Nel primo mattino di martedì 1° dicembre 1992, è morto il Vescovo Carlo. Partecipo con questi termini essenziali la notizia ai sacerdoti e ai fedeli, alle Autorità e a tutti i mantovani.
E il mio primo pensiero è, appunto, al mistero sempre doloroso, ma solenne, della morte; in questo caso della morte di una persona che, per il ministero e la sua dedicazione di vita, tra di noi spiritualmente fu Padre.
Nella nostra cultura cristiana, la morte ha anche altri nomi: è “transito”, è “dormizione”, è “sorella morte”; è addirittura “giorno natalizio”: è “nascita a vita nuova”.
Chiedo a quanti vorranno unirsi in raccoglimento e preghiera di vivere così il mistero – e quasi la contemplazione – di questa morte. E di accompagnare con questa fede il Vescovo Carlo al Signore: alla comunione piena con il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; a quel mistero di vitalità e di vita, che Egli ci ha insistentemente insegnato a pregustare mentre siamo pellegrini quaggiù.
Il secondo pensiero è di riconoscenza. Ogni morte anche la più sconosciuta e la più insignificante – è dono per noi. Lo è la morte delle persone più care. Lo è soprattutto la morte di Cristo. E, in questa luce, lo è la morte delle persone che Cristo ha mandato tra noi, per successione apostolica, a insegnare e a celebrare il Vangelo, a illuminare con la loro compagnia – da vescovi – le strade quotidiane della vita.
Noi ereditiamo ora la testimonianza evangelica del Vescovo Carlo. Di uno dei “Padri del Concilio”, che dopo essere stato Vescovo a Monopoli, è stato Vescovo per noi 19 anni.
In Seminario, il 4 novembre scorso, egli ha celebrato tra noi la sua ultima Messa. Ha in quella occasione consegnato con efficace chiarezza il suo testamento di Vescovo nelle mani dei sacerdoti, dicendo: «Siate una cosa sola, e il mondo crederà; tenete tra le mani la Parola di Dio, e siatene testimoni tra la vostra gente!». Poi se ne andò; già molto sofferente ma sereno.
In questa provocazione all’unità e alla testimonianza, purificato ed esaltato dalla morte, è il senso della sua vita e di tutto il suo ministero: non solo per quanto riguarda direttamente noi sacerdoti, ma per il nostro servizio nelle parrocchie; per il nostro primario impegno di cristiani e di chiesa tra la gente.
Lui, che parlava poco ma bene, aveva da dire solo questo. Lo disse con pacatezza e insistenza quotidiana; lo disse da vero Maestro.
Lo disse non solo a parole, ma celebrando con fede, in ogni parte della diocesi, questo mistero di unità e questa promessa di testimonianza del Vangelo.
Noi, mentre preghiamo per Lui, gliene siamo grati. Soprattutto, noi comprendiamo che potremo onorarne la memoria se erediteremo consapevolmente quanto egli ci ha dato ed è ora nelle nostre mani: una tensione inesauribile di comunione e di corresponsabilità; il coraggio di una forte e quotidiana coerenza evangelica, testimoniata quotidianamente nella chiesa e nel nostro vivere sociale.
Egidio Caporello Vescovo
Dal settimanale cattolico mantovano “La Cittadella” 6 Dicembre 1992