cristianesimo dei polacchi; aldilà stanno le ragioni profonde per cui questo popolo non si affanna per raggiungere in primo luogo un benessere di tipo occidentale.
Si ritengono i più occidentali fra tutti i popoli dell’Est, e lo sono, infatti, per il temperamento, per la cultura fondamentalmente latina, umanistica; ma hanno conservato una scala di valori che ha per metro di giudizio il Vangelo.
Questa ostinata resistenza sui baluardi della fede e della cultura, in un incontro limitato come il mio è difficile da spiegare: bisognerebbe viverci dentro.
Sta di fatto che il Regime è fortemente idealizzato, che gli strumenti della persuasione ideologica sono intensamente attivi: stampa, radio, televisione, circoli di cultura, scuola, propaganda sul posto di lavoro, eccetera; non sono ammessi organi di stampa confessionali: esiste soltanto un foglio, ben controllato, per intellettuali cattolici, di tiratura limitata.
Può sembrare inconcepibile, ma per far stampare biglietti da visita, carta intestata con la qualifica occorre il visto.
Niente viene trascurato per diffondere l’ideologia, esaltare le conquiste del sistema e restringere la libertà personale ovunque tenta di esprimersi.
I vescovi non possono comunicare con i propri sacerdoti o coi fedeli a mezzo stampa; mi è stato fatto costatare che non è permessa neppure la riproduzione di documenti ecclesiastici a ciclostile.
Questa è il bavaglio imposto a una popolazione praticamente tutta cattolica, alla quale è interdetta ogni espressione dei valori più vivi e significativi della propria esistenza mentre le è imposto il martellamento ossessivo di una ideologia negatrice e dissolvitrice di questi vaIori.
I vescovi sono dei sorvegliati speciali.
Nelle chiese parlano con molta libertà e chiarezza, e così fanno i sacerdoti, ma tutto è controllato.
Riporto due episodi dei quali fui testimone: I’ambasciatore di una nazione straniera che frequentava la casa di un vescovo venne ripreso col pretesto che il Governo era responsabile della sua incolumità personale; ad un aeroporto mi viene a prelevare, un vescovo: sosta con la macchina in zona chiaramente indicata per il posteggio ma è avvicinato da un poliziotto che lo aveva certamente riconosciuto dalle insegne e, per non fare discussioni, è costretto a ritirarsi lungo il bordo della .strada. La registrazione delle telefonate è cosa normale.
Non esiste libertà di associazione: il laicato non può organizzare o prendere iniziative sia pure strettamente pastorali.
Prestare la propria casa per il catechismo ai fanciulli, fare catechismo costituisce reato, e quando si è pescati si paga come ho detto sopra; però si trova sempre chi è disposto a correre il rischio.
E’ singolare Ia situazione delle religiose: sono state estromesse da ogni attività educativa, scolastica, ospedaliera, assistenziale.
I loro edifici, come del resto tutti quelli non strettamente annessi alle chiese o alle cattedrali, sono stati statalizzati.
Quelle che ho incontrato sono adibite agli uffici diocesani e parrocchiali; non sono autorizzate per l’attività catechistica, anch’esse la svolgono a loro rischio e pericolo.
E’ sintomatica la richiesta governativa di questi ultimi tempi: si offre alle suore I’assistenza agli handicappati.
E’ un implicito riconoscimento che il trattamento economico fatto al personale laico e la ideologia non sono motivi sufficienti per alimentare lo spirito di dedizione che richiedono queste infelici creature.
E noi siamo tanto poco avveduti e sensibili da voler pubblicizzare istituzioni del genere![1]
Viene da porsi questo interrogativo: fino a quando terrà questo stile di vita austera e di fede salda e genuina?
A tener conto dei fatti non dovrebbero sorgere dubbi poiché l’aspirazione alla libertà più che al benessere col passare del tempo si fa più cosciente e sentita; anche se si registra qualche defezione, sono sempre più numerosi i focolai di protesta.
La fede e la perseveranza sono un dono di Dio ma i mezzi di cui Gesù Cristo ha dotato la sua Chiesa sono valorizzati a fondo, nonostante le restrizioni delle libertà fondamentali e la mancanza totale degli strumenti esterni della comunicazione sociale del Vangelo: i libri liturgici preparati in lingua polacca non hanno potuto essere importati sebbene fossero offerti gratuitamente; di un catechismo nazionale adattato per tutte le età è stata permessa la tiratura di sole cinquantamila copie; difficile far entrare libri di argomento teologico.
Ma sembra di poter pensare che a tutto supplisca la teologia della Croce. Tutti ne sono «esperti», dai vescovi ai laici.
Questa follia e questo scandalo non sono più per i giudei e per i greci ma per noi che abbiamo ridotto le esigenze di seguire Cristo crocifisso a quelle imposte da sistemi individualistici o collettivi condizionati dalla produzione o per la potenza o per il consumo.
Poi ci sono i giovani il cui comportamento costituisce un motivo di valida speranza per il futuro. I giovani polacchi ci fanno arrossire Ci sono coincidenze sorprendenti: avevo tanto sentito parlare della gioventù polacca ma, non avrei mai pensato di vederla in una delle sue manifestazioni tipiche, religiosa e contestatrice, così da vicino. Ho assistito alle manifestazioni finali del « Sacrosong 1974 ». In Polonia, è stato scritto, nessuno riesce a far stare zitta la comunità cristiana: parla e canta; ha tanta voce da prestarne anche alle comunità meno fortunate dell’Ungheria, della Cecoslovacchia e della Iugoslavia.
Da sei anni, un salesiano polacco riesce a organizzare a Varsavia un festival di musiche su tematica religiosa per complessi orchestrali e corali o per solisti provenienti da ogni parte del Paese e da diverse altre nazioni: quest’anno hanno risposto all’invito i professionisti e i dilettanti della Polonia, della Cecoslovacchia, della Iugoslavia, delle due Germanie e dell’Italia.
Tutti i solisti e i complessi partecipanti al « Sacrosong » vengono ospitati da famiglie private, e si tratta di parecchie centinaia. Le persone che hanno partecipato alla manifestazione durante le eliminatorie e la sera della proclamazione dei « pezzi » scelti (valutati secondo criteri di valore intrinseco, di interpretazione e di gradimento del pubblico), furono calcolate intorno alle cinquantamila: la cifra non è certamente esagerata se si considera che le chiese in cui avvennero le esecuzioni sono le più vaste della città e ogni sera erano stipate all’inverosimile.
La stampa locale si è rifiutata di riportare l’avvenimento; oltrechè trattarsi di una manifestazione religiosa, c’è un prestigio da salvare: quello delle iniziative del partito che, pur disponendo di tanti mezzi organizzativi e di propaganda, non raccoglie che sparuti gruppi di aderenti.
Il tema proposto per l’edizione di quest’anno (1974) era « La relazione del mondo e dell’uomo ». Lo svolgimento è stato molto libero e ha toccato un rispettabile livello artistico. Il contenuto era chiaramente contestativo della ideologia imperante, ma anche le motivazioni umane che affermavano i valori conculcati erano assunte da una visione religiosa del mondo e della vita: «Dio crea l’uomo nell’uomo… I’uomo si è perduto per il peccato… uomini aiutatevi ad essere uomini… Dio tu ce l’ hai data la speranza – non togliercela mai »…
La sera delle finali, per una entrata secondaria, a stento, sono riuscito a calarmi in un piccolo spazio tra la ressa di gente che stipava la vasta chiesa dei salesiani in ogni angolo, corridoio, tribuna. Per due ore si sono alternati solisti, cori e orchestre: l’ascolto religioso, gli applausi generosi tradivano le inevitabili simpatie, varie per età, provenienza. Ma direi che tutti e su tutti, esecutori ed uditori, dominava un sentimento di commossa amicizia, carica di nostalgia e di speranze. In una situazione del genere è chiaro che il significato va ben oltre l’avvenimento artistico: è una preghiera a Dio e un messaggio al mondo che si infrange contro porte sbarrate. Ma la speranza valica i confini dell’impossibile: per questo i polacchi cantano.
Guidato dal mio ospite e da lui presentato, alla fine mi sono trovato sul palco. Mai mi ero sentito avvolto da una simpatia più vasta e più intensa, in un momento di altissima tensione religiosa. I polacchi testimoniano da sempre una predilezione per gli italiani; io rievocavo don Orione come tortonese, don Bosco come piemontese, Pio X come mantovano (ogni nome era un sussulto) e dicevo della grazia di aver visto nei loro occhi, udito nelle loro musiche e sentito nell’atmosfera dell’ambiente un’espressione così vibrante della chiesa polacca tanto ammirata e stimata.
I protagonisti del « Sacrosong » sono giovani che la loro giornata la trascorrono in fabbrica, a scuola, in caserma, nelle organizzazioni di partito. Tutti i giovani sono nella situazione di dover maturare il loro senso critico per consolidare in se stessi il valore della libertà e respingere, come non esistessero, le proposte della ideologia.
Le mie informazioni non presumono di essere esaurienti, sono il primo ad avvertire che la situazione non va idealizzata, tuttavia ciò che riferisco è documentato.
La scuola è completamente ideologizzata, da quella per la infanzia alla università. E’ impensabile che tutti gli insegnanti siano attivisti del partito, ma di problemi religiosi non possono parlare i testi sono a ispirazione unica; l’apparato burocratico, i cui funzionari possono anche essere zelanti, fa la sua parte. A dispetto di tanto impegno ideologico e ateistico, i risultati sono questi: gli alunni delle elementari e delle medie frequentano, la quasi totalità, il catechismo parrocchiale dopo l’orario scolastico, gli studenti delle medie superiori, a seconda delle località, frequentano le scuole parrocchiali da un minimo del 50 per cento a una media dell’80 per cento, esistono punte del 90 per cento.
Nella sola Varsavia funzionano 38 gruppi universitari di lettura della Bibbia, dei documenti del Concilio e di preghiera: ogni altra attività sarebbe immediatamente stroncata. Ciascuno sotto la propria responsabilità partecipa ad iniziative catechistiche e di assistenza; sono presenti nelle organizzazioni di Facoltà con il peso delle loro convinzioni e della loro coerenza, si prestano per la costruzione di nuove chiese, ecc. E’ naturale che il Regime dedichi le cure più assidue alla gioventù: in Polonia più che in altri Paesi, interiormente meno liberi, sui giovani egli gioca il proprio futuro. Si tengono d’occhio i più capaci, tra questi gli aspiranti al ministero sacerdotale. Questi ultimi, nonostante una convenzione tra il governo e l’episcopato che li esenta dal servizio militare in buona parte sono costretti a soddisfare gli obblighi di leva.
Lo scopo è ben preciso: non sono reclutati per l’addestramento militare ma per l’indottrinamento ideologico; periodicamente sono avvicinati da un ufficiale che viene da fuori e con i modi più suadenti tenta di convincerli del fallimento della religione, della debolezza della chiesa, dei successi del regime e intanto lascia intravedere delle allettanti prospettive. Si tratta di un’azione condotta con intelligenza e tatto, che per di più fa leva sulla garanzia di poter soddisfare le aspirazioni di avanzamento, di carriera assicurata, di benessere… Statistiche condotte tra gli alunni dei seminari registrano il cedimento del solo 5 per cento.
Un vistoso insuccesso è riscontrabile anche nelle iniziative per la gioventù, promosse dal Regime: o sono frequentate senza convinzione o, sono disertate. E’ sintomatico il modo di organizzare le vacanze nei Paesi dell’Est: per i coniugi sono previste vacanze separate per le donne e per gli uomini, per i figli invece sono promiscue. Questi però, appena possono, scelgono campeggi liberi con la presenza del sacerdote e delle religiose. Le Messe al campo sono ” militarmente” vietate. Scrivo «militarmente» perché in questi Paesi, per distinguersi da quelli borghesi capitalisti, la polizia si chiama « milizia» (come da noi durante il ventennio!).
La pagina più eloquente sulla situazione della gioventù polacca la stanno scrivendo i giovani che premono per entrare nei seminari: 260 nel solo seminario di Varsavia; un istituto religioso di 200 membri ha 80 studenti di teologia; nel seminario di Cracovia tra diocesani e religiosi gli alunni sono 1.300; in questi ultimi anni si è registrato un inspiegabile incremento.
Ma bisogna star bene attenti a non confondere la situazione degli alunni dei nostri seminari con quella dei giovani polacchi. Questi giovani che ti accolgono al suono delle chitarre e ascoltano sbalorditi le notizie di prima mano dei cristiani per il socialismo o dei cattolici progressisti italiani, il socialismo progressista l’ hanno sperimentato per vent’anni: l’ hanno vissuto nei suoi riflessi nella situazione delle loro famiglie, ne sono imbevuti durante tutti gli anni della scuola pubblica che sono stati costretti a frequentare fino alla maturità classica, magistrale o scientifica, l’ hanno superato nei tentativi di plagio a cui molte volte sono stati sottoposti. La loro è stata una scelta matura di fede in Dio che salva la persona, la sua dignità e libertà in opposizione a un sistema che, adottando l’analisi marxista della realtà sociale, porta di conseguenza a negare Dio e condanna l’uomo a cercare una salvezza che dall’uomo si fa sempre più lontana.
Credo che in nessun altro Paese del mondo la chiesa goda di una credibilità incondizionata come in Polonia. Una gerarchia guardata a vista dalla milizia non può lasciare sospetti di collusione con il potere. Le spoliazioni alle quali sono state sottoposte le istituzioni ecclesiastiche non lasciano dubbi sulla loro povertà. Il rischio che si corre per proclamare il Vangelo in chiesa o per tenere una semplice lezione di catechismo è segno indiscusso di carità evangelica. I giovani sentono che la chiesa è dalla parte della libertà, che di lei si possono fidare totalmente; non hanno mai sperimentato la chiesa come « sfruttatrice del popolo », ma solo come oppressa dal potere e il loro spontaneo senso di giustizia li porta a stare dalla sua parte. Tutti i polacchi ma in particolare i giovani guardano con fiducia illimitata e con ammirazione profonda al loro Primate, cardinale Wisynski: un uomo forte, coraggioso, esigente, la cui preoccupazione dominante sembra essere che i suoi fedeli non vengano meno alle esigenze della croce.
Un vescovo che dalla Polonia ritorna in Italia, mi pare – così almeno è accaduto a me – debba sentirsi assai mortificato. Da noi è indubbio che le esigenze del Vangelo e specificatamente quelle della Croce sono state minimizzate, che ci siamo lasciati impaniare da questioni periferiche, da false problematiche, che ci siamo perduti in vane parole per presunte questioni pastorali. Quanta fatica per convincersi che la identità cristiana e la sua credibilità sono la sequela di Gesù crocifisso! La chiesa polacca non ha esitazioni: a una gioventù che fa quotidiana esperienze di una « liberazione » involutrice senza Dio, propone la libertà dei figli di Dio che sgorga dal mistero della Croce.
AUSCHWITZ
Può avere un suo significato che il crimine più atroce della follia umana, che pretende di sostituirsi a Dio, sia stato consumato sul suolo della religiosa Polonia. Ogni potere che dimentica Dio o lo nega, ha bisogno di sostenersi col terrore e lo sterminio dei suoi veri o presunti oppositori: Hiroshima, Arcipelago Gulag stanno a testimoniarlo. Ma quando una ideologia diventa « mistica », il terrore e la violenza non le bastano più: pazzamente, mostruosamente, ricorre allo sterminio totale per una esigenza anche fisica di essere sola, così come non vi può essere che un Dio solo. Auschwitz ha questa sola spiegazione.In nessun altro momento della storia tanti esseri umani sono stati così crudelmente torturati e altrettanta gente indifesa è stata annientata come in questo campo di eliminazione nazista.
Come altri campi di concentramento, esso si è proposto di essere uno strumento di terrore per scoraggiare la volontà di resistenza delle nazioni nemiche in più è stato una riserva di manodopera da spremere bestialmente, oltre ogni limite di resistenza, per i massicci profitti dell’industria bellica colà appositamente impiantata; ma particolarmente è stato un luogo di sperimentazioni pseudo-scientifiche per scoprire i meccanismi biologici utili a sterminare intere razze (slava) o gruppi etnici (ebrei, gitani). Le persone sterminate ad Auschwitz, tra uomini, donne e bambini sono circa quattro milioni !
Io ci sono arrivato a pomeriggio inoltrato del 26 Settembre scorso; il cielo coperto e l’aria pungente rendevano come fisica la tristezza e lo sconvolgimento che procurano memorie così tragiche quasi palpabili. Si supera il cancello d’ingresso raccordato da un arco in ferro battuto su cui spicca la scritta beffarda: «Il lavoro è gioia», e ci si inoltra in lunghi e deserti viali che intersecano a scacchiera altrettanti casamenti in muratura; alti pioppi muti incominciano a spogliarsi delle foglie incolori: data l’ora, non riverberano più alcuna luce.
Calpestare la sabbia o il selciato di quei viali, varcare quelle soglie, affacciarsi in quegli ambienti quasi ti blocca, per non so quale fenomeno, la capacità di comunicare con la memoria, col cuore con la preghiera, con tutte le inermi creature che là hanno respirato un’aria di morte mentre tu sei in condizione di respirare un’aria di libertà: forse è il peso della testimonianza che si impone.
Non è il caso di riferire qui tutto ciò che di Auschwitz rimane di documentazione: esistono rapporti in tutte le lingue. Accenno a quello che più sgomenta. Gli indumenti dei bambini, i loro giocattoli, le loro fotografie numerate: nudi, ischeletriti, deformi, povere cavie in mano a “professionisti” anormali sulle quali si sono permessi tutti i tipi di sperimentazione da quelle farmacologiche a quelle chirurgiche.
Lo sguardo rifugge dal sostare a lungo su uno spesso strato di capigliature muliebri stese sul palket di una vasta camera: al momento della liberazione è stato scoperto un deposito di sacchi pressati di queste capigliature pronti per la spedizione; tra gli altri ricavati, si possono vedere e toccare, chi se la sente, rotoli di stoffa… Un magazzino di occhiali ammucchiati alla rinfusa, un altro di calzature fino alle più sdruscite, di pettini, di spazzole; l’oro delle dentiere è stato fuso. Nulla doveva andare perduto. Le notizie disastrose che ormai arrivavano da tutti i fronti di guerra alimentavano la tragica sensazione della necessità di uno sforzo titanico per garantire una sopravvivenza legata a uno di quei tenui capelli!
E’ vero: in nessun istante della storia umana due paure, due angosce, due disperazioni si erano mai guardate negli occhi interrogandosi con un tale sbigottimento; ma non sono eventi che si possano ricostruire ricorrendo al miglior giro di parole.
Hitler persona e i suoi adepti, presi da una furia sterminatrice danno ordine di moltiplicare le camere a gas; i forni di incenerimento non sono più sufficienti a distruggere i cadaveri (al tempo dello sterminio degli ebrei ne incenerivano 42.000 in 24 ore), perciò si ammucchiano all’appello, si cospargono di liquido incendiario e si bruciano: i roghi mandano bagliori sinistri visibili da vaste distanze.
Le vittime, impotenti spaurite stordite ignare del loro destino, sono spinte in un’ampia sala dalla quale si accede alla camera a gas: una scritta in più lingue la designa come un impianto per docce, tutti devono denudarsi; quando la camera sarà stipata, dal plafone sarà immesso per circa 20 minuti il micidiale « cyclon B »; dopo aver messo in azione i ventilatori per rendere respirabile l’aria, la squadra già pronta entra pel portar fuori i cadaveri: nessuno della squadra riferirà ciò che i suoi occhi hanno visto perché tutti saranno eliminati. Le esecuzioni per fucilazione contro il « muro nero » hanno fatto scorrere tanto sangue da inzuppare il terreno sabbioso fino alla profondità di due metri.
Ritorniamo agli interrogativi. L’ideologia, nella misura in cui tende a sostituirsi alla fede, si rivolta contro l’uomo e ne fa uno schiavo o una vittima: quando la razza, la classe, il potere, I’economia, la scienza diventano dei fini, l’uomo passa al ruolo di mezzo. Auschwitz turba ma è più conturbante la situazione dell’intera umanità dove questo rovesciamento di valori continua a verificarsi.
E’ sintomatico: la Polonia che è la naturale custode del campo di sterminio dove la follia umana ha toccato il suo vertice, ha fatto di Auschwitz un museo ma non un sacrario con l’intento preciso di conservarne il ricordo ma non il significato. Si tenta d’impedire di vedere dove porta il culto della personalità, il mito della classe, la fede che si rifiuta a Dio. Si nasconde il segnale di allarme per rassicurare che il pericolo non esiste.
Ciò che si dice della Polonia vale per tutti i sistemi che oggi storicizzano nel mondo in forme solo apparentemente opposte (capitalismo e collettivismo) gli identici principi del vecchio ma non tramontato hegelismo. Non stupisce perciò che ad Auschwitz, a differenza di tutti i lager dell’Europa, siano vietate le celebrazioni religiose. La motivazione che viene addotta dalle autorità è estremamente logica: « Da quando in qua in un museo si celebrano delle liturgie? Ma le masse polacche ad Auschwiz, nelle ricorrenze, ci vanno per pregare. Ai discorsi commemorativi non credono, e c’è un vescovo che, contravvenendo alle disposizioni più volte ribadite, si presenta con tutto l’occorrente e celebra la Messa teme un Dio solo e fedelmente lo serve.
Questa presenza di chiesa che prega ad Auschvvilz non è una sfida per nessuno, è la coscienza di essere umilmente e fiduciosamente nelle mani di Dio strumento di universale salvezza, forse anche per il capo del campo di sterminio.
CARLO FERRARI Vescovo
ST 412 Polonia 74
stampa “La Cittadella” Ottobre 1974-
stampa “Da Dio a Dio” pag 295 a pag 312