Terza meditazione L’alternativa: o vendere il campo o perdere il tesoro Colui che incontriamo L'ultima considerazione ci ha aperto gli occhi su ciò che troviamo nel fondo del silenzio, della solitudine, del deserto... Troviamo Dio che ci chiama a sé per farci entrare nella comunione del suo amore infinito: il suo amore infinito che diventa la sorgente della nostra vita e dell'amore che domina e anima la nostra vita stessa. Perciò il silenzio, la solitudine, il raccoglimento, il deserto, hanno un valore funzionale: non valgono per se stessi, ma per metterci nella possibilità di incontrare Dio, di stare con Dio, di aprirci alla partecipazione della insondabile ricchezza della intimità di vita con lui, che corrisponde ad una autentica vita cristiana. Il silenzio, il raccoglimento, il deserto si pongono come punto di scelta perché danno a noi la possibilità - quando ci troviamo immersi nel silenzio, nella solitudine, nel raccoglimento - di giudicare, di scegliere, di fare nostro quel tesoro di vita intima con Dio, che altrimenti non saremmo in grado di avvertire e di valutare; e ci mettono nella condizione di dare un posto preminente alle realtà interiori che vengono da Dio e che sono a fondamento delle realtà più preziose della nostra persona: quelle che specificano la nostra stessa natura, quelle che costituiscono la ricchezza vera della nostra persona, la quale non è ricca per ciò che ha o per ciò che possiede, o per ciò di cui dispone, ma per ciò che è solidamente sul fondamento che è Dio. A questo punto logicamente nasce una questione di vita contemplativa rivolta tutta su Dio e di vita attiva rivolta sugli impegni e sulle realtà esteriori. E' una questione che è sempre stata viva nella storia della chiesa e nella storia della vita spirituale. Questa questione è stata impostata e trattata in diversi modi sotto l'influsso determinante delle situazioni storiche. contemplativi? Al fine di avere idee esatte e chiare, bisogna intendere bene soprattutto la Rivelazione e la condotta di Dio. Intanto intendiamoci sul significato di contemplazione; nei nostri ambienti richiama qualche cosa da lasciare a ristrette categorie di monaci; di fatto è un aspetto comune di una vita spirituale vera. La contemplazione come ogni fenomeno della vita spirituale ha diverse « età »; ma ogni età è un momento della vita; così ogni età della vita cristiana è contemplativa, è destinata a maturare e può raggiungere gradi che comportano anche fenomeni straordinari. Si contempla quando si fa attenzione a ciò che capita intorno, quando si è immersi in ciò che ci colpisce, quando soprattutto si sosta, si gode, si vive in ciò che diletta: si contempla un paesaggio, un fiore, un volto caro, gli occhi di un bambino; è qualche cosa di grandioso, di delicato, di dolce, di forte che trova la strada della sintonia con la nostra persona ed è accolto e diventa un momento singolare della nostra esistenza e un elemento nuovo, più bello, più delicato, più fresco della nostra persona Al di là delle cime nevose, dei tramonti dorati, dei laghi riposanti, della varietà dei colori, esiste il mondo dell'amore di Dio nostro Padre, dello splendore della sua gloria manifestata nel Figlio, della potenza della grazia dello Spirito Santo; noi siamo il punto di convergenza di questi « spettacoli » inauditi: è un mondo di persone, di eventi, di rapporti nel quale sono coinvolti il nostro essere e la nostra esistenza in tutte le dimensioni. Esiste un fenomeno che può orientarci a comprendere la preghiera come contemplazione: la carica dell'accumulatore elettrico. Con apparecchiature opportune la corrente elettrica è accumulata nella batteria: la corrente investe la batteria, ma la energia si accumula perché trattenuta dal tipo di materiale, dai reagenti di cui è composta la batteria. Nella preghiera contemplativa la fonte di energia sono le divine Persone e gli eventi salvifici di cui sono i viventi protagonisti; la batteria siamo noi con le nostre disposizioni e le nostre capacità reattive; il « caricatore » è la tecnica, sit venia verbo, della preghiera. che cos 'è contempIare ? La preghiera è contemplativa perché ha come intento primo di stabilire un contatto personale; non impegna tanto l'intelligenza quanto tutta la persona ad essere attenta e disponibile; non è tanto lo sforzo di comprendere ma la coscienza di essere conosciuti (ricordiamo che alla fine vedremo Dio faccia a faccia allo stesso modo che saremo conosciuti da lui) 5 e di trovarci sotto lo sguardo del Dio vivente: il suo sguardo carico di amore che ci fa nuovi.Contemplare è sostare e riposare nella sicurezza che le divine Persone mi amano e il loro amore fluisce attualmente da loro a me per essere la mia vita: contemplare è accogliere con gioia e riconoscenza l'azione trasformante dell'amore di Dio, è desiderare di essere stabiliti nell'amore di Dio. Queste poche affermazioni vi fanno comprendere che la contemplazione è una reale comunione con la vita di Dio dove conta decisamente ciò che fa lui. Alle volte si dice che si tratta di una preghiera passiva: lo è in quanto ciò che fa Dio è preminente, ma Dio non lo fa al di fuori della nostra attenzione, del nostro fermarsi, del nostro stare ai suoi piedi 6, del nostro guardare stupito, della nostra gioia di credere di essere dei salvati, della nostra progressiva disponibilità ad essere totalmente salvati. Intesa così la preghiera contemplativa è tutt’altro che passiva, è veramente tutta impegnata. Ma non si carica una batteria per metterla in deposito: essa è destinata a comunicare l'energia accumulata; non si ricava energia da una batteria scarica. Così la contemplazione ha il suo compimento naturale nell'azione; come è vano pensare che l'azione sia cristiana se non nasce e non è sostenuta dalla contemplazione! Però l'azione, a sua volta, mentre farà sentire il bisogno della contemplazione, per via della esperienza delle persone, delle situazioni, ecc., diventerà un « reagente » che ci apre a nuovi aspetti della contemplazione. E allo stesso modo che ci sono le distrazioni durante la preghiera, così ci possono essere degli istanti felicissimi di contemplazione durante l'azione. L'azione cristiana è di sua natura sinergica: è l'azione di Dio in noi, con noi, per noi. condizionati nel tempo Dicevamo questa mattina che il deserto non è il luogo dove si stabilisce la propria dimora, ma un luogo di passaggio. Bisogna vedere in nostro Signore Gesù Cristo il tempo del deserto e il tempo dell'azione, il tempo del ministero, il tempo dell'apostolato, il tempo del compimento della missione che gli ha affidato il Padre, il tempo della stanchezza fisica e psichica per il molto camminare, il predicare, il sostenere gli attacchi che gli venivano dai suoi nemici; e poi il tempo del riposo, soprattutto il momento della solitudine e della preghiera. Noi siamo nel tempo, viviamo nel tempo, dobbiamo accettare di vivere nel tempo, dobbiamo convincerci di essere soggetti al succedersi e quindi allo scorrere del tempo, dobbiamo ammettere che non possiamo fare contemporaneamente più cose, ma una per volta. Quando noi ci dedichiamo alla predicazione, all'esercizio del ministero in genere, quando studiamo, quando svolgiamo i nostri impegni, dobbiamo pensare che questa è vita attiva e che non ha niente a che fare con la vita contemplativa:una attività esteriore separata da quella interiore? Necessariamente, no. Però, noi, così come siamo fatti, poiché siamo delle creature che vivono nel tempo, abbiamo bisogno di dare uno spazio adeguato ad ogni espressione e ad ogni bisogno della nostra vita. C'è il momento del nutrimento fisico e c'è il momento del dispendio delle energie fisiche, c'è il momento della carica delle nostre energie spirituali e c'è il momento dell'impiego delle energie di cui ci siamo forniti. Non c'è separazione, anzi, ci deve essere continuità. Il momento dell'azione presuppone il momento della contemplazione. La nostra vita attiva deve derivare dalla nostra vita contemplativa. L'azione deve essere motivata, animata e deve trovare la sua spinta abituale nella contemplazione. Dobbiamo avere la preoccupazione di assicurarci il tempo da dedicare alla contemplazione:raccoglimento per pregare, solitudine per incontraci con Dio, silenzio per lasciare parlare lui, deserto per liberarci da ciò che distoglie la nostra attenzione da Dio stesso. Lasciate che vi dica: approfittate di questo breve tempo in cui state ancora in seminario dove le cose sono facilitate da un ritmo di vita che si adatta molto ad equilibrare questi due tempi; intendete bene il momento della contemplazione, il momento della preghiera, il momento della riflessione spirituale, il momento dell'incontro con Dio, approfittatene per consolidare le vostre convinzioni, per creare delle abitudini valide che tengano anche quando non ci saranno più le condizioni esterne che le favoriscono: l'orario, il richiamo, la presenza degli altri, perché, quando sarete liberi di disporre del vostro tempo, oppure avrete la impressione di non poter disporre di alcun tempo, potrete avere la tentazione di giudicare più importanti le attività che il loro contenuto. ritmi adatti Abbiate davvero la capacità di restare fermi su questo punto. Oggi la vita ha un ritmo che non è più quello naturale delle stagioni e del sorgere e del tramontare del sole. E' inutile prendercela con questo ritmo odierno molto artificioso che fa male non solo alla vita spirituale ma a tutta la vita; comunque è questione di salvare noi stessi, di salvare domani la efficacia del ministero, di dare una ragione alla nostra esistenza, di trovare una giustificazione valida del nostro sacerdozio, di rimanere ancorati alla Roccia che dà stabilità alla nostra esistenza, di attingere alla sorgente della nostra vita e della nostra attività. Siete giovani ma non siete più bambini; non so se siete in grado di prendere un atteggiamento critico riguardo ai fatti che accadono oggi nella chiesa, in particolare nel nostro mondo ecclesiastico. Ci sono problemi gravissimi e seri che nascono da una situazione nuova e da una formazione vecchia. Dove ognuno di noi ha una responsabilità, dove si può veramente rimediare e quindi fare qualche cosa è su questo punto: la preghiera. Né io Vescovo né voi seminaristi, guardando il sacerdote, dobbiamo prendere un atteggiamento di accusa, però dobbiamo guardare le cose realisticamente e chiederci: pregano i sacerdoti oggi? quanto pregano? come pregano? Non dico che tutti i problemi si risolvano unicamente pregando, ma assicurata la preghiera è più facile risolvere gli altri, sia quelli che riguardano le lacune di una formazione non adeguata ai tempi, sia quelli che riguardano le difficoltà che presentano le situazioni odierne. Miei cari, ve lo dico in questa occasione particolarissima di grazia: se volete andare tranquilli verso il sacerdozio, se volete andare verso il sacerdozio con onestà, mettete al sicuro la vostra vita di preghiera. Non preoccupatevi di quello che dovrete dire o fare e di come lo dovrete fare; anche di questo vi preoccuperete: in particolare abbiate una autentica sensibilità umana e una autentica apertura verso i fratelli. Ma convincetevi: una autentica capacità di dare ai nostri fratelli ciò che attendono da noi, può esserci unicamente se siamo uniti a Dio, se abbiamo di Dio quella conoscenza e delle cose di Dio quella esperienza di cui abbiamo parlato in questi giorni C'è il momento della vita contemplativa e il momento della vita attiva, ma della vita, perché sia vita, è indispensabile fare una sintesi. L'unità della vita del sacerdote è un problema di cui si è preoccupato seriamente il Concilio nel « Presbyterorum Ordinis ».(1) unità armonica Dove si fa l'unità della vita sacerdotale? Si fa nell'intimo della nostra persona, nel nostro cuore. Il nostro cuore deve essere talmente posseduto da Dio da essere ininterrottamente orientato a Lui. Ho detto il nostro cuore, non la nostra attenzione: perché la nostra attenzione la diamo successivamente a diverse cose. « Age quod agis », dicevano i nostri vecchi Qui, chi viene al monastero subisce un esame: « si revera Deum quaerit ». E' un esame a cui noi dobbiamo sottoporci continuamente, quando studiamo, quando vogliamo fare dell'attività spirituale, quando domani dovremo fare l'attività pastorale. In ogni istante dovremmo essere in grado - se fossimo interrogati all'improvviso -di rispondere che cerchiamo Dio: « sono occupato nelle cose del Padre mio » (2) E' difficile per la nostra natura, ma è possibile per la grazia che Dio ci dà per corrispondere a questa esigenza della nostra vocazione. In questo modo si fa l'unificazione di tutta la nostra vita e quindi di tutte le nostre attività interiori ed esteriori. libertà del cuore Perciò dobbiamo tendere a realizzare in noi stessi la libertà del cuore. Che il nostro cuore non sia di nessuno, ma sia di Dio. Thomas Merton nel « Segno di Giona » fa, ad un certo punto, una riflessione curiosa. Il superiore, il giorno prima, gli aveva procurato una « Remington » nuova ed egli si sorprende in questa eventualità: sta a vedere che adesso la «Remington» nuova prende il posto di sua maestà Domine Iddio! Dove può essere preso in trappola il nostro cuore! Anche da cosa da niente. Basta un filo di refe per impedire ad un uccello di volare. Un filo di refe non è una grande cosa. Guardate che possiamo avere delle prevenzioni circa determinate mortificazioni perché le giudichiamo cose da poco, senza importanza. Un orientamento abituale verso Dio, ben inteso. Ci sono in seminario dei ragazzi che prendono troppo sul serio la vita spirituale: allora non si distraggono mai, sono sempre superconcentrati, pregano continuamente, poi diventano scrupolosi, vanno incontro all'esaurimento nervoso, ecc. No. Omnia tempus habent! Ciò che importa è che Dio sia così in evidenza, così in primo piano, con tutta la ricchezza del suo mistero, da non sfuggirci mai Importante, quindi, è vigilare. (3) Siamo a un punto concreto. Di qui voi dovete essere capaci di giustificare lietamente, serenamente, liberamente, la necessità di un tirocinio ascetico - per dirlo con un linguaggio vecchio -, di una disciplina interiore ed esteriore, di un allenamento. E' indispensabile che la nostra giornata sia sempre segnata dalla preoccupazione di stare attenti a Dio e di rimuovere ciò che distoglie dà lui. A questo proposito, non la mortificazione per la mortificazione, ma la mortificazione per raggiungere la libertà del cuore, per metterci nella condizione di cercare abitualmente Dio, per assicurare quindi la nostra vita spirituale. Distacco. Mettere una certa distanza. Miei cari, oggi si parla molto di incarnazione, di immersione nel mondo e di altre cose che, se intese rettamente, sono giuste e doverose. Nostro Signore Gesù Cristo si è fatto uomo; siamo dinanzi al mistero della Incarnazione, ma facciamo attenzione a tutto ciò che accompagna la realizzazione di questo mistero. Vediamo la condotta di nostro Signore Gesù Cristo; lui certamente non aveva il peccato originale, eppure vediamo che la sua è la condotta di un distaccato. Columba Marmion nel suo epistolario dice che vicino alle persone, alle cose, a ciò che ci fa piacere e ci dà gioia, dobbiamo stare come quelli che si appoggiano, ma non si riposano, che ne prendono conforto, ma che non se ne fanno un bisogno. Quante gioie, così dette innocenti, e che sono veramente innocenti, possiamo incontrare. Le dobbiamo disprezzare? Assolutamente no. Le dobbiamo rifiutare? No. Le dobbiamo accogliere? Si, ma con distacco, mettendo una certa distanza perché non diventino insidie. Non aspettiamo che diventino un pericolo; mettiamo una zona di sicurezza: l'abitudine alla mortificazione La mortificazione comporta sempre una rinuncia; la rinuncia è la condizione per essere discepoli di Cristo (4); se la rinuncia non ha anche un lato effettivo, oltre che affettivo, rimane la bella favola, che il cuore racconta all'intelligenza (De Magistre). Ognuno deve sapere fino a che punto deve rinunciare: dalla propria esperienza, dal proprio giudizio; ma è indispensabile che intervenga il giudizio di un altro, esperto e prudente, perché in questo campo non bisogna presumere di essere giudici imparziali Ricordiamo la parabola di Gesù. Un uomo ha scoperto un tesoro nel campo. Va, vende tutto quello che possiede, viene e compera il campo per assicurarsi il tesoro. (5) Se fosse stato attaccato alle cose che aveva da non avere il coraggio di venderle, non si sarebbe assicurato il tesoro Gli apostoli per bocca di Pietro dicono al Signore: « ecco, noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque avremo noi ? ». (6). San Gregorio commenta: che cosa hanno mai lasciato? Due barche sdruscite, un po' di reti smagliate. Non è importante che sia tanto o poco quello che si lascia. Importante è lasciare tutto perché si è scoperto un tesoro. E il tesoro è Dio nostro Padre, è Gesù Cristo nostro Salvatore, è lo Spirito Santo che santifica e salva noi e gli altri. /1) P.O. 14. /2) cf Lc 2,49. /3) cf Mt 24,42; Mc 14,38. /4) cf Lc 14,33; Mt 10.37. /5) cf Mt 13,44. /6) Mt 19~7
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