Cattedrale di Monopoli Giubileo dei maestri
Stiamo celebrando ciò che crediamo e l’oggetto della nostra fede è nello stesso tempo semplice e di portata intensa, impensabile e divina.
San Luca e san Marco evangelisti, testimoni dei fatti, dicono con semplicità, che Gesù fu elevato al cielo sotto il loro sguardo. E Gesù non era un fantasma perché per quaranta giorni avevano potuto vederlo, ascoltarlo. San Tomaso aveva anche potuto mettere il suo dito nella ferita delle sue mani e nell’apertura del suo costato e avevano anche mangiato insieme con lui. Erano, perciò giunti ad un grado di certezza assoluta, non solo della sua resurrezione ma anche della sua ascensione.
Gesù era venuto dal Padre, era stato nel mondo per compiere l’opera del Padre e aveva detto che sarebbe ritornato al Padre. Questo ritorno al Padre del figlio di Dio fatto uomo, oggi è l’oggetto della nostra fede, della nostra celebrazione liturgica ed è il solo motivo che impegna tutte le nostre persone, concordemente nella fede, in questa celebrazione.
Che cosa ci dice la fede? Ci dice che il Figlio di Dio fatto uomo è entrato nei cieli non solo come figlio di Dio, ma come figlio dell’uomo ed è entrato nei cieli per sedere alla destra del Padre. Questo é un modo di dire perché, Dio non ha né destra né sinistra. Vuole dire: che è entrato nei cieli nell’intimità della vita del Padre, e perciò partecipa di tutti i suoi meriti e della sua stessa vita il figlio dell’uomo nato da Maria e vissuto a Nazareth: quello che aveva dato la vista ai ciechi e l’udito ai sordi, che aveva risuscitato i morti, che si era stancato lungo le strade di Palestina, che ha avuto fame e sete, che aveva suscitato intorno a sé odio incontenibile da parte dei suoi nemici perché era un rimprovero vivente alla loro condotta e alla loro poca fede;
E’ entrato nei cieli per sedere alla destra del Padre: —quello stesso Gesù che era stato preso – perché era giunta la sua ora,- nelle mani di coloro che gli avevano fatto soffrire tutte le umiliazioni e le sofferenze della passione; —quello stesso Gesù che era stato chiuso nel sepolcro perché certamente era privo di vita dal momento che il soldato gli aveva squarciato il petto; —quello stesso Gesù che ha dimostrato di essere l’ autore della vita perché vincitore della morte nella sua risurrezione, —quello stesso Gesù che ha dimostrato di essere capace di mantenere le sue promesse. Aveva detto molte volte ai suoi discepoli: “Il Figlio dell’uomo sarà tradito, sarà dato in mano ai suoi nemici, schiaffeggiato, messo in croce ma il terzo giorno risusciterà”. Gesù è risuscitato ed ha dato prova della consistenza della sua risurrezione. Per questo gli evangelisti dicono con semplicità il fatto impensabile che il Figlio dell’uomo dimostratosi figlio di Dio, penetra i cieli e va a preparare un posto per noi.
Notate che tutte le parole di Gesù prendono significato dai fatti che compie. Come aveva garantito prima, con sicurezza, il fatto della sua morte e della sua risurrezione e che sarebbe ritornato al Padre – e Gesù morì, risuscitò e salì al Padre – così sono vere le sue parole: “Dove andrò io, voglio vengano anche quelli che credono in me”.
Egli siede alla destra del Padre. Qui è la prova del nostro destino. Il destino della nostra vita è la vita eterna destinata a noi, preparata per noi. Il destino della nostra vita è la beatitudine infinita di Dio a nostra disposizione e assicurata, dal momento che Gesù ha dato prova di saper mantenere tutte le sue promesse e di realizzare tutte le sue affermazioni. Vedete quanto il mistero dell’ascensione di nostro Signore Gesù Cristo al cielo ci riguarda, e come riguarda il nostro destino finale?
La tappa definitiva della nostra vita è legata indissolubilmente a quella di nostro Signore Gesù Cristo che è il nostro Capo. Noi, membra del suo corpo, saremo dove è il capo. Gesù Cristo è nostro pastore e le pecore dovranno ritornare dove è il pastore. Gesù Cristo è la nostra vite per essere la nostra vita, e noi che siamo i tralci saremo dove è la vita.
–La Vita è in cielo;
–il Pastore è in cielo;
–il Capo è in cielo,
–ed è in cielo per noi, così come per noi era disceso sulla terra. Tutto quello che ha fatto nostro Signore Gesù Cristo lo ha fatto per noi. Per noi è venuto dal Padre, per noi è ritornato al Padre. Lo ripeteremo, tra poco nel Credo: “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”, con tutto quello che segue.
Questa, miei cari, è la nostra fede. Ma, c’é la nostra fede nella Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo? C’è la fede nella vocazione nostra di chiamati a diventare cittadini della patria celeste, per sedere alla destra del Padre con Nostro Signore Gesù Cristo? Per essere nella casa del Padre come figli intorno al Primogenito?
Miei cari, dobbiamo diventare capaci di guardare le cose con realtà e confrontare se, ciò che vediamo in certi aspetti della nostra vita e del nostro comportamento, corrisponde con il contenuto della nostra fede, cioè: se c’è la corrispondenza del nostro modo di pensare e quindi del nostro modo di concepire la vita e di orientare la nostra esistenza con la nostra fede e il nostro impegno quotidiano.
Miei cari, non andremo alla destra del Padre insieme a Gesù Cristo perché siamo venuti alla Messa, perché qualche volta ci siamo confessati perchè qualche volta ci siamo ricordati di dire le preghiere. Ci andiamo – ognuno per nostro conto – se qui in terra, nella condizione concreta della nostra vita quotidiana, ci saremo comportati come figli di Dio, come fratelli a Gesù Cristo e, tra di noi come figli dell’unico Padre. Ci andiamo se ci saremo comportati come coloro che, qui non hanno una patria stabile, una dimora permanente, cioè sono come pellegrini verso la patria, verso la dimora definitiva che è il Cielo.
Se tutta la nostra vita è uno sforzo per assicurarci il paradiso in terra, anche se andiamo a Messa, non entreremo nel paradiso del cielo. Non dico che su questa terra non dobbiamo cercare di progredire. Non dico che non dobbiamo cercare di elevarci e dimostrare nella realtà della nostra esistenza, di essere le creature più grandi che esistono. Non dico che non dobbiamo cercare anche quello che può diventare il mezzo per sostenere materialmente e spiritualmente la nostra vita.
Dico che: non è qui che si deve risolvere la nostra esistenza, non è qui dove il nostro cuore può trovare ciò che cerca, perché qui non c’è niente di eterno, perché qui non c’è niente di infinito, perché qui tutto cambia e la nostra potenza e il nostro ingegno e la nostra scienza non fermano nulla.
Allora, miei cari, lo vogliamo possedere il paradiso? Ci pensiamo un po’ alla vita eterna? Non per trascurare i doveri della vita presente, ma per impegnarci a fare bene i nostri doveri come mezzo per arrivare alla vita futura? E i doveri della vita presente, insisto, non sono semplicemente quelli specificatamente religiosi, ma tutti quelli che impegnano le nostre persone qui nel mondo: nel mondo di Dio, nel mondo che vuole ricevere la sua perfezione anche dalla nostra collaborazione.
I nostri doveri nella vita presente sono i doveri dei collaboratori di Dio,
di quelli che si muovono con Dio,
di quelli che vivono con Dio,
di quelli che vanno nel senso di Dio.
OM 39 Ascensione 66