non riformiamo le cose ma noi stessi
Martina 1967 – Incontro con i sacerdoti 08
Dopo questo rapido sguardo, dato al piano di Dio nelle sue linee essenziali, in un certo qual senso, ritorniamo ancora da capo e cerchiamo di situare con esattezza il senso della nostra esistenza di sacerdoti e quindi del nostro ministero, perché la nostra vita non può disgiungersi da quella realtà ontologica nuova, che é in noi in seguito all’imposizione delle mani nella consacrazione sacerdotale.
Il senso della nostra esistenza e del nostro ministero é di essere degli edificatori della Chiesa.
Noi sacerdoti dobbiamo entrare, come tutti i battezzati, nel piano di Dio per essere Chiesa e vivere ed esprimere la vita della Chiesa, ma partecipi in un modo del tutto singolare delle funzioni salvifiche con le quali Gesù Cristo edifica, nello spirito, la sua Chiesa attraverso i tempi e in tutti i luoghi. Perciò, noi dobbiamo guardare al fine particolare della nostra esistenza che é di essere degli edificatori della Chiesa. Qui il concilio é molto esplicito.
Tento di richiamare alcuni testi; Leggiamo Lumen Gentium 7 “Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura. Comunicando, infatti, il suo Spirito costituisce misticamente come suo Corpo i suoi fratelli, chiamati di fra tutte le genti” Ecco il fatto della Chiesa. Comunicando infatti il suo Spirito convoca i suoi fratelli da tutte le nazioni e li unisce misteriosamente come Corpo.
Lumen Gentius n. 7 “Egli nel suo corpo che é la Chiesa continuamente dispensa, i doni dei ministeri con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo scambievolmente a salvarci, e operando nella carità conforme a verità, noi andiamo in tutti i modi crescendo in Colui che é il nostro Capo”.
Da lui tutto il Corpo ben fornito e compaginato per mezzo di giunture e legamenti riceve l’aumento voluto da Dio.
Lumen Gentium n 9 Un testo già più volte ricordato, “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo , che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse” Questa é la meta a cui tende Dio, a cui tende l’opera di Gesù Cristo che compie la volontà del Padre, e deve essere la meta a cui deve tendere, il ministero.
Presbyterorum ordinis n.1: ” I Presbiteri in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al Suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra é incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo” Tre figure bibliche che descrivono sotto determinati aspetti e quindi in modo complementare la realtà della Chiesa, quindi il nostro ministero ha questo scopo, si potrebbe ribadire, non di attendere individualmente alla salvezza delle anime ma all’edificazione della Chiesa nella quale poi si salvano le anime e si santificano.
Al n 12 Presbyterorum Ordinis “Con il sacramento dell’Ordine i Presbiteri si configurano a Cristo Sacerdote come ministri del Capo” Guardate che posizione abbiamo noi nella realtà della Chiesa! “allo scopo di far crescere ed edificare tutto il suo Corpo che é la Chiesa” Noi partecipiamo dell’essere, dei poteri, delle virtù del Capo per fare crescere, sviluppare, compaginare il Corpo , per edificare la Chiesa
Presbyterorum Ordinis n. 6 “Esercitando la funzione di Cristo Capo e Pastore per la parte di autorità che spetta a loro, i Presbiteri, in nome del Vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo” Questo é fare la Chiesa! Nello Spirito Santo! Vedete, come é sempre presente la traccia del mistero trinitario nelle affermazioni conciliari! “Per questo ministero, come per le alte funzioni del Presbitero, viene conferita una potestà spirituale che é appunto concessa ai fini della edificazione” Notate: ai fini della edificazione! Notate ancora che queste sono soltanto alcune citazioni che si potrebbero moltiplicare, quindi, questa insistenza non va sottovalutata ma presa nella portata voluta dal concilio. La funzione di pastore non si limita alla cura dei singoli fedeli. Essa va estesa alla formazione dell’autentica comunità cristiana.
Presbyterorum Ordinis n. 4 ” Il popolo di Dio viene adunato innanzi tutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti” Si dovrebbero portare tutte le citazioni che riguardano le azioni sacramentali e pastorale in specie. A questo punto il documento conciliare porta la citazione: gli apostoli predicavano la parola di verità e generavano le chiese. Per l’edificazione della Chiesa i Presbiteri devono esercitare il ministero in comunione con il Vescovo e con i propri fratelli. Non si può dire tutto in una breve meditazione.
Diciamo qualche cosa cercando di acquistare questo senso ecclesiale del nostro essere sacerdoti, e del nostro ministero. Diciamo senso ecclesiale non semplicemente perché siamo sacerdoti della Chiesa e nella Chiesa ma soprattutto, perché siamo nella Chiesa per edificare la Chiesa. Ciò che siamo e ciò che abbiamo, non lo siamo e non l’abbiamo per un altro scopo, ma solo per questo scopo ben preciso, ben determinato.
Mi permetto di dire, che questo é uno dei punti, nel quale il concilio richiede da noi un impegno straordinario, perché si tratta di passare da una mentalità e da una visione individualista della nostra persona e del nostro ministero ad una visione ecclesiale conforme alla volontà di Dio e al suo piano. Ed é indispensabile lasciare maturare questa prospettiva nell’animo nostro perché, ritornati al nostro posto di lavoro, facilmente noi ci lasciamo prendere dal lavoro, perché tutto ci richiama ai pensieri e ai progetti del passato, ai modi di impostare le cose come nel passato. Non si tratta di cancellare e di rompere con il passato ma di aggiornarci, di ritornare alle sorgenti con esattezza, al piano di Dio, alla volontà esplicita di Dio. Si tratta di riformare. Non riformiamo le cose, ma noi stessi, il nostro modo di vivere, di concepire, e conseguentemente verrà la riforma dei nostri atteggiamenti, delle nostre espressioni, del nostro modo di impostare le azioni.
Scusate la mia insistenza. Questa non deve essere una pia considerazione. Questo é, aderire alla Costituzione della Chiesa voluta da nostro Signore Gesù Cristo.
Siamo “presi” tra gli altri, non per lucidare le anime, non semplicemente per mettere in grazia di Dio, per essere maestri di una certa vita spirituale. Tutto deve essere inteso come mezzo per la edificazione della Chiesa. Se entra nella edificazione della Chiesa, entra nel piano di Dio, entra nella sua volontà e nel motivo per cui noi abbiamo ricevuto il “mandato” per la dispensazione di questi altissimi ministeri. Diversamente c’é il tradimento della volontà esplicita di nostro Signore Gesù Cristo.
Come fare l’edificazione della Chiesa? Da dove si incomincia? Importa che prima di metterci nelle disposizioni più convenienti per essere degli edificatori della Chiesa, in noi ci siano determinate disposizioni spirituali e morali. Accenno ad alcune.
Senso di servizio. I muratori non sono gli ingegneri. Gli operai non sono gli architetti. I vignaioli non sono i padroni della vigna. Il disegno che dobbiamo realizzare é già stato concepito, espresso e delineato da Dio. E’ già stabilito il luogo dove devono essere collocate le pietre, perché é Dio che dà a ciascuno la propria vocazione. Noi, intelligentemente, dobbiamo prendere ogni pietra e metterla al posto assegnato da Dio per l’edificazione di questo Tempio nello Spirito. Noi siamo i manuali, i muratori, i vignaioli, gli operai, i servitori.
Si parla molto di questo senso di servizio. Con tutte le nostre eccellenze, i nostri Don, i nostri monsignorate e canonicati e priorati, dite che è poco essere dei servitori? Dite che è poco metterci nell’atteggiamento spirituale di chi é mandato? Il Cristo è stato mandato ed è venuto per servire. Noi siamo i mandati non per essere serviti ma per servire e dare la nostra vita per la redenzione di molti.
Guardate che, un contesto sociale nel quale siamo invischiati: ci mette in alto, ci colloca nella categoria dei padroni, dei signori, di quelli che comandano e, questo contesto sociale influisce sul nostro essere psichico a stare “sopra gli altri”. Ci sono reali difficoltà a prendere un atteggiamento di autentico, sincero, leale servizio.
Il nostro tempo appartiene agli altri, le nostre energie appartengono al popolo di Dio, la nostra salute e tutto noi é per gli altri. Il popolo di Dio si caratterizza per l’unica dignità, che compete a tutti i membri perché tutti sono figli di Dio. I ministeri, i carismi non sono dati per una distinzione ma per la edificazione della Chiesa.
Quanto devono starci in cuore l’umiltà e la mitezza che hanno distinto nostro Signore Gesù Cristo, Profeta, Sacerdote e Re! “Discite a me quia mitis et umilis corde sum”. Discite a me non é detto per altre cose. In un’altra occasione dice “exemplum dedi vobis” ed ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Solo in questi casi Gesù si propone come modello ed é significativo.
Umiltà è avere coscienza abituale che ciò che siamo, che ciò che abbiamo, che ciò che possiamo lo abbiamo ricevuto, E’ dono di Dio. Non é detto che non abbiamo ciò che possediamo. Non é detto che non siamo ciò che siamo. E’ detto che é dono di Dio radicalmente. Se siamo così nei confronti degli altri, come possiamo vantarci o imporci? Dobbiamo invece, secondo l’atteggiamento di alcuni santi, muoverci in mezzo agli altri come chi chiede scusa di dare fastidio con la propria presenza. Quindi, una grande mitezza di tratto, “Quia mitis sum et umilis corde” Le caratteristiche della carità descritte da san Paolo si appropriano a questo atteggiamento eminente della carità che è il buon tratto, il garbo,il rispetto verso gli altri, la delicatezza,la finezza. Esprimiamo Gesù Cristo! Alter Christus! Non lo siamo perché celebriamo la messa, lo siamo quando stiamo con gli altri! Quando stiamo con gli altri esprimiamo Cristo che afferma discite a me quia mitis sum et humilis corde.
Indubbiamente per edificare gli altri Chiesa noi dobbiamo essere delle persone socievoli. L’educazione del carattere è uno dei punti critici della nostra formazione. Dobbiamo temperare certe sfasature, correggere certe eccessività, rimediare per arrivare alla socievolezza, alla capacità di intessere dei rapporti: per intrattenere le persone, per polarizzare le persone non per fermarle alla nostra persona ma perché passino da noi e arrivino a Cristo.
Una certa spiritualità di tipo monastico ha impresso in noi dei tratti che sono tutt’altro che socievoli. La fuga dal mondo, certi proverbi della imitazione di Cristo, sono proverbi nel loro contesto e per i monaci, ma non sono per il nostro ministero. “Ogni volta che sono stato con gli uomini sono tornato meno uomo”. Noi siamo fatti per state in mezzo agli uomini e dobbiamo uscirne più umili, più arricchiti dopo avere arricchito. E’ il nostro compito. Una riservatezza male intesa ci isola. Si diceva: casa e chiesa. Potrebbe sembrare un programma di vita sacerdotale. Forse si dovrebbe dire: non case dove trascorrere il tempo in chiacchiere, ma case nel senso di luogo dove stabilire dei rapporti.
Come dovrebbe essere normale la visita domestica! Quante attività particolari si svolgono nella casa! Si capisce, secondo gli ambienti e i contesti, con la prudenza il buon senso pastorale …ma andare nelle case! Non vengono in chiesa? Riceviamo l’ordine, il potere, soprattutto la grazia di andare? Andiamo nelle case! Ci vuole quel tale equilibrio per cui, questo andare non ci porti fuori, non ci separi da nostro Signore Gesù cristo, ma andiamo a cercare Gesù Cristo nei nostri fratelli e andiamo a portare Gesù Cristo ai fratelli.
Certo è che tutto questo richiede una visione di fede, una tale visone soprannaturale delle realtà che ci circondano e un tale senso soprannaturale dei nostri rapporti con gli altri, che impegnano molto di più di quanto non impegnino il monaco a stare nella clausura, nella cella, nel convento. Lì si supera tutto fuggendo, qui invece bisogna superare gli ostacoli, i pericoli, andando dentro, mettendosi dentro.
E’ tutto un altro atteggiamento, che riguarda la spiritualità del sacerdote in cura d’anime, che noi poco per volta dobbiamo scoprire, approfondire, assimilare per essere secondo la volontà di nostro Signore Gesù Cristo, nel mondo e non del mondo. Ex omnibus pro omnibus, questa é la volontà esplicita di nostro Signore Gesù Cristo.
E pace!
OM 95 Martina Franca_08 1967