Decima meditazione

 

Il centro focale della comunità

  La nostra persona si realizza nella misura in cui, portando a maturità tutti i nostri doni, sviluppiamo vincoli e rapporti di carità con le divine Persone e con la persona dei nostri fratelli.

Una concezione personalistica della esistenza porta naturalmente a una concezione comunitaria della vita e delle relazioni. Abbiamo visto quali sono i fondamenti della vita comunitaria. Li troviamo in Dio, e nel suo piano che corrisponde al mistero e alla costituzione della sua chiesa.

Abbiamo anche visto che cosa comporta, da un punto di vista ascetico, la realizzazione di una vita comunitaria fra di noi: la liberazione dal nostro « io » e dal nostro « mio », l'educazione alla benevolenza e all'amore verso gli altri, il culto della amicizia, la quale è come un punto di partenza per espandersi su tutti i fratelli.

La vita comunitaria ha bisogno di essere sostenuta e alimentata dai mezzi che Dio ha disposto per costituire il suo popolo ; questi sono incentrati nella celebrazione del culto pubblico, nella liturgia.

Non intendo questa mattina intrattenervi sulla preghiera liturgica in genere; fermiamo la nostra attenzione invece al nucleo centrale della preghiera liturgica, la celebrazione eucaristica

la sorgente e il culmine della vita della chiesa

Non si costruisce nessuna comunità cristiana ed ecclesiale se non intorno alla eucaristia. L'eucaristia è l'anima della vita comunitaria. Un po' parafrasando le espressioni del Concilio, possiamo dire che la vita comunitaria è mirabilmente espressa e adeguatamente operata dal mistero eucaristico.

Guardiamo il mistero eucaristico in due momenti, il momento istituzionale e il momento della celebrazione.

il sacrificio

Il momento della istituzione. Il sacrificio della nuova legge è quello di Gesù Cristo. Gesù Cristo ha celebrato il suo sacrificio nella sua persona: l'ha istituito nel Cenacolo e l'ha consumato sul Calvario. Sul Calvario perchè avesse il suo senso e la sua manifestazione inequivocabile di sacrificio, di immolazione, di donazione di se stesso; nel Cenacolo perchè avesse la sua espressione di convito, di mensa sacrificale, a indicare il frutto della celebrazione del sacrificio che è la comunione ottenuta con una sempre più piena adesione al Padre e una più stretta unione ai suoi figli attraverso il rinnegamento di se stessi.

il banchetto

Per una retta comprensione del sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo bisogna rifarsi al senso del banchetto sacro presso il popolo di Israele: voleva esprimere l'unità dei membri della famiglia e l'unità degli ospiti con tutti i membri della famiglia. Durante questo banchetto non era lecito assentarsi: era come una dichiarazione di inimicizia, così come il parteciparvi era dichiarazione di amicizia. Questa veniva espressa mangiando di un unico pane che il capo di famiglia spezzava e distribuiva tra i convitati e bevendo al calice dopo che era stata invocata la benedizione di Dio.

Gesù porta a compimento la « figura » nella celebrazione del banchetto pasquale, dove vuole esprimere la sua unione con i discepoli e la unione dei discepoli fra di loro. Il senso dell'ultima cena è dato dal discorso riportato da Giovanni e che abbiamo già richiamato. Questo discorso bisogna leggerlo in chiave eucaristica: « io e il Padre siamo una cosa sola »; « io in te, tu in me, noi in loro, essi in noi »; « che siano una cosa sola come io e te, o Padre ». i Quindi le raccomandazioni:«amatevi scambievolmente »; « questo è il precetto nuovo che vi amiate gli unì gli altri »; « questo è il mio precetto, che vi amiate come io vi ho amato »  2 Ecco il momento istituzionale della eucaristia che comporta come esigenza intrinseca la comunione con Dio nel Cristo e la comunione tra i fratelli. Tutto ha il suo compimento nella comunione sacramentale eucaristica.

la celebrazione

Il comando esplicito di Gesù è quello di continuare a fare ciò che egli ha fatto: «fate questo in memoria di me »  a La ritualizzazione dei gesti e degli eventi della storia della salvezza non è solo una rievocazione storica, ma è un rendere presente l'azione di Dio, autore dei gesti e protagonista degli eventi. Dio è fuori del tempo. Coi gesti stabiliti da lui è garantita la sua presenza in mezzo a noi, è assicurata la sua azione e il senso della sua azione. Quindi la celebrazione liturgica della eucaristia esprime ed opera l'unità dei partecipanti alla celebrazione tra di loro e con il Signore Gesù.

La nuova definizione della Messa proposta dalla « Institutio » che precede il nuovo « Ordo missae » segna un capovolgimento del nostro modo di concepire: «missa seu sinaxis est actio Christi et populi Dei convenientis in unum, sacerdote praeside, ad memoriale Domini celebran­dum ». 4 Gli attori di questa azione sono Cristo e il popolo di Dio.

Non si tratta del popolo di Dio dei battezzati o dei credenti in genere, ma dei membri del popolo di Dio nell'atto, nell'atteggiamento, nell'intento di raggiungere l'unità: « convenientis in unum ». Non è soltanto l'unità data dal luogo unico in cui tutti convengono da tutte le parti, ma è un convenire per stare insieme e costituire, con un atteggiamento di fede, di speranza, di carità, la manifestazione anche esterna, quindi sacramentale, del popolo di Dio « ad memoriale Domini celebrandum », per celebrare il memoriale del Signore: il memoriale del Signore è il mistero della sua morte e risurrezione e ascensione al cielo.

Notate che questo popolo ha bisogno di una presidenza, ma non è la presidenza che costituisce il popolo. E' Gesù Cristo ed è il convergere della carità vicendevole che costituisce questo popolo. Ma come la carità vicendevole ha la sua espressione nell'atto di convenire in unum, così Cristo che convoca a stare insieme e unifica le membra nell'unità del suo Corpo sacramentale, è visibile e operante, come Capo delle membra, nel ministero del sacerdote che presiede l'assemblea liturgica. Così l' « actio Christi et populi Dei » ha il suo contenuto interiore e la sua espressione visibile.

tutti hanno la loro parte da compiere

In questa azione ognuno ha la sua parte, ognuno è attore: Gesù coinvolge, noi siamo coinvolti a celebrare il suo « memoriale »; qui è presente il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo, il quale in ogni sua azione associa sempre la sua dilettissima sposa che è la chiesa.

Il popolo di Dio « convenientis in unum » è un popolo sacerdotale, costituito perché offra ostie e sacrifici spirituali, perché offra la propria persona e la sua esistenza. Quindi tutte le fatiche, tutti i sacrifici, tutte le difficoltà, tutte le debo­lezze, tutti i peccati, sono il materiale che questo popolo di Dio qui presente porta sull'altare e unisce con la fede al sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo, perché per il suo sangue tutto sia purificato, perché per il suo sangue venga strappata ogni radice di egoismo, perché per il suo sangue - espressione di amore - anche la nostra offerta sia una offerta di amore filiale al Padre.

Non ignoriamo la parte che compie lo Spirito Santo: è il fuoco che incendia la vittima e la tra­sforma in un indicibile slancio di amore purificato e divinizzato (figli di Dio) nel sangue di Cristo.

Quello che viene offerto sull'altare viene of­ferto a Dio per il bene e la salvezza di tutti: no­stra e degli altri. Se noi sull'altare abbiamo offerto tutta la nostra persona, tutta la nostra attività, tutti i nostri guai di poveri uomini, tutto è accolto da Dio: è accolto dalla sua misericordia perché ha bisogno di essere purificato, è accolto dalla sua grazia perché ha bisogno di essere santificato e corroborato, è accolto dal suo amore perché tutto sia espressione di amore.

Ecco allora che la vita della chiesa, come comunità che si aduna in quel momento, è espressa nel modo più alto e nello stesso tempo più operante, perché il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo s'innesta in ognuno di noi per renderci capaci, attraverso la croce, di superare ogni egoismo e di aprirci all'amore.

Per insegnarci a portare la nostra croce egli si mette davanti a noi perché camminiamo sui suoi passi: « chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce e si metta dietro di me » 5 egli va a compiere la volontà del Padre fino alla consumazione.

Ma non sottovalutiamo che il memoriale del Signore lo celebriamo assisi alla sua mensa: il senso dello stupore, della sorpresa (i discepoli di Emmaus), la gioia dei convitati, la gratitudine per i doni imbanditi, l'impulso a condividere con gli altri i doni ricevuti, ed altri ancora, sono i sentimenti e le disposizioni che devono animare coloro che hanno viva la coscienza di mangiare la cena del Signore, di spezzare insieme un unico Pane e di bere a un unico Calice.

la nostra preghiera personale

Termino con una osservazione: bisogna dire che, per mezzo del Concilio, è stato felicemente riscoperto il valore della vita comunitaria, il valore della preghiera comunitaria e specialmente della preghiera liturgica. Sono valori insostituibili. Sono i più alti valori religiosi. Qui si raggiunge la sorgente e il culmine di tutta la vita e di tutta l'attività della chiesa, di tutta la vita e di tutta la attività cristiana.

Però non dimentichiamo che la comunità è costituita da persone e dalla ricchezza di ogni persona, che entri a far parte di questa unica realtà: una vita di comunione. Non si può entrare a far parte di un gruppo comunitario senza pensare alle responsabilità che ognuno ha di dare il suo apporto. Qui non si fanno addizioni matematiche col numero delle persone, qui si compongono delle somme di esistenze vissute. I valori sono personali prima di essere comunitari, anche se una autentica vita comunitaria esalta i valori personali.

Così è della preghiera comunitaria. La preghiera comunitaria, la celebrazione eucaristica in particolare, quella liturgica in genere, suppongono una preghiera personale.

La preghiera liturgica è una azione che ha i suoi ritmi, i suoi tempi, i suoi momenti ben determinati, che impegna parecchio, oltre che l'attività interiore, l'attività esteriore. Pensate al canto, ai gesti, ai movimenti che bisogna compiere bene, non soltanto nelle chiese benedettine, ma dovunque.

E' liturgia fare bene il segno della croce, fare le genuflessioni senza appoggiare due mani su un ginocchio, ecc. Niente ritualismo; però i gesti devono corrispondere al valore delle azioni che si compiono e di ciò che significano. Tutto questo richiede un'attenzione esterna. Anche l'ascolto della Parola di Dio, così come la proclamazione della Parola di Dio da parte del lettore, del celebrante, richiede un'attenzione esterna notevole. Poi, anche se sono gesti a cui si fa l'abitudine e quindi si compiono con facilità, sono gesti che non si im­provvisano, che per essere autentici devono esprimere ciò che significano, devono avere un contenuto e il contenuto bisogna possederlo.

Ecco alcuni motivi per cui la preghiera liturgica non dispensa assolutamente dalla preghiera personale.

La preghiera liturgica è un grande alimento per la preghiera personale; ma prima della comunità c'è la persona e la sua capacità di comunicare con gli altri e i suoi doni da partecipare agli altri, come pure la sua disponibilità ad accogliere per­ché in lei si è fatto posto.

Quindi la celebrazione liturgica deve avere una preparazione e uno sviluppo nella vita e nella preghiera personale.

Ognuno deve essere se stesso anche nella celebrazione liturgica. Ci sarà lo sforzo per ottenere l'armonia della voce, la sincronia dei gesti, l'unanimità dei sentimenti; ma ognuno con lo stesso gesto esprime la stessa cosa con una diversa intensità: questa intensità è data dal suo grado di unione con Dio e quindi dalla validità della sua preghiera personale.

 

/1)  Gv 17 passim.  /2)  Gv 13,24; 15,12. /3)   Lc 22,19.   /4)   Institutio, I, 7.  /5)   Mt 16,24.