Quaresima 1966 – Cattedrale di Monopoli N° 5
Questa sera dovremmo dire le cose più belle del popolo di Dio e, anche se io personalmente non riuscirò a dire queste cose stupende che sono una realtà, che appartengono con sicurezza al popolo di Dio, tuttavia voi scoprirete per lo meno che esistono, sono belle, sono preziose.
A queste cose noi dobbiamo tendere con tutte le nostre forze, anzi, con tutta la nostra vita. E per dire le cose, a questo punto meno male, anzi per dirle assai bene, mi servo delle parole del Papa che ha pronunciato soltanto due giorni fa.
Mercoledì noi parlavamo del popolo di Dio, mercoledì il Santo Padre, all’udienza generale ha parlato del popolo di Dio. Ad un certo punto dice: “Questo popolo nuovo a cui noi tutti abbiamo la fortuna di appartenere, è un popolo di santi, di consacrati, di pietre vive che formano la casa spirituale di Dio, di anime rivestite di un sacerdozio santo che le rende idonee ad offrire vittime spirituali gradite a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Si tratta di quel sacerdozio regale di cui oggi tanto si parla e che giustamente si riconosce essere la prerogativa, per costituire la dignità sacra ed incomparabile, rispetto a qualsiasi altra dignità terrena di ogni cristiano”.
Non è cosa nuova se le parole ora riferite le troviamo nella prima lettera pontificia, cioè nella prima lettera dell’apostolo Pietro ai cristiani dell’Asia, e se Sant’ Ambrogio, fra l’altro afferma che “omnes fili ecelesiae sacerdotes sunt”: tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti, cioè abilitati a trattare con Dio, ad offrirgli come dono sacrificale se stessi.
Il popolo di Dio è questo popolo formato di santi. Notate, non semplicemente di santi che vanno nelle nicchie, non di santi perché noi siamo delle persone virtuose. Non semplicemente così.
Noi siamo dei consacrati.
E quando avviene la nostra consacrazione?
Non quella dell’ostia… la consacrazione della nostra persona.
Come è stata significata bene la consacrazione della nostra persona il giorno del Battesimo!
Come si è approfondita questa consacrazione il giorno della Cresima!
Noi siamo delle pietre vive che formano la casa spirituale di Dio.
Il sacerdozio si esercita in chiesa.
Il sacerdozio nostro di santi, cioè di appartenenti a Dio, di consacrati a Dio, lo esercitiamo nel tempio, nella chiesa che è il nostro stesso cuore, la nostra stessa persona.
Siamo tutti, dice il Papa, rivestiti di un sacerdozio santo.
Notate che il Papa, da quando è terminato il Concilio e anche durante la celebrazione del Concilio, ha sempre continuato a parlare dell’insegnamento che ha dato il Concilio.
Il Concilio a proposito della nostra consacrazione, per cui tutta la dignità nostra, di tutti i battezzati, è quella sacerdotale, dice nella costituzione della Chiesa – e il Papa si riferisce a questo documento che anche noi stiamo studiando:
“Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del nuovo popolo un regno di sacerdoti per il Dio e Padre suo.
Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare un tempio spirituale, un sacerdozio santo, per offrire mediante le opere del cristiano, spirituali sacrifici e far conoscere i prodigi di colui che dal Padre li chiamò all’ammirabile sua luce.
Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio, rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi lo richieda, rendano ragione della loro speranza della vita eterna”.
Miei cari, ho detto le cose più belle del popolo di Dio a cui apparteniamo: questa funzione, questa destinazione, questo compito di essere sacerdoti.
Che cosa significa essere sacerdoti?
Essere coloro che lodano Dio e che salvano i propri fratelli. Il sacerdote è questo.
Il sacerdote eterno, da cui deriva tutto il nostro sacerdozio – il vostro e il mio – è nostro Signore Gesù Cristo.
Come è stato Sacerdote nostro Signore Gesù Cristo?
Prima di tutto lodando il Padre e poi salvando gli uomini.
Cerchiamo di comprendere questa cosa importante perché noi tante volte abbiamo ridotto il nostro cristianesimo a una “cosa”, piccola, piccola, ad una “cosa” purtroppo meschina, ad una “cosa” che non ha nessuna dignità, non ha nessuna grandezza e per conseguenza, non ha nessun respiro e nessuno slancio.
Noi tutti siamo destinati ad essere sacerdoti dell’Altissimo.
Quando Iddio si è costituito il suo popolo ai piedi del monte Sinai, ha definito coloro che chiamava, con queste parole: “E voi sarete per me un popolo di sacerdoti, una nazione santa”.
San Pietro, ve l’ ho già fatto rilevare altre volte, la prima volta che parla come rappresentante di nostro Signore Gesù Cristo, come nuovo Mosè che deve convocare il popolo di Dio, definisce il popolo di Dio con le stesse parole, si può dire, con cui Mosè ispirato dal Signore aveva descritto il popolo di Dio.
S. Pietro dice: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato per proclamare le sue grandezze in mezzo a tutti i popoli”.
Ecco il perché del popolo di Dio: è un motivo, è una ragione sacerdotale.
Cerchiamo di intendere: non vuole dire “sacerdote” semplicemente nel senso che questo popolo, di quando in quando, si raduna e offre sacrifici e offre oggi il sacrificio della Messa e celebra delle funzioni sacre.
Il popolo di Dio è sacerdote per costituzione, per natura, per nascita.
Ogni membro lo è dal momento del Santo Battesimo, lo diventa maggiormente dal momento della Cresima.
Ogni membro di questo popolo, che appartiene non ad un popolo qualsiasi ma al popolo di Dio, cioè, ogni cristiano che è figlio di Dio, che cosa deve fare nella sua esistenza?
Deve dare gloria a Dio.
Che cosa significa dare gloria a Dio?
Stare tutto il giorno a dire: gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo?
No, certamente perché noi, nella nostra giornata, abbiamo tante cose da fare. Ma quando facciamo tutte quelle cose a cui siamo destinati, a cui dobbiamo attendere per dovere, non cessiamo un istante di essere figli di Dio.
La nostra consacrazione sacerdotale non si spegne mai, rimane sempre la nostra istituzione e costituzione di sacerdoti.
Noi rimaniamo sempre rivestiti della prerogativa del sacerdozio.
Allora, in che cosa deve consistere il nostro sacerdozio?
Consiste semplicemente nello stare davanti a tutti come quelli che vogliono far fare bella figura al loro Padre. Uso un’espressione molto semplice: stare davanti a tutti, comportarsi dovunque, in qualsiasi istante, come coloro che fanno fare bella figura al Padre che sta nei cieli.
Ecco la gloria che noi dobbiamo dare a Dio!
Ecco la celebrazione con cui dobbiamo glorificare Dio.
Ecco l’esercizio fondamentale, esteso in ogni istante e in ogni luogo, del nostro sacerdozio.
Ecco dove dobbiamo essere sacerdoti: dovunque, sempre, comportandoci in modo, ripeto, da far si che chiunque ci vede, o anche se non ci vede nessuno, Iddio faccia bella figura per conto nostro, cioè per merito nostro.
La gente, commentando sulla condotta di una persona, dice:- …e va in chiesa! …e appartiene alle figlie di Maria! O ai figli di S. Giusepe! …E’ dell’Azione Cattolica!- Questi certamente, se danno motivo a questi rilievi, non esercitano il loro sacerdozio, non danno gloria a Dio, non glorificano il Padre che sta nei cieli.
Direte allora: il nostro sacerdozio sta tutto qui?
Il vostro sacerdozio, il mio e il vostro, quello che ci accomuna, quello per cui siamo sacerdoti di Dio per il Battesimo, trova la sua materia di offerta nella comune vita quotidiana, nell’ostensione dell’esistenza come noi la viviamo giorno per giorno, compiendo il nostro dovere.
Mi pare che abbiate già compreso questo. Ma non è tutto qui, perché se noi offriamo a Dio tutto noi stessi, il nostro cuore, i nostri sensi, la nostra intelligenza, le nostre azioni, le nostre gioie, le nostre sofferenze, gli stessi nostri svaghi, dice la costituzione, in particolare il grande dono dell’amore coniugale, offriamo solo delle piccole cose.
Notate che, sono tutto per noi, ma sono delle piccole cose.
Iddio, che ha costituito il suo popolo “popolo sacerdotale” ha messo in mezzo a questo popolo, a capo di questo popolo, il grande Sacerdote che è nostro Signore Gesù Cristo.
Soltanto Lui può entrare al cospetto di Dio e offrire doni accetti e gradevoli al Padre:
perché soltanto lui è senza macchia,
perché soltanto lui è ricco di ogni virtù,
perché soltanto la sua offerta è pienamente gradita al Padre.
Ricordate: “Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale ho posto le mie compiacenze”.
Gesù Sacerdote eterno del Padre, è nostro pontefice, cioè colui che fa il ponte, e in parole semplici se è possibile, raccoglie da tutti noi, tutti i nostri sacrifici, tutte le nostre offerte, tutti i nostri piccoli doni, per prenderli nelle sue mani, unirli ai suoi doni e offrirli al Padre.
Allora il nostro sacerdozio penetra il cielo,
allora il nostro sacerdozio con le sue offerte, giunge fino al trono di Dio,
allora veramente le nostre piccole cose diventano grandi della grandezza, del valore, del sacrificio di croce compiuto da nostro Signore Gesù Cristo, e noi stiamo davanti al Padre veramente in un grande atto di offerta, veramente nell’esercizio di un sacerdozio incomparabile.
Come avviene questo?
Avviene spiritualmente ogni giorno, ogni momento, quando noi uniamo la nostra vita a quella di nostro Signore Gesù Cristo, quando rendiamo cosciente nella nostra mente, nel nostro cuore, che siamo membra del Corpo di nostro Signore Gesù Cristo, che siamo come i tralci uniti a quella vite che è Lui e offriamo per mezzo suo tutto quello che noi facciamo.
Avviene sempre questo?
Può avvenire sempre ma avviene in modo specifico, particolare, più pieno nel momento della celebrazione liturgica.
A me serve esprimermi così.Quando gli ebrei, cioè i membri dell’antico popolo di Dio salivano al tempio, non andavano a mani vuote, portavano oppure compravano già nel recinto del tempio qualche cosa da offrire a Dio, da dare al sacerdote perché portasse la loro offerta a Dio. Era un atteggiamento giusto, era qualche cosa che dovevano fare, perché non potevano presentarsi al tempio di Dio a mani vuote.
Non è questo che Iddio si attende dal nuovo Israele, che siamo noi.
Noi non siamo l’Israele della carne, non siamo l’Israele della razza.
Il popolo Israele, come razza proveniva da Abramo.
Noi siamo il nuovo Israele, il nuovo popolo di Dio che adorerà Dio in Spirito e verità, ma capite che, quando noi veniamo in chiesa in particolare per celebrare insieme la S. Messa, dobbiamo portare la nostra offerta.
Gli ebrei portavano, chi un paio di tortore, chi due colombe, chi un agnello, e quelli più ricchi anche un vitello o qualche animale più grosso.
Noi nò. Non sono queste le cose che il Signore attende da noi.
Noi dobbiamo portargli le nostre giornate, la nostra settimana e se abbiamo saltato qualche Messa della settimana dobbiamo portare anche due settimane, gli possiamo portare le nostre fatiche, le nostre pene, le nostre difficoltà, le nostre gioie, tutto.
Dobbiamo venire qui con le mani piene di doni e poi li dobbiamo mettere sull’altare accanto all’ostia santa e quel sorso di vino nel calice in cui sono infuse poche gocce di acqua che simboleggiano il nostro sacrificio, la nostra offerta, i nostri doni.
A questo punto entra in funzione un altro sacerdozio che è sempre una partecipazione del sacerdozio di nostro Signore Gesù cristo: il mio di vescovo, quello dei miei preti.
A parte che anch’io, e qualsiasi celebrante non deve andare all’altare semplicemente con il calice in mano e poi col chierichetto che gli porta l’acqua e il vino, ma con le mani piene dei suoi doni, di quello che ha fatto e anche di quello che non ha fatto.
Anche voi però dovete portare quello che non avete fatto, le vostre mancanze, le vostre infedeltà e chissà i vostri peccati, tutto, perché sia il grande dono che, per mezzo del sacerdozio ministeriale, quello mio, quello dei preti, viene offerto in Gesù Cristo.
Ad un certo punto il sacerdote dice: “per ipsum, cum ipso et in ipso”: per mezzo di Lui, in sua compagnia, con le sue disposizioni, offriamo tutto a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo per suo onore e per la sua gloria.
Il sacerdote, il ministro sacro, con le parole della consacrazione rende presente Gesù Cristo Sacerdote eterno, sommo pontefice e, accanto a Gesù Cristo presente nell’Ostia santa ci sono tutte le nostre offerte, e per mezzo di Gesù Cristo tutto sale al Padre come glorificazione e come lode.
Pensiamoci un po’ quando diciamo “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, quando diciamo “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, quando il sacerdote dice quelle parole “per ipsum, cum ipso et in ipso, Deo Patri onnipotenti in unitate Spiritus Sancti, omnis honor, et gloria”.
Come ci siamo noi in quella gloria che si dà a Dio?
Che cosa abbiamo portato noi in quella glorificazione che sta salendo verso il Padre?
Che cosa c’è dì nostro in quell’offerta?
Ecco la prerogativa e la dignità del popolo di Dio, ecco, comprendete il senso della vita cristiana?
Non è necessario dire: sii umile, sii obbediente, sii casto, sii paziente quando tu, con tutta la tua persona non devi far sfigurare il Padre tuo che sta nei cieli, quando tu, andando in chiesa devi portare non un paio di tortore ma la tua pazienza, la tua virtù, anche i tuoi peccati per chiedere perdono e misericordia da Dio.
Capisci allora che sei spinto in ogni istante ad essere sacerdote del tuo sacrificio, della tua offerta che, poi viene assunta da nostro Signore Gesù Cristo perché Iddio sia glorificato nel suo popolo.
OM 27 Quaresima 1966