Premessa teologica
Una speciale effusione dello Spirito Santo è stata assicurata agli Apostoli perché avessero la capacità di compiere i grandi uffici loro concessi da Gesù Cristo così che fosse continuata l’opera della salvezza; gli Apostoli conferirono lo stesso dono ai loro collaboratori e successori con la imposizione delle mani: dono che é stato trasmesso fino a noi per mazzo della consacrazione episcopale. Per questa disposizione di Cristo, il vescovo é il continuatore insostituibile e il garante più autentico ed efficiente della azione salvifica di Cristo stesso nella sua Chiesa.
Gli uffici che possiede il Vescovo in conseguenza della sua consacrazione sono tutti di natura sacramentale, sono, cioè, condizionati ad espressioni sensibili che devono,in vario modo, essere percepite da coloro per i quali si esercitano.
Gli stessi uffici poi vengono, sempre per la imposizione delle mani, in diverso grado partecipati ai Presbiteri e ai Diaconi, perché diventino provvidi e necessari collaboratori dei Vescovi. E ‘ proprio dei Presbiteri di “rendere presente in certo qual modo il Vescovo” nella comunità locale ,di “farne le veci” e di “agire a suo nome” in modo tale che attorno al Vescovo si aduni la vera Chiesa di Cristo e di questa Chiesa egli sia il perno dell’unità.
E’ nella natura delle cose che l’esercizio del ministero dei Presbiteri corrisponderà alle intenzioni istituzionali di Cristo e della Chiesa in quanto sarà “significato” con evidenza che esso rende presente il Vescovo, è compiuto in sua vece, é fatto a nome suo.
Questo comporta che, in concreto, il Vescovo assicuri ai fedeli a lui affidati i frutti della pienezza dei suoi uffici, anzitutto in modo personale e che sia in condizioni di attendere prevalentemente all’esercizio del ministero; in secondo luogo poi, che i rapporti con i suoi sacerdoti siano a livello di una “familiarità effettiva, in modo che sia evidente la loro ”rappresentanza”.
Solo in questo modo si garantisce alla comunità locale, alla Chiesa particolare e perciò alla unica Chiesa di Cristo tutta la ricchezza della efficacia dei mezzi salvifici di cui Egli la volle dotata.
D’altra parte, la situazione del Vescovo nella Chiesa é, sempre secondo la volontà di Cristo, quella di membro che deve realizzare non solo a livello giuridico, ma a quello teologico una vera comunione con il capo e le membra del corpo episcopale.
Questo secondo elemento dell’ “essere” episcopale è importante come la consacrazione sacramentale. Se questa ha, per così dire, lo scopo diretto di assicurare la salvezza ai singoli, la comunione episcopale tende, sempre secondo una componente di efficienza legata a una espressione sensibile, a comporre l’unità dei chiamati alla salvezza, che é il traguardo finale del piano di Dio: ut unun sint (cf.L.G.9).
Tenuto conto che lo scopo di ogni attività nella Chiesa é la edificazione della Chiesa stessa,«prende il dovuto risalto l’esigenza insostituibile di una concreta “comunione episcopale”.
Le realtà teologiche qui brevemente e in qualche modo richiamate devono stare alla base di ogni struttura giuridica con la quale si organizza in concreto la Chiesa nel luogo e nel tempo.
Premessa storico – pastorale
La situazione ecclesiastica italiana é caratterizzata da numero elevato di Diocesi. Questa situazione però,a ben guardare desta preoccupazioni di natura pastorale soprattutto per le condizioni in cui si vengono a trovare i Vescovi, piuttosto che il loro numero.
Le condizioni quasi abituali del Vescovo italiano sono quelle di uno che è costretto a fare cento cose, più il Vescovo. Non é un paradosso: il Vescovo deve preoccuparsi e in parecchi casi occuparsi dell’andamento economico della diocesi, del Seminario, dell’azione apostolica dei Sacerdoti e dei laici, della disciplina, dell’attività burocratica, ecc. Di più la sua azione, e questo non è solo fino ad oggi dei soli Vescovi italiani, è concepita in modo autonomo e individualista rispetto a quella dei Vescovi che lavorano ai confini territoriali della sua Diocesi.
La condizione di non potere disporre contemporaneamente di persone competenti e in numero adeguato,di strutture edilizie e organizzative,di mezzi economici e attrezzature appropriate , costringe il Vescovo ad una attività “eterosalvifica” con scarsi risultati e dispendio, senza adeguata contropartita,di energie personali e finanziarie.
La mancata “comunione episcopale” che ha la sua iniziale e concreta attuazione dai rapporti pastorali coi Vescovi circostanti, costituisce prima di tutto una carenza ecclesiale come si è visto, di natura teologica; ma non é priva di conseguenze anche da un punto di vista dello studio,dell’ordinamento e della esecuzione di un piano pastorale, il quale risulterà tanto più valido quanto più in esso confluiranno risultati di studio, scelta e disponibilità di persone e di mezzi e porterà la nota della uniformità in tutto ciò che esigono le comuni situazioni di un’area demografica.
E’ chiara la necessità di unificare energie personali, gli organi formativi, esecutivi, burocratici, amministrativi ecc.; é chiara la conseguenza che ogni Vescovo godrà i frutti di questa unificazione e ne disporrà non in modo personale ma collegiale; altrettanto ovvia é la conseguenza che tra i Vescovi di cotesta comunione vi sia uno che la presiede.
La figura del vescovo Ausiliare Residenziale
Perché siano salvi ed effettivi i principi premessi parrebbero auspicabili questi punti:
1) il Vescovo Ausiliare Residenziale gode di tutte la prerogative che gli derivano dalla consacrazione episcopale;
2) la giurisdizione canonica, che rende operante quella che gli proviene dalla consacrazione, non è ordinaria, ma delegata o dalla Autorità superiora o dal Vescovo “titolare” (nel senso civile del termine ,per esempio: titolare di una cattedra);
3) ha autorità diretta sui Sacerdoti che gli vengono affidati, è responsabile dell’incremento della loro formazione e della loro disciplina; il loro ricorso al Vescovo titolare è condizionato allo “ascolto” ( audito) dell’Ausiliare;
4) gode di un suo consiglio presbiterale con la sola funzione di rappresentare, favorire e incrementare l’unità tra i Sacerdoti locali e con quelli di tutta la Diocesi, a questo fine uno o alcuni dei membri di codesto Consiglio facciano parte di quello diocesano;
5) entra, di diritto, nello studio dei piani di pastorale diocesana, nella formulazione delle direttive di disciplina e di apostolato, partecipa alla designazione degli uffici dei Sacerdoti e dei laici, fa parte del consiglio diocesano di amministrazione. Il valore consultivo o deliberativo del suo voto è stabilito dall’Autorità Superiore.
Il Vescovo titolare della Diocesi ha giurisdizione ordinaria e immediata in tutta la Diocesi, compreso l’ambito in cui esercita il suo ministero di Vescovo Ausiliare Residenziale: l’esercizio della medesima è sempre arricchito dal valore della collaborazione di uno o più membri del corpo episcopale, anche se temperato da un voto che già nell’attuale legislazione canonica è detenuto da semplici sacerdoti.
Carlo Ferrari Vescovo
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ST 173 Vescovo Ausiliare 1967