La parola del Vescovo
Miei cari Sacerdoti,
Da noi si verifica un certo ritardo nell’inizio dell’anno pastorale:solo per i Santi ci si ritrova tutti al proprio posto per la immediata preparazione al nostro lavoro. Quasi tutti abbiamo ritemprato le nostre energie spirituali negli Esercizi spirituali (la G. F. ha superato se stessa organizzando un corso di Esercizi chiusi a cui hanno partecipato un centinaio di socie), abbiamo chiarito le nostre idee e ne abbiamo acquistate di nuove attraverso i corsi di aggiornamento a cui parecchi hanno partecipato.
Continuità
Ora verrebbe da dire che dobbiamo rimboccarci le maniche e incominciare da capo. Il che non significa che un anno nuovo di attività pastorale porta con se la prerogativa della novità, ma vuole dire piuttosto che bisogna di nuovo compiere lo stesso lavoro, nello stesso ambiente, con le stesse persone, sostanzialmente, con gli stessi mezzi e ancora, pazientemente, con lo stesso programma
Bisogna ammettere che tutto questo non è attraente; presenta il pericolo di diventare monotono e di stancare. Ragione per cui è indispensabile che ci sia nella nostra preparazione e nelle nostre disposizioni la novità delle idee schiarite, la consapevolezza della nostra strumentalità a disposizione di una Grazia onnipotente e perciò il senso ottimistico che nasce da una fiducia soprannaturale.
Il mondo In cui viviamo è ammalato di “novità” e di “fretta”; noi, dobbiamo essere “seri” e continuare a seminare pur sapendo che per raccogliere dovremo attendere per più di una stagione, sicuri che il nostro prodotto si affermerà perché è buono.
Obbiettivo da raggiungere
Non vorrei che nella mente di qualcuno fosse passato il pensiero che dal momento che sono trascorsi cinque anni dal giorno in cui abbiamo incominciato a lavorare insieme, sia ormai tempo di passare ad un nuovo “piano”. Dovete convenire che non sarebbe serio pensare così. Proprio perché è troppo serio il nostro obbiettivo.
Mons. Monterisi, circa 40 anni fa, insisteva già sull’urgenza di lavorare al fine di trasformare la religiosità delle nostre popolazioni in soda religione cristiana cattolica. In questi cinque anni, dalla Santa Visita alle Missioni, dalle Settimane Liturgiche a quelle per la gioventù e soprattutto con un più intenso e organico lavoro parrocchiale si è cercato di suscitare in mezzo ai fedeli il senso di Dio il senso del peccato e il senso del bisogno della Grazia
Se vogliamo, possiamo constatare che i nostri sforzi hanno approdato a qualche cosa; però il più resta da fare: i lontani restano lontani, da coloro che ci stanno vicino abbiamo richiesto più lavoro che perfezione, alle persone responsabili più favori che competenza e onestà e per lo più non le abbiamo assistite come pecorelle particolarmente bisognose del nostro gregge; per i giovani e gli adolescenti si è fatto poco e per i bambini (che è il settore più curato) tutti siamo d’accordo che molte cose vanno fatte meglio.
Naturalmente tutto questo non viene richiamato per sentirci mortificati e scoraggiati, ma perché siamo convinti che l’obbiettivo della nostra campagna va perseguito ancora per mollo tempo e con molta perseveranza metodica.
Il metodo
Quando il discorso cade sul metodo, noi preti facilmente siamo tentati di prestarvi poca attenzione. La trovata geniale, I’impulso estroso, la manifestazione più o meno imponente ci solleticano di più. In qualche momento viene proprio fatto di dubitare della nostra serietà: ci prefiggiamo di creare una mentalità, un modo di sentire, un costume di vita e poi c’illudiamo di poterlo fare con qualche cosa di sporadico, eclatante, superficiale.
La parrocchia e il Parroco
Organicità per noi è prima di tutto rispettare la natura e le leggi di quell’organismo in cui nasce, si sviluppa e matura la vita cristiana: la Parrocchia come cellula della Chiesa o, se si vuole, la piccola Chiesa che è la Parrocchia.
In essa troviamo un capo, delle membra, dei gangli vitali, ecc. E chiaro e logico che per la organicità e quindi la fecondità della vita parrocchiale, la prima condizione è che funzioni il capo, cioè che il parroco sia il centro in cui diventano coscienti tutte le percezioni periferiche e da cui partono gl’impulsi per tutte le membra.
Gesù diceva: “Cognosco oves meas “; il Parroco comincia a funzionare da capo a misura che acquista una cognizione esatta delle condizioni del suo gregge. Non è tempo perso quello impiegato dal Parroco a conoscere personalmente i propri figliuoli e le loro condizioni religiose, morali, sanitarie, economiche, politiche ecc.; anzi, se il Parroco non ha il coraggio di affrontare subito questo compito, moltissimo del suo tempo sarà sprecato senza frutto.
Il capo deve poi vagliare i bisogni che riscontra ed essere organico nello stabilire una gerarchia fra questi bisogni, per accertare quali sono i più fondamentali (non i più impressionanti) e quindi i primi da prendersi in considerazione.
Così sarà in grado di intraprendere iniziative e trasmettere direttive adeguate ai bisogni.
Una parte delle attività del Parroco, che lo fa assomigliare al burocrate e al funzionario, ha di molto diminuito nella considerazione del popolo il valore giuridico e morale della figura del Parroco, e un pericoloso amore di quieto vivere lo potrebbe in a pratica ridurre al livello di quelli che seppelliscono i morti quando invece dovrebbe sempre mantenersi all’altezza di chi conduce dei vivi.
La tradizione cristiana ha sempre considerato chi presiede le comunità dei fedeli come uno che ci vede bene, che ha un patrimonio di saggezza, che governa una famiglia, e lo ha chiamato episcopo, presbitero, padre, ecc. e i fedeli si sono rivolti a lui come ad una guida, a un esperto, a un padre.
Come si vede, il primo punto di un metodo pastorale è che il Parroco sia il capo della sua comunità di fedeli.
I Cooperatori – i Sacerdoti
Il secondo punto è che si renda conto che da solo non può arrivare a
tutto e perciò ha bisogno di collaboratori, i quali svolgeranno un lavoro proficuo solo a condizione che esso sia organizzato.
I Cooperatori nati del Parroco sono i Sacerdoti e al primo posto i Vicari Cooperatori. In queste note non è tanto sulla loro figura giuridica che vogliamo fermarci, la quale del resto è ben determinata dal diritto; ma piuttosto richiamare l’aspetto morale della loro funzione.
Messo chiaramente e insistentemente l’accento sul fatto che ogni loro attività deve sottostare al giudizio e alla approvazione del Parroco, non è errato affermare che la loro competenza, escluso l’ambito amministrativo-economico, è ampia come quella del Parroco.
Quindi i Vicari Cooperatori sono al loro posto quando si mantengono in un atteggiamento di piena disponibilità rispetto al Parroco; ciò che equivale ad esercitare con naturalezza l’umiltà l’ubbidienza, la generosità. Il Parroco a sua volta deve sentire il Vice-Parroco come un fratello, delle cui doti gode e ringrazia il Signore di poterle tutte impiegare per il bene dei suoi fedeli; e perciò deve guardarsi dal farla da padrone e da ogni sentimento di gelosia, e nutrire invece ogni sentimento che deve stare nel cuore di un buon fratello maggiore.
La conseguenza pratica è che il Parroco resta il capo della comunità Parrocchiale, ma dispone anche delle idee, delle iniziative e delle energie dei suoi Cooperatori, che mette a parte sempre di tutti i problemi della vita parrocchiale.
Gli altri Sacerdoti, se non sono tenuti ad una cooperazione per ragioni giuridiche, lo sono in forza del loro sacerdozio e per un motivo di carità.
Se Gesù è così geloso dei talenti non trafficati, sarà esigentissimo per il talento del sacerdozio. Inoltre nella vigna del Signore non c’è posto per il dilettantismo: bisogna lavorare con Lui (qui non colligit mecum, disperdit) e Lui lavora con la sua Chiesa e senza dubbio col Parroco che è Chiesa autentica.
Per quella porzione di fedeli tra i quali un Sacerdote svolge la sua missione, la Chiesa si riassume in lui, la Chiesa e lui. Egli non può esonerarsi da questo o quel dovere pastorale dicendo: questo spetta al Parroco, questo è affare del Vescovo o del Papa: il Papa, il Vescovo, il Parroco non arrivano a quei fedeli se non per mezzo di lui.
Celebrare, confessare, predicare senza tener conto delle direttive
del Parroco, non è “.colligere” ma “disperdere”
I Religiosi
Così viene opportuno un richiamo per l’attività dei Religiosi, la quale se deve raggiungere delle finalità specifiche consone ai fini del loro Istituto, le raggiungerà tanto più sicuramente quanto più sarà consona alle finalità che formano le preoccupazioni attuali della Chiesa, operante nel determinato settore di una Parrocchia.
La Religiose
Dato il genere di attività che svolgono le Religiose nella nostra Diocesi, è chiaro non vi possa essere altro indirizzo per la loro attività che quello che trovano nella Parrocchia in cui lavorano. Quindi, in concreto, devono fare proprie le preoccupazioni che il Parroco ha per il catechismo, là Messa del Fanciullo, la preparazione dei piccoli ai SS. Sacramenti, I’oratorio femminile e I’Azione Cattolica femminile. Tutte le persone che esse avvicinano, devono essere come investite dalla eco di queste preoccupazioni.
E’ chiaro anche che il Parroco che vuole trovare da parte delle Religiose della sua Parrocchia la migliore collaborazione dopo quella dei Sacerdoti, deve convenientemente interessare le Suore alla vita della Parrocchia, e dare generosamente ad esse quanto è richiesto per una più efficiente vita religiosa.
I Laici
La collaborazione dei laici pone al Parroco due impegni: prepararli e impiegarli convenientemente.
La preparazione implica una scelta e una cura. Mi pare che il Parroco nello scegliere i collaboratori del proprio ministero dovrebbe avere la stessa avvertenza che ha il Vescovo nella scelta dei candidati al Sacerdozio: ammettere i più intelligenti e i più virtuosi. Quindi accogliere facilmente bambini e bambine, adolescenti nelle nostre associazioni; averne molta cura; ma quando sono nel I’età da poter dare una collaborazione, ammettere solo chi sente la collaborazione col Sacerdote come un privilegio ed è in grado di darla, perché è intelligente, onesto e capace.
Mi pare che ci siamo circondati un po’ troppo di gente che vuole mettersi in vista ed è incapace di intenderci e di aiutarci.
Dobbiamo avere maggiore stima de I le persone, per impedire
che stiano a fare numero.
Perché poi ci sia davvero collaborazione, è necessario che i collaboratori sappiano con chiarezza ciò che vuole il Parroco; quindi che siano messi a giorno delle sue intenzioni; che abbiano un compito ben determinato e che si sentano continuamente assistiti da un effettivo interessamento del Parroco alla loro attività.
Conclusione
Nel concludere queste note di vita pastorale sento il bisogno di insistere perché nella nostra attività teniamo ben presente la meta a cui vogliamo arrivare: destare nei fedeli il senso di Dio, il senso del peccato e il bisogno della Grazia. Qualunque punto della dottrina noi insegniamo, lo dobbiamo sempre riportare a questi postulati; qualunque punto della morale, lo dobbiamo giustificare e proporre per le ragioni e con i mezzi contenuti nei medesimi; tutta l’attività sacramentaria deve essere illuminata dalla presenza di Dio sommo bene e del peccato sommo mate.
Gesù che ci rivela un Padre d’immensa maestà, che ci scopre che qualunque male ha origine dal peccato e che ci vuole riportare al Padre liberandoci dal peccato, comunicandoci una Vita più piena, deve trovare una voce autentica, che parla a tutti nelle nostre Chiese, come Lui continua a parlare nella Chiesa.
L’anno nuovo che si presenta alla nostra attività, caratterizzato dal tema comune ” per un costume cristiano nella vita civile “, ci mette dinanzi all’impegno delle elezioni politiche.
Ci intenderemo meglio in opportuni incontri, ma intanto vorrei che questi apparentemente contrastanti motivi non ci allontanassero dalla nostra meta. Non ci può essere nulla di ragionevole nella vita sociale se non se ne vedono le origini e le ragioni in Dio; neppure le leggi degli uomini si giustificano se non per il peccato, e solo quel tanto di sacrificio con cui ci uniamo al sacrificio di Cristo ci assicura quella Grazia che è rimedio anche per i mali sociali.
Vorrei infine che fossero vive in noi le preoccupazioni della Madonna per la salvezza del genere umano. Si chiude il XL° delle manifestazioni di Fatima e si apre il centenario di quelle di Lourdes. La Madonna ci dice di piangere i nostri peccati, di pregare, di confessarci e comunicarci per trovare la nostra salvezza in Dio. Ripetiamo le nostre cose nel nome di Maria: c’è Dio, lo dice la Madonna; i nostri mali sono il peccato, lo dice la Madonna; la nostra salvezza sta nella Grazia di Gesù, lo dice la Madonna a Lourdes e a Fatima.
Lavoriamo con fiducia!
Benedico tutti.
Carlo Ferrari Vescovo
Stampa: Novembre 57 – Rivista diocesana di Monopoli
ST 140 Dicembre 1957