Testimoni dell’ incontro con Dio Né io né voi abbiamo stabilito di trovarci nella abbazia della Madonna della
Castagna il giorno 3 novembre 1969. E' una decisione che abbiamo preso anche
noi, ma, se crediamo che il Signore è il Signore della storia, dobbiamo
ammettere che questo episodio della nostra esistenza è nelle sue mani; è un
momento della sua grazia; è un istante che ci ha preparato lui, corrispondente
alla sua condotta di condurre « i suoi », quelli a cui pensa di affidare un
compito nell'opera della salvezza, in disparte perché stando con lui lo
conoscano e diventino poi i testimoni di colui che hanno incontrato. Cerchiamo di adattarci, piano piano ma con impegno, a questa condotta di Dio così
evidente durante tutta la storia della salvezza e che quindi è vera e reale
anche oggi per ognuno di noi. Iddio, quando vuole conferire un incarico a una
persona, la fa partire, la fa andare lontano per metterla in condizione di
compiere un distacco dal proprio mondo per entrare in un'altra terra dove egli
manifesterà sempre più chiaramente il suo disegno. Pensiamo alla storia del
padre dei credenti, ad Abramo che parte dal suo paese e cammina, non sappiamo
per quanto tempo, ma certamente ha compiuto centinaia di chilometri, per andare
verso la terra della promessa. Pensiamo alla condotta di Dio quando decide di
costituirsi un popolo suo, di avere quindi un popolo incaricato ad essere
strumento della sua salvezza in mezzo a tutte le nazioni: lo fa camminare
misteriosamente nel deserto per anni e anni, nella solitudine più assoluta dove
tutto ciò che accade allarga e intensifica l'esperienza della presenza di Dio
e delle sue azioni meravigliose, di modo che Israele del deserto sarà il
testimonio di Dio per tutte le generazioni. Non è necessario far passare dinanzi a noi tutte le
figure e i personaggi che sono legati alla storia della salvezza per riscontrare
che la condotta di Dio non cambia mai: si va sempre a finire nella solitudine,
nel deserto, perché sia facilitato l'incontro con lui. stato col Padre: lui che era sempre col Padre, è
stato più intensamente intento con tutto se stesso alla presenza del Padre. Si pensa che Gesù abbia compiuto certi gesti perché
fossero esemplari per noi. Più che all'esemplarità dei gesti di Gesù
dobbiamo pensare al loro mistero: Dio manifesta la sua condotta prima di
indicarne una per noi. Gesù ha compiuto questi gesti nella sua vita perché
entravano nel piano di Dio, perché sarebbero stati la sorgente della forza con
cui anche noi avremmo potuto comportarci come lui. Quindi possiamo pensare che era necessaria questa
pausa della vita di Gesù per intrattenersi unicamente col Padre. Pause più
brevi relativamente a questa, Gesù le ha sempre interposte nella sua vita
pubblica, nel suo ministero. Si ritirava in disparte, lontano dalle folle,
qualche volta anche lontano dai discepoli, nel cuore della notte e si
intratteneva in preghiera con il Padre. 2 Gesù ha educato gli apostoli a questa condotta di
Dio: li chiamava da parte, li portava nel deserto. Il deserto non era mai
lontano, bastava uscire dai margini della strada. Nel deserto Gesù si
intrattiene con i suoi e dice in parole più chiare, più semplici, alla loro
portata, quello che ha detto alle folle, dice quello che alle folle non ha detto
e alla fine annunzia che verrà un Altro che li introdurrà nella comprensione
di tutto quello che egli ha detto e che per ora non capiscono: «ma il
Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi
insegnerà ogni cosa, e vi farà ricordare tutto quello che vi ho detto »
3 Noi viviamo in un tempo in cui lo Spirito Santo è
venuto ed è stato dato; è necessaria una attenzione più diligente alla
abituale condotta di Dio che parla ai singoli; egli parla all'esterno attraverso
la chiesa, il magistero, i gesti liturgici, gli avvenimenti della storia, ma
chiarisce la sua parola, la fa intendere all'interno. Parla, semmai,
attraverso la parola, i gesti, la storia, gli avvenimenti, ma la voce è
quella intima, è quella dello Spirito, è quella che parla « di dentro », non
al nostro orecchio ma al nostro cuore e può parlare solo nella profondità e
nella misura della profondità del nostro silenzio e del nostro raccoglimento. entriamo nel
deserto Adoriamo la condotta di Dio e poi cerchiamo di
lasciarci condurre da lui. Mettiamo tutta la nostra persona a disposizione di
Dio, perché ci faccia intendere ciò che egli vuole farci intendere; prima di
tutto il significato della sua condotta e quindi il significato del
raccoglimento, delle pause di silenzio, delle pause di preghiera più impegnata,
più profonda, più intensa che deve segnare il ritmo della nostra vita:
mettiamoci nella disposizione di fare tutto ciò che egli ci chiederà. Questi giorni sono uno di quei momenti di pausa. Non
saranno tanto importanti le cose che ascolteremo quanto è importante l'impegno
di stare con Dio, di camminare alla sua presenza, di intrattenerci con lui, di
metterci ai suoi piedi. in piena disponibilità a dire: « loquere Domine quia
audit servus tuus »; Signore parla, io ti sto ad ascoltare. 4 L'abbazia presenta la opportunità di una esperienza
liturgica comunitaria, ma presenta in particolare la possibilità del
raccoglimento. L'abbazia benedettina, anche nella sua disposizione
architettonica è concepita in modo da indurre al raccoglimento. Preoccupiamoci soprattutto di questo elemento, perché
le liturgie possiamo averle anche noi, la vita comunitaria possiamo realizzarla
anche noi, ma il silenzio per noi è più difficile da attuare. Nella abbazia si
pratica abitualmente; noi dobbiamo per Io meno convincerci che è
indispensabile realizzarlo in determinati momenti della nostra giornata, della
nostra settimana, mensilmente, annualmente secondo un ritmo che deve rendere
possibile una autentica vita spirituale. le scomodità
del deserto Non nascondiamo le difficoltà.
Il raccoglimento
inteso nel senso di costringere tutto noi stessi alla presenza di Dio per
ascoltarlo è una impresa difficile. Noi comunichiamo immediatamente con le
realtà che ci circondano attraverso le nostre facoltà sensibili. Con le realtà
spirituali interiori, religiose, con Dio, con la rivelazione di Dio, che è
Gesù Cristo in persona, non comunichiamo con i nostri sensi, ma con il profondo
di noi stessi. Possiamo arrivare anche a una certa esperienza sensibile della
presenza di Dio, ma per il dono della sua grazia che avrà operato in un modo
talmente forte in noi, da sottomettere tutto noi stessi, quindi anche la nostra
sensibilità e i nostri sensi al suo dominio, al dominio della sua azione e
della sua presenza. Senza pensare a fatti straordinari o mistici, si può
arrivare ad una esperienza della vita di grazia, a una esperienza della
presenza di Dio che ha la sua ridondanza anche nella nostra parte sensibile, ma
non si attuerà mai al di fuori del contatto interiore con Dio. Le difficoltà vengono dall'ambiente:
l'ambiente
del mondo e del mondo di oggi che è più chiassoso e pieno di un frastuono da
cui non ci si può difendere. I così detti mezzi di comunicazione sociale si
prestano incessantemente a distoglierci, a portarci fuori. Le difficoltà vengono dallo stesso ministero: le
conoscete già per una certa esperienza, ma le avvertirete di più quando sarete
nel pieno del vostro lavoro. I richiami continui che ci vengono dai nostri
fratelli, il senso di responsabilità per gli altri, i problemi di qualsiasi
ordine da risolvere, la molteplicità delle opere apostoliche creano
difficoltà veramente serie perché noi possiamo mantenerci in un contatto
abituale con Dio. I' incontro Eppure il silenzio, il raccoglimento, il
contatto
con Dio nella preghiera, l'esperienza della presenza di Dio sono indispensabili
per la nostra vita cristiana e per la nostra azione apostolica. Si possono dare del sacerdote molte
definizioni, ma
al di sopra di tutto resta il fatto che non possiamo esimerci dall'essere uomini
di Dio. Se siamo uomini di Dio dobbiamo conoscerlo questo Dio come si
conoscono le persone che contano nella vita; non è sufficiente una conoscenza
speculativa; si può conoscere di una conoscenza speculativa Dio ed essere
miscredenti; si possono avere tante cognizioni su Dio, si può anche essere
teologi senza credere in Dio; una conoscenza che decida della propria vita e di
quella degli altri, può essere solo quella di un rapporto profondo, prolungato,
incidente. Da come è configurato il sacerdozio oggi nella
chiesa, e dovrà esserlo sempre più perfettamente e sempre più seriamente, è
chiaro che abbiamo bisogno di una esperienza personale della presenza di Dio,
per autenticare nella nostra esistenza quotidiana la consacrazione sacramentale. esperienza
dell' incontro Noi abbiamo bisogno di una esperienza di Dio, della
sua presenza, del suo amore per noi. Abbiamo bisogno della esperienza di tutto
ciò che Dio è per noi personalmente, perché la nostra vita possa diventare
possibile, altrimenti rimane sospesa nel vuoto. Tutti i sostegni che possiamo
andare a cercare intorno anche quando sono buoni, anche quando sono
raccomandati, come l'amicizia tra di noi, non tengono, se non c'è questo
primo e fondamentale sostegno della sicurezza sperimentata dell'amore di Dio,
della sicurezza di cui si hanno le prove non soltanto speculative, ma vitali,
per una comunione di vita che si è stabilita tra noi e Dio nel suo Cristo sotto
l'azione dello Spirito. Altrimenti, ripeto, c'è il vuoto nella
nostra
persona e allora si reclamano tante soluzioni di altro genere. Questa è la
soluzione che Gesù ha proposto ai suoi apostoli: « voi siete miei amici...,
non vi chiamo più servi ma amici perché tutto quello che ho udito dal Padre
mio ve l' ho comunicato ».5 In altre parole: la
esperienza che io ho della conoscenza del Padre (conoscenza in senso biblico),
la comunico a voi che siete gli amici. Gli amici non si conoscono per lettera ma
per contatto, per convivenza, per una messa insieme dei propri pensieri, dei
propri sentimenti, dei propri interessi. C'è un altro motivo. Noi dobbiamo portare ai nostri
fratelli la testimonianza di ciò che annunziamo. Quello che proponiamo agli
altri, quello che indichiamo agli altri, abbiamo diritto di proporlo nella
misura in cui lo viviamo, o per lo meno, ci sforziamo di viverlo con molta umiltà
e con uno sforzo leale e costante. Saremmo dei disonesti se proponessimo agli
altri ciò che non viviamo noi. Il monastero può suggerire pensieri curiosi. Noi in
quanto sacerdoti siamo i perfezionatori della stessa vita religiosa. Le
religiose non sono preti, anche se distribuiscono la comunione e fanno il
catechismo e i religiosi non sono tali perché sono preti. E' avvenuto nella
storia che si sono assunte forme di vita religiosa per compiere una supplenza
alle deficienze del ministero, ma non è il sacerdozio che costituisce i
religiosi. La vita religiosa dovrebbe essere il frutto più maturo del ministero
del sacerdote. Come possiamo essere i perfezionatori della vita cristiana a
tutti i livelli, se non possediamo la perfezione della vita cristiana che è
l'unione con Dio e l'esperienza dell'unione con Dio? Quindi: portare nel mondo ai nostri fratelli una
esperienza che è tipicamente nostra. Il mondo oggi vive di esperienze, crede
alle esperienze e vuole fare esperienze. Anche i valori religiosi vanno
tradotti e proposti come esperienze. L'esperienza più autentica della vita
cristiana è quella dei discepoli di nostro Signore Gesù Cristo, quella degli
Apostoli: è la nostra. Sapete come è vivo nei nostri ambienti ecclesiastici
il desiderio di fare esperienze nei vari campi della attività umana. Non
condanniamo a priori quelli che vogliono fare queste esperienze. Può darsi che
queste siano necessarie in certi ambienti, ma lo sono come vie per capire gli
altri più che come testimonianze. Tutti i nostri fratelli hanno già per proprio conto
le loro esperienze in questi campi. E' delle nostre esperienze che hanno bisogno
per credere, quelle che essi trovano difficoltà a fare nel loro stato di vita. Allora, se prima di tutto dobbiamo dare ai nostri
fratelli una testimonianza di vita religiosa nel senso di rapporto intenso con
Dio, abbiamo bisogno di fare questa esperienza per poterla comunicare. Questo
ci chiedono e non altro: come è l'uomo di Dio, che cos'è un rapporto personale
con Dio, che cos'è la esperienza di Dio, quale valore esistenziale essa ha. Ci possono chiedere di provare come è la loro vita,
ma per essere in grado di capirli, per assumere nei loro confronti
atteggiamenti più comprensivi. Ciò che di specifico chiedono a noi è altro:
l'abbiamo capito; non deludiamoli. /
1) cf Mt 1,13. |