Non dire mai falsa testimonianza contro il tuo prossimo
Disco della serie ” I dieci comandamenti”
Premessa
“Non dir mai falsa testimonianza contro il tuo prossimo” (Es 20,16) non viene all’ottavo posto in ordine di importanza nel Decalogo della morale cristiana, ma è piuttosto il coronamento dei precetti che sono prima e quindi suppone il loro adempimento e costituisce un grado più elevato ed esteso di perfezione morale.
Di più in una prospettiva veramente cristiana è il precetto che realizza più a fondo le origini trinitarie e le dimensioni ecclesiali e cristocentriche della vita morale.
Questa affermazione deve essere ben chiarita per la comprensione della morale cristiana in genere e in particolare per quella a cui ci impegna l’ottavo comandamento.
La morale cristiana e il dovere della sincerità non derivano dalla semplice volontà di Dio espressa nei Comandamenti, ma sono una esigenza intrinseca che nasce dai nostri rapporti soprannaturali con Dio e dalla condizione nuova di vita in cui ci pongono questi rapporti.
Rispetto a Dio i cristiani sono figli del Padre, fratelli al Figlio di Dio, amici dello Spirito del Padre e del Figlio. Come figli di uno stesso Padre, fratelli del suo Primogenito e amici dello Spirito Santo anche i nostri rapporti vicendevoli diventano analoghi a quelli che intercorrono tra le divine Persone: come le tre Persone sono un Dio solo, così tutti noi siamo figli di una sola famiglia, membri di un solo popolo, pietre di un solo edificio. Tutto questo il Padre lo ha disposto per noi, per mezzo di Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Fratello.
Il nostro nuovo rapporto con le divine Persone, a sua volta, non è esteriore e di nome soltanto, ma è una realtà concreta, che consiste in una partecipazione misteriosa alle relazioni di vita che intercorrono tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: noi siamo introdotti nella famiglia di Dio nel senso del movimento vitale che circola tra le divine Persone.
Questo senso ha una portata essenziale per la comprensione del ruolo del nostro comandamento nella partecipazione alla vita di Dio.
Purtroppo la nostra catechesi non ci ha abituato a questa prospettiva e riesce certamente faticoso da parte nostra entrare in questa visione delle cose e lo stesso linguaggio presenta delle difficoltà; ma pure non dobbiamo abbandonare lo sforzo e la costanza richiesti per scoprire le linee del Piano di Dio, nel quale dobbiamo entrare e camminare per arrivare alla salvezza.
In parole schematiche che non esprimono dei semplici concetti, ma che riassumono la meravigliosa storia della nostra salvezza, la direzione o il senso del movimento della vita che circola tra le Divine Persone si può rendere così: il Padre è Padre perché si esprime tutto infinitamente nel Figlio; il Figlio è Figlio perché manifesta tutto ciò che è il Padre, è la Parola che lo esprime totalmente, è la sua Verità; il Padre e il Figlio comunicano totalmente alla pienezza del loro essere da congiungersi nell’abbraccio infinito ed eterno del loro reciproco Amore: Spirito Santo; così che il movimento della vita in Dio si svolge e si racchiude nel senso della Verità e dell’ Amore. Se il Figlio non fosse tutta la Verità del Padre non sarebbe Dio, se lo Spirito Santo non fosse tutto l’Amore del Padre e del Figlio non sarebbe Dio.
Noi siamo chiamati a comunicare a questa vita di Dio per diventare suoi figli e suoi amici e la verità e l’amore a cui partecipiamo per l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio, devono a loro volta diventare gli elementi di vita che circolano nelle nostre relazioni. La verità che anima la nostra sincerità è una partecipazione alla verità di Dio che è il suo Figlio e la spinta a comunicarla ai nostri fratelli è l’amore che Egli, per mezzo del suo Spirito diffonde nei nostri cuori; è la legge espressa da S. Paolo agli Efesini che regola i rapporti tra di noi e segna la via del nostro sviluppo spirituale: fare la verità nella carità (Ef.4,l5). La sincerità cristiana è una espressione di amore.
Il mistero delle relazioni trinitarie è diventato il mistero delle nostre relazioni cristiane, costituito dai vincoli soprannaturali che fanno l’unità misteriosa della Chiesa, la quale ha nel cristo, incarnato, morto, risuscitato e asceso al cielo, il suo fondamento, la sua pietra angolare, il suo capo.
Questa visione trinitaria, ecclesiale, cristocentrica della vita cristiana trova una sorprendente attuazione nella pratica autentica dell’ ottavo comandamento: esso ci impegna ad essere veri,quindi a cercare la verità ad attuarla e,infine, ad esprimerla.
Essere veri
Il primo dovere è quello di essere veri.
Ognuno li noi si trova in una situazione esistenziale determinata con i suoi compiti e le sue responsabilità e possiede le sue doti, ha come si suole dire, una sua vocazione personale. Non è un numero nella massa, ma sta da persona cosciente e libera, davanti a Dio e agli uomini con un compito preciso Quella di corrispondere alla propria vocazione è una esigenza di verità: prende tutto l’essere di un individuo, lo impegna fino alle estreme conseguenze, lo stimola ad essere se stesso totalmente: a non mancare, a non fallire, a non deludere. Dio e gli uomini hanno bisogno di te!
Ecco un’applicazione: un padre “non dice il falso” non per il semplice fatto che è padre legittimamente, ma perché lo è e si sforza ogni giorno di diventarlo secondo tutta la natura, i compiti, le responsabilità di una paternità vera che si chiede di diventare tutto ciò che può essere per il bene dei figli. Ogni deficienza cosciente,ogni dovere mancato è una falsità nella sua situazione di padre. Da notare che nessuno lo può sostituire in quel compito per il quale solo lui personalmente, in forza di una funzione naturale e di una missione sacramentale ha delle capacità e delle grazie uniche per assolverlo.
Come sono forti le esigenze di essere veri!
Un sacerdote “non dice il falso” se oltre ad segnato dal carattere sacramentale, corrisponde alle esigenze della grazia che lo impegna a far coincidere il suo sforzo di condotta morale, di preparazione e di disponibilità pastorale con quella realtà sacramentale da cui deriva il suo posto insostituibile in seno al popolo di Dio, e nella sua missione.
Un religioso”non dice il falso” a patto che esista una tensione sincera tra il suo comportamento e l’abito che indossa e la regola che professa. [2]
Cercare la verità.
Ma per “essere veri” bisogna “cercare la verità”. Soltanto Gesù Cristo ha potuto affermare: “Io sono la Verità”, perché in Dio è l’espressione infinitamente completa di ciò che pensa il Padre e nei confronti degli uomini rivela con autenticità assoluta tutta la verità che Dio vuole loro manifestare: “Dopo aver parlato nei tempi antichi molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, alla fine,in questi giorni, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.. Questi è lo splendore della sua gloria, l’immagine della sua sostanza, e sostiene ogni cosa con la potenza della sua parola, compiuta la purificazione dei peccati”(Ebr 1,1-3).
Per essere veri dobbiamo perciò cercare quella verità che non è in noi stessi, tanto meno per la presenza in noi del peccato; ma che possiamo trovare soltanto in colui che ci ha concepiti come espressione prolungata della sua Verità, il Verbo, per mezzo del quale siamo stati creati e nel quale abbiamo la remissione del peccato.
La Parola di Dio, il Verbo fatto carne, Gesù Cristo in persona è la verità che noi dobbiamo cercare per essere veri. Non si tratta della ricerca e della scoperta di una verità astratta ma dell’incontro e della conoscenza di una Persona; quella conoscenza che secondo il linguaggio della rivelazione cristiana, ha il significato di apertura di noi stessi a qualcuno che ci illumina e vivifica dall’interno, e che nel caso nostro è una comunione amorosa alla verità di vita che é lo stesso del Verbo in persona, Dio vero da Dio vero.
Siamo nel vivo della mistica della verità. Dobbiamo dire le cose senza falsi pudori delle parole. La mistica non richiama per noi, qualche cosa di mitico oppure di riservato a una cerchia chiusa di privilegiati: è la realtà misteriosa, ma sicura in cui ci introduce Iddio per salvarci e farci figli suoi, è una partecipazione alla verità del suo essere e del suo esistere.
Nella misura in cui Gesù Cristo potrà entrare nel vivo della nostra esistenza per illuminarci con il suo Vangelo e nella misura in cui la sua luce splenderà nelle opere che i nostri fratelli vedono, noi saremo autenticamente veri.
In concreto l’ottavo comandamento ci impegna in una vita di fede, di continuo alimentata dalla Parola di Dio contenuta nei Libri sacri, nella ricchezza della Tradizione e nella interpretazione sicura del magistero della Chiesa. L’ascolto della Parola di Dio nella celebrazione liturgica, la catechesi, la lettura, lo studio, la meditazione della verità rivelata sono, secondo le capacità di ciascuno,dei doveri che riguardano la verità della nostra esistenza e della nostra persona.
Dobbiamo guardarci da una certa poesia delle cose che non abbia riscontro nella realtà, ma non dobbiamo neppure sottrarci al legittimo entusiasmo che la visione delle cose stupende preparate dal nostro Dio suscitano nel nostro spirito e sono destinate ad elevarci e a infonderci fiducia.
Isaia (60,1-6) contempla la nuova Gerusalemme investita dallo splendore della luce del Signore, nella quale tutte le genti cammineranno. Questa è la luminosità che Cristo riflette sul volto della Chiesa, la comunità dei credenti, la quale sta come segno elevato per la salvezza di tutti i popoli (LG 1) : è una conseguenza della luce che ogni suo membro porta in se stesso per via della verità che è in lui.
In questa ricerca della verità che ci fa veri e quindi luminosi, ognuno deve cercare la propria luce da riflettere sugli altri. Se ognuno avrà un suo splendore nell’altra vita (I Cor 15,41),questo non è che la conseguenza della luce da cui personalmente ciascuno si è lascito penetrare in questa vita. Mentre c’è un Padre che è Padre di tutti, ogni figlio ha un nome proprio ed ha il proprio posto alla mensa del Padre. Esiste una verità che è di tutti,ma esiste anche la mia verità che appartiene a tutti.
Per essere veri, in altre parole, secondo il senso del piano di Dio bisogna accuratamente cercare il proprio posto, al fine di essere a disposizione per compiere la nostra parte in comunione con tutti e per non lasciare posti vuoti o intermittenze in questa comunione di vita e di esistenza cercare la propria vocazione corrispondere a tutto ciò che ci chiede di sviluppare in noi, e vederla come servizio anche nel senso di complementarietà da offrire ai fratelli significa “cercare la nostra verità”
Fare la verità
Gesù Cristo pone una correlazione tra il fatto che il cristiano è luce del mondo e la conseguenza che questa luce debba riscontrarsi nelle opere
Noi diciamo perciò che “non dire il falso” esige che le nostre azioni siano vere : dobbiamo”fare la verità”. Le nostre azioni devono essere dettate dalla verità a cui siamo pervenuti nel nostro impegno di ricerca, e poste come testimonianza della verità che è in noi.
Il dovere di fare la verità non va però confuso con un corrente “agire secondo le proprie convinzioni”, che può essere ancora onesto finché uno non arriva alla verità rivelata; va invece inteso come condotta ispirata alla verità oggettiva della Rivelazione.
Chi fa la verità porta a maturazione il dono che Dio nel suo Amore infinito gli ha partecipato: dà una risposta positiva all’amore di Dio. Aumenta così quella comunione di vita, quel ricevere e quel donarsi, che costituisce l ‘autentica esistenza cristiana.
La nostra catechesi esprimeva questa verità quando affermava che le opere buone aumentano il merito e la grazia di Dio e diceva una cosa vera; ma di una vicenda eminentemente personale ,esprimeva soltanto l’aspetto quasi utilitaristico e lasciava in ombra l’elemento di un rapporto di vita, più che mai adatto a suscitare senso di responsabilità e conseguente impegno.
E’ un impegno di amore, perché si tratta della nostra risposta all’Amore. La verità cristiana che dobbiamo fare per raggiungere la nostra maturità è quella che realizziamo con opere di amore verso i fratelli,figli del Padre comune. Prendono un senso più chiaro le parole già ricordate di S. Paolo (Ef 4,15):… “vivendo secondo la verità e nella carità, noi cresceremo in tutti i modi rispetto a colui che è il Capo, il cristo”.
Questa maturità che si raggiunge facendo la verità con opere di amore (non dimentichiamolo) , è il risultato della iniziativa di Dio di comunicare in, modo del tutto gratuito la sua stessa vita di amore, la quale richiede di essere “fatta passare” ai fratelli e non arrestarsi a noi, per diventare l’espressione più autentica delle nostre relazioni personali.
S. Giovanni che esprime il messaggio cristiano in termini di “luce” “verità”, “vita”, “carità”, “comunione”, definisce “menzognero”, “bugiardo”, “tenebra” coloro che “non ricevono la luce”, che “non fanno la verità”, che “non amano i fratelli”: questi non hanno la vita di Dio in se stessi e non sono in comunione tra di loro; mentre chi fa la verità va verso la luce, chi ama i fratelli ha Dio in se stesso, chi è in comunione con loro è nella gioia.
Per questo la verità rivelata non può diventare fruttuosa nella esistenza se non diventa feconda nell’amore. Quanto più viviamo la verità nell’amore tanto più la verità divina scende in noi. Conoscere e operare la verità ,equivale a conoscere e operare nell’amore: quando una cresce e matura, cresce e matura anche l’altro.
“Non dire falsa testimonianza al tuo prossimo” ha il suo compimento specifico nel “dire la verità”.
Di qui prende valore l’espressione umana più caratteristica che è la parola, intesa nel senso più ampio di segno atto a manifestare agli altri direttamente ciò che pensiamo, indirettamente, ciò che siamo.
La vita di relazione, essenziale per la esistenza umana poggia tutta sulla parola: se la parola è vera, sono sicure le relazioni con gli altri, se la parola è detta per amore sono pacifiche e costruttive le nostre relazioni.
Il valore della parola è esaltato in modo impensabile nella storia della salvezza. Iddio parla ad Abramo e ai suoi discendenti ; tramite Mosè e i Profeti parla al suo Popolo, alla sua parola lega le promesse e la alleanza; a garanzia delle sue promesse e della alleanza compie le opere della sua potenza; la sua fedeltà alla parola gli fa attribuire il nome di “Dio fedele” ( Dt 32,4 ; 1Cr 1,9)
Venuta la pienezza dei tempi,già l’abbiamo visto, la parola di Dio assume una compiutezza di contenuto, di significato,di espressività letteralmente infinita perché ci parla nel Figlio suo. Parola,Figlio di Dio fatto uomo,Via Verità Vita, Amore, Salvezza si identificano misteriosamente e costituiscono la ricchezza sovrabbondante dei nostri rapporti con Dio e con gli uomini.
L’insegnamento del Concilio ci riscopre il valore della Parola,i suoi rapporti con i Sacramenti e con lo Spirito Santo. E’ Lui in persona che illumina la Parola , ci introduce nella sua comprensione,la rende pienamente efficace unita al segno sacramentale e la costituisce veicolo della verità e dell’amore nella comunità cristiana.
Le nostre parole sono parola di uomini e di cristiani, non soltanto perché esprimono una conformità con ciò che pensiamo, ma perché si conformano alla Parola di Dio, sono alimentate dal suo contenuto,sono un riflesso della sua luminosità e del suo calore,sono dettate dalla fedeltà e dall’amore.
C’é un interlocutore col quale dobbiamo mantenere un discorso aperto per garantire la nostra sincerità: é Iddio. Se nella nostra vita subentra l’abitudine di stare alla sua presenza, se ci ricordiamo che il suo orecchio é intento a ogni nostra parola; se il nostro parlare con Lui é leale, umile, fiducioso; troveremo sempre il motivo e la forza di essere sinceri con i nostri fratelli.
[2] Questi due paragrafi sono stati cancellati nel disco per necessità di abbreviazione
ST 193 Ottavo Comandamento 1967