Ricordato in Cattedrale il 1° dicembre scorso nel secondo anniversario
Mons. Carlo Ferrari
A due anni dalla morte del Vescovo Carlo Ferrari, che abbiamo ricordato il 1° dicembre scorso in Duomo con una concelebrazione eucaristica presieduta da Mons. Caporello (vedi a parte in questa pagina), è opportuno e forse doveroso- a me sembra – chiedersi quale messaggio per il nostro non facile presente ci venga dalla sua memoria.
Siamo, per la fede, nella comunione dei santi, e siamo in ogni caso radicati in un solco di storia dal quale è sperabile che seguitiamo ad attingere motivi di speranza e di perseveranza nella buona causa.
Ciascuno, poi, ricorda come può e quello che può o ha scelto di ricordare; e se lo fa a voce o per iscritto è quasi inevitabile che in qualche misura distorca o personalizzi il “deposito” a cui si richiama. Ma anche questo può essere testimonianza, limpida e soggettivamente fedele: questo io ricordo, questo il tempo che stiamo vivendo mi provoca a ricordare. Tanto meglio se qualche altra voce si aggiungerà a completare o a diversamente fare memoria. Lo Spirito, come sappiamo, soffia in tanti modi diversi. L’importante è non costringerlo sotto uno spegnitoio. Ecco in breve e per punti:
– il “Dio cristiano”, il Dio di cui Gesù di Nazareth ci ha rivelato il Volto e il Nome, porta avanti il suo disegno di salvezza nel mondo con strumenti diversi e apparentemente casuali, tanto è difficile riconoscere un rapporto di continuità tra di loro. La continuità esiste, ma è data dall’azione di Dio e del suo Spirito che “gioca”, per la nostra limitatezza razionalizzante, con le cose che accadono nella piccola storia personale e locale, come in quella più grande.
Relatività, quindi, di ogni cambiamento negli scenari del quotidiano e trascendenza del Disegno che in essi si annuncia e sempre imperfettamente si attua.
Di fronte a questa trascendenza, meglio si comprende la predilezione del Dio cristiano per i piccoli, i poveri, i deboli, i “servi inutili”, “coloro che non sono – arriva a dire Paolo – per confondere quelli che sono”; e si comprende meglio la speculare sconfessione dei potenti e degli abbienti. E’ infatti nella debolezza dell’uomo che più chiaramente risalta la forza trascendente del disegno di Dio.
– Di fronte a una situazione storico-culturale che enfatizza la valenza dei mezzi umani: la razionalità socio-economica, tecnologica, scientifica, politica, Mons. Ferrari accentua gli aspetti paradossali dell ‘ annuncio cristiano, che è superamento e rovesciamento dell’umano, giudizio di insufficienza radicale dei progetti umani in ordine alla salvezza, affermazione del primato dello Spirito che solo può liberare l’uomo,trasformare i presagi di morte in annunci di risurrezione alla “vita nuova” nel Cristo.
Tale disegno divino non può essere tuttavia un alibi per i pigri e i pavidi o per gli odiatori del mondo: ciascuno è chiamato a riconoscere e a sviluppare la propria humanitas, vale a dire, in prospettiva di fede, il progetto vocazionale a lui proprio, mettendo a frutto i talenti, pochi o molti, che ha ricevuto in dono. La Grazia – altra costante del pensiero di Mons. Ferrari, derivata da S. Tommaso – non surroga le potenzialità naturali ma le presuppone e le corrobora, proiettandole verso un compimento definitivo che sarà dato da Dio.
–Il Dio cristiano, Trinità di Persone nell’unità dell’amore, è il principio e l’archetipo inesauribile di ogni dinamismo di personalizzazione, così come di ogni comunione tra persone. “Ut unum sint”, e fino a che “Dio sia tutto in tutti”.
-Di qui la priorità, affermata con più insistenza dal Vescovo Carlo nei suoi ultimi anni, della componente contemplativa, “mistica” della vita cristiana rispetto a quella ascetica e moraleggiante, privilegiata invece da una più consueta,radicata e riconosciuta tradizione. Mons. Ferrari ha avuto il coraggio, non frequente nemmeno oggi, di queste nette puntualizzazioni, non solo congeniali al suo temperamento ma acquisite o confermate nell’esperienza del Concilio ecumenico e per lo stimolo di un lavoro teologico che il Concilio aveva preparato o prolungava in applicazioni coerenti.
– La chiesa, popolo di Dio in cammino e famiglia di Dio, è comunità di persone chiamata a realizzare nel tempo una anticipazione, insieme storica e profetica, avvolta nel misero e sorretta dalla speranza, del regno di Dio definitivo. La sua rilevanza non è quindi anzitutto di ordine sociale o politico, ma simbolico, misterico, sacramentale, e se altra rilevanza essa cerca fuori da tale ordine inevitabilmente decade, si mondanizza e si corrompe.
Il suo Fondatore e Signore non l’ha voluta per cambiare il mondo con i mezzi e i metodi dell’efficienza mondana, ma per annunciare il regno di Dio con la sola forza della fede, dei segni sacramentali, della testimonianza fedele.
A questo fine, che è la sua ragion d’essere, devono servire le strutture stesse della chiesa, siano esse di origine divina o di natura storica e contingente: la chiesa è mistero prima che istituzione, sacramento dell’incontro con Dio e tra gli uomini prima che qualsiasi altra cosa pur apprezzabile sotto il profilo sociale, culturale, umanitario. Quanto ai “bracci secolari” che la chiesa si è data anche in tempi recenti, si è avuto modo di toccare con mano quanto sia rischioso cercare coperture o garanzie politiche, legislative, economiche piuttosto che confidare nella “forza dello Spirito” dato ai credenti.
Il distacco di Mons. Ferrari dal mondo della politica spicciola ha trovato qui, sicuramente, le sue buone ragioni e motivazioni.
La domanda ineludibile da porre sulle strutture ecclesiali non è se migliorano l’immagine o il prestigio o la sicurezza mondana della chiesa, ma se aiutano a far conoscere e a far crescere il regno di Dio. Alternative forse troppo nette, se si vuole, che tuttavia oggi più di ieri sono provocazione a riflettere, a riconsiderare le modalità della presenza al mondo da parte della chiesa. Basti pensare a recenti pronunciamenti di “guide” come Dossetti, come i monaci della comunità di Bose o come alcuni tra i vescovi più ascoltati in Italia.
– Un’ultima indicazione viene con chiarezza dal Vescovo Carlo. La possiamo esprimere con le parole stesse del Vangelo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà dato come in soprappiù”.
Concentrarsi sull’essenziale, non disperdersi a “inseguire tutte le lepri” o a riassettare tutte le smagliature non è forse anche oggi una buona regola di salute spirituale, di efficacia pastorale, di irradiazione missionaria?
don Benito Regis
Stampa:“La Cittadella” dicembre 1994