Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha chiuso il suo terzo periodo e tutto fa prevedere che in una prossima sessione porterà a termine i suoi lavori: la celebrazione del Concilio sarà finita. E poi?
E’ un fatto innegabile che la sua celebrazione ha veramente interessato l’opinione pubblica di tutti i Paesi; tutti gli strumenti di informazione se ne sono come impossessati per trasmetterne gli echi le impressioni le valutazioni il contenuto ai loro destinatari; nessuno che possieda una radio un televisore, che legga un quotidiano o un rotocalco ha potuto ignorare questo avvenimento della storia della Chiesa. E’ notevole che nel frattempo siano accaduti dei fatti che per vari motivi hanno commosso profondamente il mondo: la morte di Papa Giovanni, la tragica fine di Kennedy, il defenestramento di Krusciov; eppure il Concilio continua a mantenere il suo interesse.
Certo, noi sacerdoti non possiamo valutare l’importanza di questo avvenimento dal solo interesse che suscita nel pubblico; ma non possiamo neppure ignorare le attese del mondo cattolico e non cattolico che il Concilio ha destato, e che diverrebbero delusioni gravide di disastrose conseguenze se non ci preoccupassimo di essere in grado di dare ad esse la risposta buona.
E quali sono queste attese?
Tutti hanno sentito le parole « aggiornamento », « riforma », « adattamento »; a queste parole sono stati attribuiti i sensi più impensati, ma rimane tuttavia vero che la delusione ci sarà, non tanto perché non è accaduto nulla di ciò che, magari fantasticamente, si attendeva, ma semplicemente perché non è accaduto nulla.
Abbiamo capito il Vaticano II°?
Va da sé che la gente ha il diritto di presumere che il sacerdote le cose le sappia, che sappia il valore di quelle parole e perciò sia in grado di dire che cosa è in concreto questo benedetto Concilio, quale il suo impegno e il genere e la capacità delle sue incidenze.
E’ con estrema franchezza che dobbiamo porre a noi stessi l’interrogativo più determinante a questo riguardo: noi sacerdoti abbiamo capito il Vaticano II°?
Realisticamente dobbiamo ammettere che tutti abbiamo la nostra forma mentis, che fino a un certo punto siamo condizionati dall’ambiente, che siamo figli del nostro tempo a modo nostro. Se avessimo l’umiltà di riconoscere queste cose così ovvie avremmo compiuto il primo grande passo verso la comprensione del significato del Concilio.
Una percentuale altissima di noi sacerdoti italiani (e non solo di noi) ha una mentalità schematica che deriva dal criterio con cui abbiamo compiuto i nostri studi: teologia astratta, poca storia, poca S. Scrittura; l’ambiente nostro, nonostante gli scossoni della guerra e della presenza del comunismo, si regge ancora notevolmente sulla tradizione; e per queste due ragioni, lo schematicismo astratto e il tradizionalismo, non abbiamo marciato al passo di quella rapida evoluzione che s’è operata nel mondo.
Ne derivano quasi fatalmente degli atteggiamenti che non ci dispongono al senso del Concilio.
Chi la verità rivelata l’ha raggiunta con una visuale speculativa, che non ha il senso della storia in genere e della storia sacra in particolare, per lo meno guarda con sospetto tutto ciò che si riferisce ad aggiornamento, a riforma, ad adattamento: la Verità è immutabile, le definizioni la stabilizzano in formule concettuali precise, le norme giuridiche la mettono al sicuro: perché correre dei rischi?
Proprio la nostra mentalità, quando si tratta di un Concilio, ci ha abituati a considerarlo come un atto solenne del Magistero, che definisce dottrine, stabilisce delle norme, consolida un ordine. I sacerdoti prima di tutti ne devono di conseguenza accettare le definizioni, le norme e conformarsi ai nuovi ordinamenti. In sostanza, la disposizione più positiva nei riguardi di un Concilio è la docilità che accoglie e lo zelo che fa trasmettere ciò che uno ha accolto ai propri fedeli.
Ma al Vaticano II° è accaduto qualcosa d’altro.
Papa Giovanni con il Concilio ha « liberato » lo Spirito Santo e caratteristica dello Spirito di Dio è la libertà (ubi vult spirat) e la libertà dei movimenti dello Spirito è fatta apposta per creare disagi e, a prima vista, anche disorientamenti.
Qui sta il nodo del significato del Concilio nostro.
Un atto vitale della Chiesa
Esso non è una celebrazione, neppure un atto solenne del Magistero nel senso corrente. Se, per assurdo, dal Concilio non uscisse nessuna Costituzione, nessun Decreto e finisse per non dire e non stabilire nulla, esso conserverebbe pienamente il suo significato e il suo valore.
Questo Concilio non è nato per motivi contingenti esterni, bensì per una profonda urgenza interiore, maturata storicamente ed esplosa attraverso la docilità e la disponibilità di un Pontefice santo. Egli più volte l’ha definito una « novella Pentecoste », come il suo Successore ha parlato di un « transitus Domini ».
IL Concilio Ecumenico Vaticano II è una manifestazione, quasi come il sacramento, di una presenza e di una azione straordinaria dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. Esso quindi è essenzialmente un atto vitale della Chiesa, che ha la sua origine e il suo impulso nella parte più intima del cuore della Chiesa, cioè in Dio, che le infonde una effusione di vitalità, che ridona vigore a tutto l’organismo, che lo riporta a riacquistare la sua fisionomia autentica: quella della nascita.
Paolo VI, andando pellegrino nei Luoghi Santi, non ha compiuto un atto di pietà cristiana, ma un gesto profetico: condurre la Chiesa alla ricerca del suo volto autentico. E nella prima udienza generale dopo il suo ritorno dalla Palestina (15 gennaio ’64) ha parlato di « coincidenza mistica » e di « coincidenza morale », come a dire che siamo ancora lo stesso edificio fondato da Cristo, ma la prospettiva quanto è mutata! Occorre che alla coincidenza mistica corrisponda quella morale. Bisogna ridare a quell’edificio che è la Chiesa di Cristo la sua prospettiva originaria.
Momenti che definiscono il Concilio
Si tratta come di tre momenti che definiscono il Concilio: la presenza e l’azione dello Spirito Santo; una nuova vitalità organica della Chiesa; un cambiamento di prospettiva; o se vogliamo: il Protagonista del Concilio; il Soggetto; le conseguenze.
E qui sta la difficoltà di comprendere e d’adeguarsi a questo Concilio.
Le Costituzioni, i Decreti e gli altri Documenti conciliari, non presentano difficoltà particolari presi in se stessi; si tradirebbero però le finalità del Concilio se non se ne cogliesse il senso globale che è eminentemente interiore e soprannaturale.
Si potrebbe, ad esempio, pensare a una chiesa costruita con la fedeltà più minuta ai dettami della Costituzione Liturgica e relativa Istruzione, a delle suppellettili semplici e significative, a una celebrazione impeccabile nei gesti, nel canto, ecc.; ma equivarrebbe a una lettera vuota se quell’edificio e quella celebrazione non aiutassero a capire e ad esprimere, per i sacerdoti e per i laici, la teologia della « Parola », della « Assemblea » e del « Mistero Pasquale ». e soprattutto se non aiutassero a essere a sentire a esprimere la Chiesa.
Affrontiamo apertamente le difficoltà e tentiamo di indicare qualche soluzione.
Cambiamento di prospettiva
Il famoso aggiornamento equivale a un cambiamento di prospettiva. Chi vedesse un monumento ricostruito faticherebbe molto a riconoscerlo se non se ne fosse rispettata la prospettiva: sarà ancora collocato allo stesso posto, rifatto con lo stesso materiale, ma decisamente non è più quello. Trasferita quella immagine al caso nostro esprime delle cose decisive. Per esempio è facile la tentazione di rimanere sulle proprie posizioni e fermarsi soltanto alla lettera (i mutamenti rituali, disciplinari, ecc.) convinti che le cose stanno come prima: i sacramenti rimangono sette (« nec plura nec pauciora »), la Messa è sempre quella, la Chiesa è ancora come l’ha istituita Gesù Cristo… Ecco il punto! Sì, c’è ancora tutto, grazie a Dio; ma è concepito, visto, sentito, espresso secondo un’altra prospettiva, quella più vicina al progetto originale, più aderente al Piano di Dio. Il Cristianesimo, ad esempio, non vuole più corrispondere a un « complesso » di verità, di precetti, di riti logicamente sistematizzati, ma vuole essere, come è, una storia: la storia della Salvezza che continua nel tempo e nello spazio; la Chiesa vuole essere vista non solo come Società, ma nella sua realtà di Mistero e di Sacramento primordiale, che per attuare la Salvezza è più necessario che ognuno dei sette Sacramenti; ecc.
Ecco: a un tale cambiamento di prospettiva deve corrispondere un cambiamento nel modo di vedere, cioè, di mentalità.
E’ tutto dire! Nella vita è possibile cambiare un’abitudine morale, forse anche uscire da uno stato d’animo, ma è molto più difficile cambiare mentalità. Eppure, questo e non altro è il primo passo a cui ci impegna il Concilio; è serio, e da qualcuno potrebbe essere ritenuto impossibile; ma è decisivo.
O si ha il coraggio e la fiducia di farlo, o le cose restano come erano. Si tratta di un’autentica « conversione » (metanoia) a cui forse non eravamo preparati, dal momento che siamo nati cristiani.
Nuova vitalità organica della Chiesa
La seconda cosa è che il Concilio ha messo in circolazione nell’organismo della Chiesa uno straordinario impulso vitale. Non si tratta di un chiarimento o di un arricchimento di verità, neppure di linee direttive esterne; è qualcosa di interiore che anima e spinge all’azione, è la vita divina comunicata alla Chiesa che urge per essere comunicata agli uomini.
E’ connaturale alla nostra mentalità la distinzione tra la teoria e la pratica, i principi e le applicazioni, ecc. Intanto, anche nel campo naturale, se queste distinzioni si possono tenere come due momenti dell’attività umana, non devono significare una disgiunzione; quando poi si entra nell’ambito delle cose vitali mai si possono concepire distinzioni o separazioni: si tratta di continuità, di organicità e di espansione.
Paolo VI all’Episcopato Italiano (14 aprile ’64) ha detto: « Qualunque sia l’esito del Concilio, esso deve essere considerato da noi nella sua realtà: intenzionale, spirituale, soprannaturale, come un’ora di Dio, un “transitus Domini” nella vita della Chiesa e nella storia del mondo ».
Il Concilio ha dunque valore per se stesso.
Tenere conto dei principi dottrinali che promulgherà o delle direttive disciplinari è ancora fermarsi alla lettera.
Bisogna « tuffarsi » in questa corrente di vita, raggiungere il soprannaturale. Il Vaticano II sbarra la possibilità a ogni naturalismo, come a ogni attivismo, apre invece nel senso di un autentico vitalismo soprannaturale, immette nell’economia divina.
Perciò deve essere posta ogni attenzione a non prendere le cose dall’esterno, è indispensabile coglierle dal di dentro dove agisce lo Spirito Santo.
Presenza e azione dello Spirito Santo
Lo Spirito Santo è il Protagonista di questo Concilio; ciò è vero per ogni Concilio; ma per questo lo è in modo caratteristico. Basta anche solo un rapido sguardo a come sono andate le cose negli ultimi anni della storia della Chiesa per convincersi che « digitus Dei est hic ». Chi pensa alla scelta del Card. Roncalli come Papa, al suo breve sconvolgente Pontificato, alla indizione del Concilio, agli scopi al metodo allo spirito da lui indicati, alle prime Sessioni, a ciò che è già stato approvato e promulgato, sente di trovarsi, come ha detto un Padre in Aula, di fronte a un vero miracolo.
E’ incominciata la « novella Pentecoste » e vuole continuare, e Chi ha incominciato ha certamente intenzione di portare a termine la sua Opera.
E qui occorre fare attenzione in quale senso lo Spirito soffi. Ci sono delle indicazioni evidentissime.
Prima di tutto il luogo dell’azione dello Spirito Santo è la Chiesa: qui continua a riprodurre la presenza e l’azione salvifica del Cristo, qui ripete all’orecchio (« suggeret vobis ») tutte le parole di Cristo, Parola di Dio, qui opera la congregazione nell’unità di quanti lo accolgono e li fa sicuri che sono figli di Dio. Perciò il Mistero della Chiesa nella totalità della sua realtà deve diventare la sintesi non solo delle verità rivelate ma ancora il soggetto e lo strumento insostituibile delle funzioni salvifiche. Chi non è Chiesa, chi non fa Chiesa non si incontra con lo Spirito che genera i figli di Dio.
La Missione dello Spirito Santo nella Chiesa è la continuazione della Missione del Cristo, della Incarnazione e della Redenzione. Il Cristo, come è presente nel mondo nel suo Sacramento che è la Chiesa (temporale, visibile, istituzionale, povera, debole), così agisce nel mondo nel Mistero della Chiesa, con la libertà e la forza dello Spirito.
Lo spirito pastorale, prima del metodo pastorale, I’esigenza ecumenica, l’impulso missionario sono le conseguenze di questa presenza ” turgida” dello Spirito di Dio nella sua Chiesa.
La messa in luce della rivelazione dell’Amore di Dio
Soprattutto una visione della vita cristiana all’insegna dell’Amore è certamente il frutto più bello di questo « effeta! » di questa straordinaria effusione della « spiritalis unctio ».
E’ di importanza estrema questo particolare aspetto del Concilio: la messa in luce della rivelazione del sovrano e gratuito Amore di Dio, che domina la storia della Salvezza, la vita della Chiesa e che deve essere manifestato al mondo.
La divina Rivelazione (la nostra Dogmatica) è la inaudita manifestazione delle investigabili ricchezze dell’Amore Infinito di Dio,.la cui storia va dalla Creazione al « sic dilexit… ut Filium suum Unigenitum daret ». La Legge nuova (la nostra Morale) se da una parte corrisponde all’umile e impegnata risposta all’Amore, è radicalmente una capacità nuova soprannaturale che lo Spirito Santo crea in noi, per meno della quale entriamo nella corrente della Carità che circola tra le Divine Persone, acquistiamo la coscienza e la qualità di figli di Dio e la possibilità di un comportamento corrispondente. La Grazia divina (il nostro « De Gratia ») è una ineffabile comunione personale e comunitaria alla intimità di vita delle Divine Persone i cui rapporti si consumano nell’Amore.
Negli ultimi secoli della storia della Chiesa, il Giansenismo e poi una certa accentuazione dei suoi aspetti istituzionali avevano sbarrato o velato la rivelazione dell’Amore Infinito di Dio; si può dire che ne è venuta una prima reazione con la devozione al S. Cuore, poi col movimento liturgico si è arrivati a leggere con più chiarezza quella storia dell’Amore nel Libro stesso di Dio; con Papa Giovanni tutti gli sbarramenti sono stati tolti e tutti i veli sono caduti e col Concilio questa corrente impetuosa dal Cuore di Dio, per Gesù Cristo, nello Spirito Santo si è riversata sui Vescovi di tutto il mondo per riempire tutta la terra.
E’ naturale che solo chi si imbarca nel senso della corrente arriverà alla Salvezza.
E qui dobbiamo ancora una volta interrogarci sul nostro modo di vedere il Cristianesimo, la Chiesa, la Rivelazione; c’è un modo astratto e un modo storico, un modo statico e un modo dinamico, c’è la teoria, la pratica e la vita. Ci sono delle cose che stanno nell’ordine del fine e certe altre che appartengono solo all’ordine dei mezzi; qui è veramente il caso di distinguere, di scegliere rispettando la gerarchia dei valori.
E’ più importante Gesù Cristo del Papa, la Sacra Scrittura più di tutte le Somme, è più importante la Grazia che gli strumenti che la trasmettono, le anime più del latino. E’ vero: Gesù Cristo è dove è il Papa, la Parola di Dio con il Magistero, la Grazia nei Sacramenti; ma queste rimangono delle indicazioni di sicurezza, di autenticità, di efficacia- Ia Realtà è più larga, più profonda, più forte e tanto libera.
Lo Spirito Santo introduce alla Verità come « testimone interiore »
Esiste un altro aspetto dell’azione dello Spirito Santo che caratterizza l’impegno della Chiesa nel mondo di oggi. Lo Spirito di Cristo ha il compito di introdurci in tutta la Verità come « testimone interiore » di tutto ciò che Gesù Cristo ha detto. E’ lo Spirito Santo che svela la Verità, la ripete da dentro, ne comunica la certezza, ne crea l’esigenza e spinge a diffonderla.
Questa Verità però è un Dono di cui non si diventa « padroni », ma è un Tesoro di cui si diventa « responsabili ». Ne possono sorgere due atteggiamenti ben diversi: quello di colui che pensa di possedere la Verità di essere dalla sua parte, fino a concepire la pretesa di « salvare la Verità ” piuttosto che sentire il bisogno di « essere salvato dalla Verità », e quello di colui che invece ha coscienza del tremendo peso e la responsabilità di portare la Verità in condizioni di limitatezza, di fragilità e di possibilità di perderla; uno è un « sicuro », I’altro un « impegnato ».
Il primo considera la Verità contenuta nelle Fonti, trasmessa dal Magistero, custodita nell’Ortodossia come qualche cosa di trascendente e di astratto a cui si deve rispetto e fedeltà; l’altro sa che la Verità è viva e tende a circolare nella sua persona ed esige di essere portata in tutte le condizioni della sua esistenza; il primo « professa » la Verità, il secondo « fa » la Verità nello sforzo di un’umile sincerità, di una insospettabile lealtà, di una « coincidenza » morale con la propria fede, per essere autentico, chiaro, evangelicamente povero.
E’ chiaro che lo Spirito spinge la Chiesa in questo ultimo senso, come tutti ammettono che gli uomini di oggi siano in sintonia con questi atteggiamenti e valori.
Chi, all’apertura del Concilio, avrebbe sospettato che quelle semplici parole « aggiornamento », « rinnovamento », « adattamento » avrebbero acquistato un senso così radicale e sarebbero state protagoniste di avvenimenti così decisivi nella vita della Chiesa?
Si tratta di scoprire il senso dell’« avvenimento » nella storia della Salvezza e di inserirci negli avvenimenti che sono della Chiesa di oggi, per entrare in questa Storia.
MONS. CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
ST 223 Concilio 1964