Rivista catechistica
Ciò che oggi importa sapere non è tanto quali siano tutte le possibili deduzioni e precisazioni dottrinali del dato rivelato, ma in che modo il messaggio cristiano, di cui la Chiesa è depositaria e interprete, debba essere presentato agli uomini del nostro tempo. Ecco il problema pastorale.
La speculazione teologica degli ultimi secoli si è a lungo esercitata sul contenuto dottrinale della rivelazione e molto anche sugli sviluppi di ordine razionale e filosofico che l’intelletto umano poteva logicamente dedurne; ma essa non ha abbastanza considerato che la Rivelazione è anzitutto un fatto, non un sistema di pensiero, un fatto che appartiene alla storia e tuttavia la trascende, un intervento di Dio nella storia per riscattarla e salvarla. Separando la speculazione dalla storia, una certa teologia ha aperto il varco a tutta una serie di deformazioni e travisamenti; ed è avvenuto ad esempio che gli schemi della speculazione umana si sono sovrapposti al disegno di Dio, quale ci appare attraverso la Rivelazione, fino a costringere la logica trascendente di quel disegno nelle strettoie delle nostre categorie razionali; è avvenuto che si lasciasse in ombra o non si facesse in pratica alcun conto dell’efficacia quasi sacramentale della Parola di Dio e della sua ordinazione alla salvezza dell’uomo, mentre all’opposto si insisteva a forzare a l’ex opere operato » dei sacramenti; è avvenuto, per ciò che riguarda la Chiesa, che si è troppo e quasi esclusivamente insistito sul suo aspetto umano-giuridico, favorendo in tal modo la persuasione, ancora così comune, che essa si identificasse con le sue istituzioni e i suoi Pastori.
L’orientamento pastorale tende ora ad equilibrare le cose, considerando e coltivando la dottrina sacra « nel quadro completo dell’economia cristiana, come dottrina cioè a noi data per praticare una vera religione, per essere annunciata alle anime e per dimostrare nella realtà storica la sua virtù salvatrice ».
A questo nuovo orientamento dobbiamo in larga misura l’affermarsi nella Chiesa di una coscienza comunitaria e di uno spirito ecumenico e missionario.
Coscienza comunitaria
Sappiamo meglio, oggi, che le istituzioni non valgono per se stesse ma in quanto sono a servizio della carità. (Nella Gerusalemme celeste, che la Chiesa prefigura e prepara, le istituzioni cesseranno, resterà solo la carità).
L’apertura della carità ci ha portato a riscoprire che la Chiesa non è tanto i pastori quanto il gregge, non tanto i vignaioli quanto la vigna; e che il sacerdozio ministeriale è in funzione del sacerdozio «battesimale», che i Vescovi e i Sacerdoti sono a servizio dei fedeli. Ciascun battezzato non solo è nella Chiesa ma è » Chiesa, forma la Chiesa: il battesimo lo ha introdotto in un popolo di salvati, il nuovo popolo di Dio, il nuovo Israele.
La salvezza non è offerta direttamente a degli individui, ma a questo popolo che è l’erede delle divine promesse. E’ questo popolo l’ambiente e il mezzo della salvezza per coloro che credono in Cristo, il « segno » elevato sulle nazioni che ancora non lo conoscono.
E il popolo si riunisce e si edifica per mezzo della Parola, della celebrazione eucaristica e della carità.
Si comprende meglio, nella prospettiva del disegno della salvezza, la portata del comandamento nuovo di Gesù; si comprende perché Gesù lo ponga sullo stesso piano dell’amore di Dio, perché ne faccia la sintesi della legge e il segno di riconoscimento dei suoi discepoli; perché affermi che su di esso si compirà il giudizio-finale; perché lo ponga come a suggello della sua missione su questa terra, pregando nell’ultima Cena: ut unum sint.
Si pensi alle indicazioni che da tutto questo scaturiscono per noi sacerdoti, sul piano del ministero pastorale.
La nozione della Chiesa come popolo che si edifica nella carità, fatte poche eccezioni, è pressoché inesistente nella coscienza dei nostri fedeli. Si è continuato a ripetere: « extra Ecclesia, nulla salus », ma l’appartenenza alla Chiesa è stata vista quasi esclusivamente come unione alla Gerarchia e come pratica religiosa; con le pur legittime, ingegnose distinzioni tra corpo e anima della Chiesa si è arrivati ad annettere tutta una massa imprecisata che certo non è un popolo e tanto meno il popolo di Dio.
Ai nostri fedeli dovremo allora insegnare congiuntamente queste due cose: che Dio salva gli uomini solo attraverso la Chiesa suo popolo, e che per essere nel piano di Dio e per lavorare alla salvezza del mondo bisogna essere, sentire e manifestare la Chiesa.
Essere, sentire, manifestare la Chiesa
Essere Chiesa: ch’è quanto dire essere popolo, fare popolo. La Chiesa, porta con sé l’esigenza d’essere più d’uno insieme. « Quando due o tre saranno riuniti nel mio nome, lì sarò io ». Ecco una definizione che coglie l’anima della Chiesa. Esiste, se così si vuol dire, un elemento materiale della Chiesa: i singoli battezzati; e un elemento formale, la loro unione. Per avere la casa non basta avere delle buone pietre squadrate, bisogna che le pietre siano cementate tra loro; per avere un corpo, bisogna che le singole cellule siano animate da una stessa linfa e da uno stesso soffio vitale; per avere la Chiesa bisogna che i fedeli siano riuniti tra loro dal cemento della carità, dal soffio dell’amore di Dio operante nel suo Corpo. Non può esserci Chiesa al di fuori di questa unione.
Sentirsi Chiesa, e specialmente in ordine al problema della salvezza e della santità personale.
Si è creduto di poter stabilire il concetto di santità sulla base di un rapporto individuale con Dio fatto di preghiere, di osservanze morali, di pratiche religiose: « Io pago le decime, faccio elemosina, digiuno due volte la settimana… io non sono come tutti gli altri»; ma questo è soltanto fariseismo.
Si è creduto possibile far coincidere la santità con « lo stato di grazia », obiettivamente considerato. Ma non si può capire la grazia, e tanto meno viverla, se non la si vede storicamente, nella sua genesi dalla carità divina, che ne è pure la sostanza. « Dio è carità » e dove non c’è carità, non c’è Dio.
Così, noi dobbiamo essere più preoccupati di mettere la nostra gente in uno «stato di carità » che in uno « stato di grazia »; far sentire che la cosa più importante non è di presentarsi a Dio con l’anima pulita, ma insieme con gli altri, spiritualmente uniti con i più piccoli, i più poveri, i più bisognosi. Solo così Dio ci ama riconoscendoci come suoi figli nel Figlio, venuto per annunciare la buona novella ai poveri e sacrificato sulla croce per i peccatori.
Il nostro male profondo è la divisione, è di non essere unanimi. Il male del mondo sono le passioni e gli interessi che oppongono tra loro le nazioni, le classi, le famiglie, i gruppi.
Per noi sacerdoti: è illusoria la nostra unione con il Vescovo se non siamo uniti tra di noi.
Manifestare la Chiesa: è l’esigenza missionaria di una coscienza ecclesiale matura.
Ci dicono gli Atti degli Apostoli che « i credenti erano unanimi », non solo, ma che i primi raggruppamenti cristiani formavano delle vere comunità, dove si mettevano in comune le sostanze, si soccorrevano i poveri, si curavano gli ammalati, si praticava l’ospitalità. Che cosa rimane di tutto questo nelle nostre parrocchie? Non che si debba ricalcare materialmente la stessa pratica di allora, ma è la stessa esigenza di carità che oggi richiede nuove e non meno impegnative manifestazioni.
Un lavoro immenso ci attende in questo campo: la testimonianza di quelli che sono più vicini al parroco o più impegnati nelle organizzazioni cattoliche – lo sappiamo bene – a volte è inesistente, altre volte lascia molto a desiderare. Eppure è soltanto di qui che la parrocchia può formarsi come comunità fraterna, come famiglia dei figli di Dio. E la vita della parrocchia, come quella della Chiesa, o sarà, almeno in qualche misura, almeno nel sincero proposito, comunitaria, oppure sarà infedele a Cristo, quale che sia la sua floridezza sotto altri aspetti.
Primo impegno pastorale: educare alla carità fraterna. Non possiamo essere soddisfatti del nostro lavoro, non possiamo sperarne dei buoni frutti, se non l’orientiamo tutto a far rifiorire la carità.
Nel censimento ideale di una parrocchia, il primo posto non è tenuto da quelli che frequentano la Messa, i sacramenti, ecc., ma da quelli che sono più capaci di volersi bene nel Signore. C’è Chiesa nella misura in cui si è uniti.
Mons. CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via Verità e Vita 1964. EP.
ST 213 Carità 1964