La parola del Vescovo
Carissimi,
durante il nostro incontro nel Novembre scorso, vi dissi che avevo in animo di indire la seconda Visita Pastorale: vi dissi anche che intendevo darle un carattere più formale di quella che ha avuto la precedente, la quale è consistita in una serie di incontri al fine di incrementare la vita parrocchiale nelle sue essenziali espressioni: catechistiche, liturgiche e caritative o comunitarie.
Parecchie considerazioni però mi hanno indotto a dedicare l’anno corrente piuttosto a preparare la Visita che ad effettuarla. Devo tener presente che molte cose che verrei trovare, non ci sono ancora e perciò vi devo dare il tempo di prepararle.
Quando avvertivo che la prossima Visita doveva avere un carattere piú formale, intendevo dire che non mi sarei accontentato di contatti esplorativi e stimolanti, ma, mentre io stesso mi sarei sottoposto a ciò che il diritto e la prassi prescrivono per questo atto solenne del ministero episcopale, avrei poi richiesto a voi un rendiconto più esatto della parte burocratica della organizzazione della vita parrocchiale.
Oggi la burocrazia è considerata piuttosto un inciampo che un sostegno della vita organizzata, e certamente questo è vero quando la burocrazia è fine a se stessa e non e più uno strumento in mano a persone ma ad automi. E’ vero invece che ogni attività organizzata, se non è sostenuta da una ossatura burocratica intelligente e snella, finisce per afflosciarsi oppure più nessuno vi si raccapezza: si sperperano tempo ed energie e i frutti di molte fatiche sono assai scarsi.
Io che di solito metto l’accento solo su ciò che non si è ancora fatto, sento il dovere di dare atto alla totalità dei miei Sacerdoti che si lavora molto, devo ammettere che in tutti c’è molta generosità e spirito di sacrificio: nei giovani ad accettare situazioni disagiate per dovere risiedere fuori di famiglia e nei Parroci per dovere compiere veri sforzi economici per sostenere maggiori oneri per i Vice-parroci.
E’ appunto la considerazione della molta generosità che vi anima e dei tanti sacrifici che voi compite, che mi fa sentire il bisogno di richiamarvi all’aspetto burocratico della vostra attività.
Da quando sono con voi, tutti gli anni vi faccio “il discorso sul metodo”. Ha ragione il Card. Siri nel ritenere che per gli ecclesiastici questo è il discorso più duro. E si capisce perché: il metodo dipende da una disciplina, la disciplina é controllo e dominio di se cioè abnegazione continua e questo alla nostra natura non piace. La burocrazia è il ceppo a cui si salda la catena della disciplina. Assicura la nostra esattezza, la continuità, I’ordine, la gerarchia delle attività ecc.
L’estro, la genialità, I’entusiasmo, la stessa generosità, se non sono sostenuti nel tempo da una disciplina ancorata alla costringente burocrazia, accendono facili fuochi di paglia ma non producono nulla di duraturo.
Cari confratelli, convincetevi che sedersi ogni giorno per alcuni minuti a registrare l’andamento della vostra amministrazione è una salutare penitenza e indice di una coscienza sensibile; completare subito un atto anagrafico e non rimandarlo a un tempo che poi non si trova piú é segno di disciplina e di ordine, e non mettersi in condizione di non poter più perfezionare degli atti che in determinate circostanze hanno valore grave. Non è affatto esagerato affermare che oggi chi ha la responsabilità della cura d’anime lavora a vanvera se la sua azione non parte dai dati che gli fornisce lo “status animarum”. Lavorare a vanvera significa non compiere abitualmente il proprio dovere e ciò e grave.
A questo proposito ho l’impressione che le cose non vadano bene: non conosco uno “stato d’anime” completo e aggiornato.
Non dite che non c’e tempo. E’ questione di dare la precedenza alle cose che vanno poste prima. E’ più urgente munirsi di uno “stato d’anime” funzionale prima di impegnarsi in qualsiasi attività, (fosse anche fare il catechismo o amministrare i sacramenti) perché qualsiasi attività corre il rischio di non essere quella essenziale e più urgente, quando non si parte da una realtà controllata e in base alle esigenze di una priorità concreta.
Ripeto che vedo il lavoro che si compie e le energie che si impegnano; ma mi devo chiedere se ai dirigenti delle organizzazioni parrocchiali consta con esattezza, ad es., quanti e quali sono i bambini che non frequentano il catechismo; di quelli che maturano età per la Prima Comunione e la Cresima quanti sono quelli che adempiono ai loro obblighi. La mancanza di uno “stato d’anime” funzionale impedisce di vedere concretamente le situazioni e conseguentemente di indirizzare il lavoro di apostolato verso esigenze reali.
Inoltre da parecchio tempo vado facendo una considerazione che mi amareggia assai: devo constatare che in generale non si attribuisce al tempo l’estremo valore che ha. Tra la decisione e la esecuzione intercorre di solito uno spazio di tempo certamente sproporzionato. Per gli Inglesi il tempo è moneta; per noi, passano delle notevoli differenze tra “presto”, “subito”, “adesso”.
Per esempio: siamo a metà Febbraio, ci sono Sacerdoti incaricati delle 20 lezioni di religione che non le hanno ancora iniziate. Se io li richiamo, mi rispondono che c’è tempo; ma il risultato sarà come quello degli altri anni e che tutti conoscete.
A persuadervi della opportunità di quanto vi dico, vi suggerirei un breve esercizio che ritengo convincente: almeno per una settimana, al termine della giornata, mettete per iscritto come avete trascorso il vostro tempo; poi mettete da parte quello impiegato seriamente per curare la vostra anima e le anime di cui dovrete rispondere davanti a Dio; vi accorgerete di averne impiegato troppo meno seriamente.
Bisogna convenire che non fare adesso equivale a mettersi in pericolo di non fare affatto, e accettare coscientemente il pericolo di non fare una cosa doverosa, non sempre si può ritenere colpa leggera.
La conclusione di questo discorso vuol essere un appello alla coscienza dei miei Sacerdoti su due punti:
1° – alla nostra attività sono legati gli interessi di Dio; se la nostra attività non è disciplinata da un metodo, ancorato a una ben intesa burocrazia, al minimo ci impedirà di impegnare con frutto le nostre energie;
2) il tempo è, all’infuori dell’esistenza, il dono naturale piú prezioso; se ciò che si giudica da farsi adesso, lo si rimanda, o non lo si fa più o lo si fa con troppo ritardo. In entrambi i casi, si sciupano dei doni di Dio.
Il prossimo anno, con la grazia di Dio, verrò a constatare le conseguenze di questo discorso; sarà poca cosa: pensate a quando verrà il Pastore dei Pastori per un altro rendiconto.
Il Signore ci usi la misericordia di farci intendere che le energie e il tempo vanno impegnati con ogni diligenza.
Vi benedico.
Carlo Ferrari, Vescovo
Stampa: ST 144 febbraio 1959bis – Bollettino Diocesano di Monopoli, Febbraio 1959 pag.6-8