Premessa
Oggi che da una parte abbiamo davanti agli occhi tutti i documenti del Concilio e dall’altra i fermenti e gli avvenimenti che travagliano la vita del mondo che si impongono urgentemente alla nostra attenzione e alla nostra responsabilità, fa impressione constatare quanta chiarezza profetica e quanto intuito apostolico ci fosse nella coscienza della Chiesa adunata nello Spirito Santo.
Nel primo numero del documento centrale del Concilio i Padri dichiarano: “Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente il dovere di illustrare con maggiore chiarezza ai fedeli e al mondo intero la natura e la missione della Chiesa, che, in Cristo, è come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e della unità di tutto il genere umano, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano conseguire anche la piena unità in Cristo » (cfr. LG 1).
Da queste affermazioni si colgono almeno tre cose importanti che emergono lungo tutto il magistero del Concilio:
1) i Padri non partono da una posizione dottrinale astratta, ma avvertono tra i segni del tempo quanto sia preminente l’aspirazione degli uomini all’unità nella libertà della dignità umana, nella pace, nella giustizia e nell’amore: tutti temi che troveranno uno svolgimento in vari documenti, specialmente nella Gaudium et spes;
2) l’anelito della preghiera con la quale Cristo suggella la sua missione, ut unum sint, inquieta l’animo dei Padri e li spinge e li guida, sorretti dallo Spirito, alla ricerca del senso misterioso dell’unità voluto dal Signore;
3) i Padri per una intelligenza più profonda e una esperienza nuova della realtà della fede e per una grazia singolare dello Spirito scoprono e propongono con una rinnovata chiarezza lo stupendo mistero della volontà di Dio Padre, il suo piano prestabilito e predisposto per l’economia della pienezza dei tempi: ricondurre a un unico capo, Cristo, tutte le cose, sottomettere tutto ai piedi di Lui, collocato al di sopra di tutto, quale capo della Chiesa, che è il suo corpo, la pienezza di Lui che riempie tutto sotto ogni aspetto; tutto suggellato dallo Spirito Santo, come era stato promesso, il quale diventa per i santi la caparra della eredità (cfr. Ef. 1, passim).
Il mistero del piano di Dio soggioga talmente la coscienza dei Padri al punto da imporsi all’inizio di quasi tutti i loro discorsi, da quello della liturgia all’ ecumenismo, dalla Chiesa alla divina Rivelazione, dal decreto sui vescovi a quello sulle missioni e sui presbiteri. Equivarrebbe a dimenticare la naturale portata dell’ avvenimento del Concilio per lasciarsi indurre a ritenere questi preludi dei documenti come degli espedienti di composizione e non cogliervi invece un gioco dello Spirito per ricondurre la Chiesa al nodo delle realtà salvifiche.
In religioso ascolto della parola di Dio i Padri proclamano con fiducia e insistenza che la preghiera di Cristo e le aspirazioni degli uomini secondo il piano salvifico di Dio, trovano la loro concreta attuazione nella Chiesa, luogo, strumento, modello della unità che procede da quella del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, unico Dio.
Questo è il punto da cui è necessario porsi per leggere il Vaticano secondo, per scoprirne il significato, le prospettive, le finalità e raccogliere le indicazioni pastorali; ogni altra lettura non solo è parziale, ma può anche deviarne il senso e portare a delle conclusioni dottrinali o pastorali indebite.
La chiesa e il mistero trinitario
La Chiesa, per la via di una più chiara coscienza del piano di Dio, è stata come nuovamente immersa nel mistero trinitario, come da principio era emersa dalla unità del Padre, del Figlio nello Spirito Santo.
Il mistero trinitario e il mistero della Chiesa non sono mai stati proposti con tanta forza ed ampiezza nel loro mutuo inscindibile rapporto come dal magistero del Vaticano II: una osmosi di vita, una analogia di esistenza, una comunione interpersonale sono le inebrianti conseguenze di questo rapporto.
Il Concilio perseguendo le sue finalità pastorali non si ferma a definire il senso delle relazioni intra-trinitarie e ad esporre il mistero della Trinità, come pure non affronta una definizione della Chiesa. Aderendo alla Scrittura esso mira prima di tutto a manifestare in maniera concreta l’azione che Dio compie per salvare gli uomini: l’azione di ciascuna delle divine Persone nel mistero ecclesiale è descritta senza preoccuparsi se si tratta di proprietà personali incomunicabili o di appropriazione; utilizza semplicemente il linguaggio biblico e lascia ai teologi il compito di precisarlo in modo scientifico.
Le relazioni intra-trinitarie non rimangono una trovata speculativa per accostare il mistero per mezzo della ragione; sono colte come si manifestano negli avvenimenti della Storia Sacra; l’iniziativa del Padre per salvare gli uomini conferisce a tutto l’antico Testamento una tensione verso il futuro, la quale si concretizza nella promessa, nella attesa, nella descrizione anticipata della figura, della missione, della storia di Colui che dovrà venire. Tutto l’Antico Testamento, cioè l’iniziativa e l’opera preparatoria del Padre è riferita al Cristo. La teologia, a cominciare da sant’Agostino, ci dice che il Padre è Padre in quanto non è riferito a se stesso, non ricerca se stesso, ma è tutto per il Figlio, si dona totalmente a Figlio; la stessa cosa si deve affermare del Figlio.
Quando giunge la pienezza dei tempi e viene il Figlio, nato dalla Vergine, siamo di fronte a una tensione di rimando: tutto è riferito al Padre. Si possono distinguere tre tappe nella Rivelazione di Gesù: Dio è Padre, Dio è nostro Padre; Tutto è del Padre, Gesù è del Padre, noi siamo del Padre; Tutto è per il Padre, Gesù è per il Padre, noi siamo per il Padre; in Cristo, con Cristo, per Cristo tutto è riferito al Padre.
Ma, possiamo chiederci, e perché?
La storia non è finita: da tutti i tempi è adombrato un Altro, di cui si parla, che viene promesso, che caratterizzerà i tempi nuovi: lo Spirito Santo.
Da Pentecoste incomincia un’altra era della Storia Sacra: è quella dello Spirito Santo e della Chiesa.
Il Padre è tutto del Figlio e nel Figlio perché lo ama infinitamente, il Figlio è tutto del Padre e nel Padre perché lo ama infinitamente. L’amore infinito del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre non può non essere, non può venir meno: è, come si dice, sussistente, è Persona. Così che lo Spirito Santo è l’amplesso infinito e ineffabile del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre; lo Spirito Santo salda il circolo dell’esistenza abissale e misteriosa dei Tre in un vincolo di unità infinita.
La Rivelazione ci orienta a concepire l’unità di Dio piuttosto come vertice di una comunione dove tre sono uno, invece che nel senso di una specie di derivazione dei Tre da Uno solo.
Ma ritorniamo alla nostra storia. Quando con Pentecoste lo Spirito Santo mette in opera l’azione incominciata dal Padre e compiuta dal Figlio, siamo di fronte a una duplice tensione che corrisponde al duplice principio da cui procede lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio. Nel mondo si stabilisce un dinamismo nuovo. Gli uomini hanno a loro disposizione una nuova capacità di realizzarsi come persone: di non essere più chiuse nelle angustie dell’egoismo individualista, ma di essere aperte alle disposizioni e alla disponibilità dell’Amore.
La missione dello Spirito Santo è la « messa in opera » di una presenza e di un’azione di Dio che ha lo stesso senso, lo stesso movimento e lo stesso impulso di vita e di esistenza quali si sono manifestati in una storia ben precisa: l’azione del Padre che sottopone tutto al Figlio, che a tutto e a tutti dà come Capo il Figlio, è attuale, presente, personificata nella missione dello Spirito Santo; così quella del Figlio di raccogliere tutti coloro che il Padre ha predestinati, chiamati e santificati, perché ritornino al Padre. Il Padre e il Figlio che sono Uno solo e noi (tra di noi) che dobbiamo essere una cosa sola, non è riferimento esemplare, un dovere di natura morale: è il movimento dell’azione di Dio, è il senso della forza della sua grazia, è la nostra vocazione. Lo Spirito Santo che ci è stato dato, che dimora in noi, che diffonde la carità nei nostri cuori non fa altro che introdurci in una corrente di vita che fa della nostra esistenza una comunione con la comunione delle divine Persone e una comunione con i nostri fratelli.
Questa è la missione dello Spirito Santo, questo avvenimento è la Chiesa, la Chiesa è questa comunione.
Precisazioni
Non sento il bisogno di difendermi contro il sospetto di spiritualismo: so di rivolgermi a persone intelligenti e so con molta chiarezza e convinzione che Gesù Cristo, prima di mandare da parte del Padre lo Spirito Santo a dare vita alla Chiesa, ha preparato e stabilito le dodici Colonne del Tempio che si accingeva ad edificare nello Spirito; che diede loro il comando di fare discepoli predicando il Vangelo, battezzando e insegnando i precetti che aveva loro affidato. Però non posso fare a meno di sottolineare due cose:
a) prima di costituire gli Apostoli edificatori della Chiesa, Gesù Cristo li investe di Spirito Santo;
b) ogni ministero e ogni carisma è dato in vista della edificazione della Chiesa.
Siamo nell’ordine dei mezzi divinamente istituiti, quindi certamente carichi della smisurata potenza della grazia di Dio (cfr. Ef. 1, 19) e che non abbisognano di rinforzi umani; ma decisamente destinati, per divina volontà, a un ruolo di servizio per mettere le persone in condizione di attuare quella comunione in cui si compie la finalità del Piano di Dio, cioè la Chiesa.
I documenti del Concilio superano ogni perplessità.
Il tema dell’unità della Chiesa, intesa in senso dinamico vitale ed esistenziale, come unione intima con Dio dei credenti tra di loro, quale sacramento “dell’unità di tutto il genere umano” è il più ricorrente e il più sviluppato tra tutti quelli affrontati dal Vaticano II; l’unità poi proposta come finalità pastorale del Concilio, in quanto coincide con la natura stessa della Chiesa, va, si può dire, infinitamente al di là di quella giuridica e di quella delle strutture e attinge a una esplicita comunione, analoga e partecipe di quella delle Divine Persone: « in religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia il Santo Sinodo aderisce alle parole di san Giovanni il quale dice: annunziamo a voi la vita eterna che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo » (I Giov. 1, 2-3).
“L’eccelso ministero della Parola” dei vescovi, il dovere primario dei presbiteri di “annunziare a tutti il Vangelo di Dio” tendono di loro natura a edificare l’unità della Chiesa: “è infatti proprio per mezzo dell’annunzio apostolico del Vangelo che il Popolo di Dio viene convocato e adunato” (PO 2).
Il vescovo “economo della grazia del supremo sacerdozio” e i presbiteri che fanno le sue veci nelle singole comunità, quando conferiscono i sacramenti, introducono, innestano più profondamente, riconducono i fedeli nell’unità del Popolo di Dio e celebrando la cena del Signore ottengono che “per mezzo della carne e del sangue del Signore siano strettamente uniti tutti i fratelli della comunità. In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la sacra presidenza del vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e unità del Corpo Mistico, senza la quale (unità!) non può esserci salvezza” (LG 26).
“Nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi in mezzo ai loro fedeli si comportino come coloro che prestano servizio… raccolgano intorno a se l’intera famiglia del loro gregge e diano ad essa una tale formazione che tutti, consapevoli dei loro doveri, vivano e operino in comunioni di carità” (CD 16). “Esercitando la funzione di Cristo, Capo e Pastore per la parte che spetta loro, i presbiteri, in nome del vescovo riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità, e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo” (PO 6).
Dunque è fuori dubbio che le strutture giuridiche e sacramentali e gli stessi carismi sono voluti da Dio come mezzi per edificare la Chiesa, mentre le strutture spirituali intese come rapporti di “fraternità animata nell’unità”, di “comunione di carità”, di comunione tra di noi e di comunione con il Padre, il Figlio nello Spirito Santo, sono la Chiesa.
Ma non basta accettare una distinzione tra l’ordine dei mezzi e quello dei fini, è necessario che con serena chiarezza si faccia un giudizio di valore: ci accontentiamo di citare san Paolo (I Cor. 3, 21-23): “Tutto appartiene a voi, sia Paolo, sia Apollo, sia Pietro, sia il mondo, sia la vita, sia la morte, sia le cose presenti, sia le future, tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”.
La Chiesa non sarebbe più quella preparata dal Padre, edificata dal Cristo e animata dallo Spirito se non avesse le strutture gerarchiche e gli strumenti di grazia di cui è divinamente dotata; ma tutto questo passa e ha solo ragione di essere perché serva a ciò che rimane: la comunione nell’unità della carità di tutti i redenti analoga a quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
La Chiesa e il mistero eucaristico
Io non devo dimenticare che sto tentando un discorso sullo spirito della pastorale organica. Il mio sforzo fino a questo punto è stato quello di scoprire sulla scorta del magistero del Concilio, la sorgente, il nucleo vitale e dinamico che stanno alla base del cristianesimo: la Chiesa come comunione interpersonale analoga e partecipe della comunione trinitaria; i rapporti delle Divine Persone, l’una riferita all’altra in uno slancio di un amore infinito che travalica il loro essere e la loro esistenza, per cui sono un Dio solo, come sorgente e modello dei nostri rapporti di persone prese in questo vortice di proiezione verso i fratelli e verso tutti gli uomini e tutto il creato, nell’amore.
Ma quando tutto questo diventa un fatto concreto, un avvenimento che accade, come è richiesto dalla “genuina natura della Chiesa, la quale ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina”?
A questo interrogativo, così complesso e carico delle implicazioni più decisive per l’esistenza autentica ed efficiente della Chiesa, sorprende come i Padri abbiano dato la risposta pertinente fin dalle righe del primo documento del Concilio. Senza esitazione affermano: “La Liturgia… mediante la quale specialmente nel divino sacrificio della Eucarestia, si attua l’opera della nostra redenzione, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” (SC 2).
Più avanti leggiamo:” Tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, …convinti che c’è la principale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche soprattutto al medesimo altare cui presiede il vescovo, circondato dal suo presbiterio e dai ministri” (SC 41).
La continuità, la sicurezza e l’insistenza di affermazioni analoghe, che ritornano negli altri documenti, sono indicative di un principio essenziale insostituibile della espressione concreta, della vitalità e della efficienza salvifica della Chiesa.
Raccogliamo le più significative: « Partecipando (i fedeli) al sacrificio eucaristico fonte e apice di tutta la vita cristiana (da mettere in relazione con: “La Liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua efficienza » di SC 10), offrono a Dio la vittima divina e se stessi con Essa … cibandosi poi del Corpo di Cristo nella santa comunione, mostrano concretamente la unità del Popolo di Dio che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente prodotta” (LG 11).
“Il vescovo insignito della pienezza del sacramento dell’Ordine è l’economo della grazia del supremo sacerdozio; specialmente nell’Eucaristia, che offre egli stesso e che fa offrire e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce… In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la sacra presidenza del vescovo, viene mostrato il simbolo di quella carità e unità del Corpo Mistico, senza la quale non può esserci salvezza” (LG 26).
I vescovi “mettano in opera ogni loro sforzo, perché i fedeli, per mezzo della santissima Eucaristia conoscano sempre più profondamente e vivano il mistero pasquale per formare un corpo più intimamente compatto, nell’unità della carità di Cristo” (CD 15).
“L’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione, cosicché i catecumeni sono introdotti poco a poco alla partecipazione della Eucarestia, e i fedeli, già segnati dal sacro battesimo e dalla confermazione, sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo per mezzo della Eucaristia” (PO 5).
Gesù Cristo “prima di offrirsi vittima immacolata sull’altare della croce pregò il Padre per i credenti, dicendo: – perché tutti siano una sola cosa, come Tu, o Padre, sei in me ed io in te, anch’essi siano uno in noi così che il mondo creda che tu mi hai mandato -, e istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento dell’Eucarestia, dal quale l’unità della Chiesa è significata e prodotta” (UR 2).
« Gli uomini, rinati mediante la Parola di Dio, sono con il battesimo aggregati alla Chiesa, che, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla Parola di Dio e dal pane eucaristico” (AG 6).
“Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità ” (PO 6).
Il ministero dei presbiteri è “incentrato essenzialmente sulla Eucaristia, la quale dà alla Chiesa la sua perfezione” (A G 39).
“Nella frazione del pane eucaristico partecipando noi realmente nel corpo del Signore siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi: – Poiché c’è un solo pane, un solo corpo siamo noi, quantunque molti, partecipando noi tutti di uno stesso pane (I Cor. 10, 17). Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo e individualmente siamo membri gli uni degli altri “(Rom. 12,5) , (LG. 7).
Si faccia caso alla ricchezza di questa ultima affermazione: “E’ pure noto a tutti con quanto amore i cristiani orientali compiano le sacre azioni liturgiche soprattutto la celebrazione eucaristica fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col vescovo hanno acceso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nella effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità “fatti partecipi della natura divina” ; perciò per la celebrazione della Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione si manifesta la loro comunione” (U R 15).
Il Concilio propone il mistero eucaristico in una prospettiva trinitaria, ecclesiale e dinamica; non si tratta soltanto della presenza reale del Signore e della comunione individuale con Lui. Gesù Cristo nel mistero eucaristico è il Capo nel quale il Padre vuole attualmente riportare tutto e tutti, è il Pontefice che riconduce tutti e tutto al Padre; il suo Corpo animato incessantemente dallo Spirito compagina attivamente in se tutti i credenti e, per loro mezzo, tutti gli uomini e tutte le creature. Nel mistero eucaristico abbiamo la testimonianza attuale, nella forma e nella forza del sacramento, dell’amore del Padre che ci dona il Figlio; dell’amore del Figlio che dona se stesso per la nostra salvezza; dell’amore dello Spirito Santo che rende operante l’amore del Padre e del Figlio.
Gesù Cristo, nel mistero eucaristico dà da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue per la vita e la crescita del suo Corpo, che è la Chiesa: ha due intenti di uguale portata, di unirci a se e di unirci tra di noi.
Gesù nell’Eucaristia è il Salvatore che compie il beneplacito del Padre, il quale “volle santificare e salvare gli uomini non individualmente senza nessun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse” (LG 9).
Io non devo dire come si fa la pastorale organica ma donde nasce, si modella e trae la sua efficacia e mi pare di avere indicato una seconda fonte.
Il mistero eucaristico non si esaurisce nella potenza della sua ricchezza salvifica nella sola celebrazione liturgico-sacramentale; “l’Eucaristia, dice il Concilio (PO 5) si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione”, di più: “non è possibile che si formi una comunità cristiana, se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia”, e, il ministero dei presbiteri ”
è incentrato essenzialmente nella Eucarestia, la quale dà alla Chiesa la sua perfezione” (AG 39).
Nella pratica dell’esercizio degli uffici salvifici si è operata una specie di “triticotomia”: ognuno è stato concepito non solo distinto dagli altri quanto alla sua specificazione funzionale, ma lo si è separato quanto alla sua azione vitale; soprattutto, è rimasta in ombra la funzione eucaristico-sacramentale quale “sorgente e culmine di tutta l’attività della Chiesa” (SC 10); si è poi concepito il ministero della parola, al più, come preparazione e disposizione all’azione liturgica e se il cosiddetto «governo» è stato riferito al ministero della grazia, questo era visto solo come sorgente di possibilità di osservare individualmente la legge.
Qui, invece, si tratta di tre funzioni vitali di un organismo e per un organismo vivente; le funzioni vitali sono essenzialmente interdipendenti; sono radicate in un unico organismo, servono per la vita la crescita, la efficiente vitalità di questo organismo destinato ad essere fermento, sale e luce per il corpo dell’umanità intera.
Permettete che si mettano in evidenza alcuni aspetti della centralità e del legame indissolubile del mistero e del ministero eucaristico con quelli della Parola e della Carità.
Il mistero della Parola di Dio, che è contenuto nella divina Rivelazione, consiste nell’avvenimento inaudito del « Dio invisibile, che, nel suo grande amore parIa agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli ad ammetterli alla comunione con se. Questa economia della Rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della Salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini per mezzo di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione » (DV 2).
Tra gli eventi di questa economia tiene il primo posto il mistero pasquale di cui l’Eucarestia è il sacramento che lo rende presente e operante nella Chiesa, perché ogni creatura possa compiere il suo passaggio dalla morte alla vita; a sua volta la Parola anche essa evento della medesima economia, così che l’opera che compie Dio nella Eucarestia è chiarita dalla Parola e la Parola dichiara questa opera e chiarisce il mistero in essa contenuto.
In parole più semplici, l’oggetto centrale dell’evangelizzazione è la Pasqua contenuta ed espressa nel mistero eucaristico e l’Eucarestia costituisce la sorgente sacramentale della efficacia della predicazione.
Il potere di governo che il Concilio descrive in termini di servizio e di carità, trova, si può dire, i suoi elementi costitutivi nel mistero eucaristico. Coloro che «annunziano la morte del Signore», sono i pastori che danno la vita per il loro gregge, perché attuano nella loro esistenza ciò che celebrano nelle azioni sacre e specialmente in quella eucaristica di cui sono ministri. E’ con questa loro dedizione esistenziale, la quale ha come sorgente e modello il Corpo e il Sangue del Signore dato per tutti, che i pastori avviano, danno forma, portano avanti fino alla perfezione il loro ruolo di perno della unità, della comunione, della carità nel gregge loro affidato.
La sottomissione che si richiede ai fedeli, se ha il suo fondamento in quella che Cristo ha tributato al Padre, ha la sua manifestazione oltre che esemplare anche costitutiva nella fedele coincidenza della volontà dei Pastori con quella di Cristo.
Ma il ministero di quelli che reggono il gregge del Signore, oltre la dimensione verticale che si riferisce alla costituzione gerarchica della Chiesa, ha pure quella orizzontale che tende a legare nel vincolo della carità tutti i membri del Popolo di Dio. Separare l’esercizio di questo ministero, tanto in una dimensione come nell’altra, dal mistero eucaristico sarebbe come concepire l’adempimento della legge al di fuori dell’azione della grazia e pensare alla perfezione della vita della Chiesa fuori dal suo centro che è la Eucarestia (cfr. AG 39). E’ proprio perché ci nutriamo di un solo pane che costituiamo un solo corpo (cfr. I Cor. 10, 17).
Il carattere gerarchico della chiesa
Fino a questo punto abbiamo scoperto come elementi unitari del compito salvifico della Chiesa il mistero trinitario che definisce la Chiesa nella sua natura intima, e, il mistero eucaristico, che definisce la natura sacramentale della Chiesa; ora resta un terzo carattere della Chiesa, quello gerarchico: a noi pare che questo sia altrettanto decisivo per intendere il fondamento dell’ azione salvifica della Chiesa o della pastorale organica.
I protagonisti che salvano la Chiesa e che conferiscono alla Chiesa la capacità di salvare sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Sono essi che salvano e rendono efficienti le strutture costituzionali e quelle spirituali della Chiesa: tutto e tutti indistintamente nella Chiesa hanno bisogno di essere salvati dalla misericordia di Dio. La Chiesa intera, poi, istituzioni divinamente stabilite e persone dotate in vario grado e misura di compiti e di doni divini è il segno o sacramento e strumento di salvezza, cioè della intima unione con Dio e della unità di tutto il genere umano: la Chiesa è il luogo privilegiato, è il mezzo e il modello a cui Dio lega la sua presenza fra gli uomini e la sua azione tesa a salvare il mondo; la Eucarestia è il momento forte della sacramentalità della Chiesa.
Al fine di intendere come il carattere gerarchico della Chiesa sia un elemento essenziale della sua natura e della sua azione organica non ci si deve riferire tanto al capitolo terzo della Lumen Gentium quanto piuttosto al secondo capitolo. E i punti da tenere presenti sono due: tutte le funzioni salvifiche hanno per scopo la edificazione della Chiesa; tutti i membri della Chiesa sono partecipi e responsabili delle funzioni salvifiche della Chiesa.
E’ perentoria l’affermazione con cui inizia il capitolo della Lumen gentium sul Popolo di Dio: “Dio vuole santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra di loro, ma vuole costituire di loro un popolo”. La costituzione richiama le principali immagini bibliche della Chiesa le quali mentre la descrivono nella molteplicità dei suoi membri, tutte convergono verso l’unità come al termine finale.
Questo aspetto della Chiesa dell’unità nella molteplicità è la meta a cui tende il Piano di Dio.
E’ contro questo piano del manifesto beneplacito della volontà di Dio e contro l’esplicito ed insistente intento del concilio concepire una pastorale preoccupata della salvezza delle anime e che non si proponga in modo esplicito, diretto, la edificazione di ogni membro del Popolo di Dio nella unità della carità così da risultare “un popolo adunato nella unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4).
Il compito e la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio nella edificazione della Chiesa e nella sua missione salvifica è succintamente espressa in questo testo: « le singole parti portano i doni alle altre parti e a tutta la Chiesa e così tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando le une con le altre e concordemente operando per la pienezza nella unità » (LG 13).
La legge della comunione alla stessa vita, agli stessi beni trova la sua attuazione nella esistenza dei singoli membri della Chiesa, i quali come gli organi e le membra di un solo corpo non possono concepirsi ed esistere se non in vitale responsabile rapporto con ciascuno di esse e con tutto il corpo; così come tutto il corpo si può concepire ed esiste soltanto per il confluire delle funzioni di ogni organo e di ogni membro, le quali dall’apporto che ciascuna dà a tutto il corpo ricevono benessere ed efficienza.
Cerchiamo di analizzare più da vicino queste affermazioni globali. Il testo conciliare dice: ” le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa”. Le singole parti in concreto sono le singole persone nella Chiesa, come le singole categorie di persone; sappiamo che il Concilio ha adottato una divisione bipartita a riguardo delle categorie di persone; esse sono i sacri ministri e i laici come categorie della Chiesa; i religiosi sacerdoti e quelli laici come categorie nella Chiesa. I membri di queste categorie ecclesiali non si distinguono per dignità, perché tutti godono della dignità e libertà dei figli di Dio; sono tutti soggetti all’unica legge del nuovo precetto di amare come Cristo ci ha amato; portano tutti la responsabilità dell’avvento del Regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da Lui portato a compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra, e anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cfr. L G 9). Ciò che nella Chiesa distingue sono i compiti, i poteri salvifici e i carismi: tutti doni di cui Dio fornisce abbondantemente i suoi figli per la comune edificazione della sua Chiesa.
Noi oggi sappiamo quale intenzione abbia guidato i Padri del Concili quando hanno voluto trasferire il capitolo sul Popolo di Dio al posto di quello sulla gerarchia. Avendo descritto la Chiesa a cominciare da ciò che è comune a tutti, prima di passare a trattare ciò che è caratteristico per ciascuno, hanno capovolto le prospettive della ecclesiologia: questo non perché la Chiesa sia una piramide che si edifica dalla base, ma perché è un organismo vivente concepito da Dio e da Lui dotato delle strutture, degli organi e dei doni di vita da cui nasce, cresce e si perfeziona. Quindi la struttura gerarchica della Chiesa non crea delle classi nella Chiesa, ma delle responsabilità di servizio a favore dell’unità nella carità di coloro che Dio chiama a riconoscerlo e a servirlo; le funzioni, gli uffici o i poteri salvifici sono propri di ogni membro del Popolo di Dio, anche se la natura gerarchica della Chiesa esige che queste funzioni siano conferite non solo secondo gradi diversi ma secondo una diversa natura; però ciò che decide della piena efficienza della vita della Chiesa non è tanto che tutte le funzioni siano esercitate ma che ognuno eserciti le sue funzioni, secondo la natura e il grado di investitura sacramentale di cui è dotato.
L’intero Popolo di Dio partecipa della dignità e della funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo; ogni suo membro, per il carattere di cui è insignito dai diversi sacramenti, gode di una diversa capacità salvifica e per la sua parte diventa responsabile della piena efficienza della missione di tutto il popolo di Dio. Qui non è in gioco una efficienza di carattere organizzativo, ma la struttura costitutiva vitale organica della Chiesa, definita da una azione sacramentale. Credo che sia molto illuminante il capitolo dodicesimo della prima lettera ai Corinzi.
Ecco l’eco della legge della responsabilità, e quindi della responsabilizzazione delle diverse membra del Corpo di Cristo, nella coscienza dei Padri del Concilio … « quanto fu detto del Popolo di Dio, è ugualmente diretto ai laici, ai religiosi e al clero … I sacri pastori … sanno benissimo quanto contribuiscono i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati costituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso dell’azione salvifica della Chiesa verso il mondo … » (L G. 30).
Quando poi si dice che il fine dell’attività salvifica è la edificazione della Chiesa e che codesta attività deriva dalla confluenza responsabile dei ministeri, dei compiti e dei doni di grazia di tutti i membri del Popolo di Dio è sottintesa una attività di Chiesa, cioè di persone che stanno e agiscono insieme, in modo comunitario, nel vincolo della carità.
A conferma di quest’ultima affermazione, ecco alcuni brevi richiami: il primo è quello della collegialità dei Vescovi. Essa ha certamente un carattere e delle espressioni giuridiche, ma la sua anima, la sua radice, la sua efficienza la deriva da un fatto di natura carismatica, la presenza unificante dello Spirito Santo che anima e costituisce il corpo episcopale per l’azione del sacramento, il quale mentre innesta pienamente il nuovo eletto nel sacerdozio di Cristo, contemporaneamente lo inserisce in codesto corpo, vertice di carità a cui presiede il successore di Pietro. «Uno è costituito membro del corpo episcopale in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con le membra » (LG 22).
Il secondo è quello dell’unità del presbiterio. I testi che si possono raccogliere sono innumerevoli. Il sacerdote che non ha coscienza che la sua esistenza e la sua azione sono quelle di un membro di un corpo, e che la sua esistenza e la sua azione sono condizionate dal grado di comunione nella carità con tutto il presbiterio, a cui presiede il vescovo, è fuori della realtà della Chiesa.
In quale misura la carità sia l’anima della perfezione religiosa e della vita e dello apostolato dei laici lo si può vedere nei rispettivi capitoli della Lumen gentium e nei decreti Perfectae caritatis e Apostolicam actuositatem.
Da tutto l’insistente e ricorrente insegnamento del Concilio si può concludere: la Chiesa esiste dove c’è unità nella carità, la Chiesa si edifica come unità nella carità, la Chiesa edifica nella unità della carità.
Conclusione
Al termine di questa esposizione più di uno potrebbe pensare:-ma questi sono principi teorici, astratti e troppo lontani dalla esistenza concreta degli uomini del nostro tempo-; io mi permetto di rispondere: liberiamoci e difendiamoci da una mentalità che può derivare da una abitudine a una teologia speculativa. Il Cristianesimo non si compone di verità astratte e di indicazioni pratiche; il Cristianesimo è essenzialmente una nuova creazione, una nuova vita, capace di esprimere creature nuove, che vivono la vita di Dio per mezzo di Cristo nello Spirito; chi si ostina a distinguere tra teoria e pratica può fare anche una certa teologia, ma è fuori del Vangelo di Cristo.
La Chiesa nella sua realtà di mistero, di sacramento, di comunione gerarchica è il cristianesimo.
Che poi con questa realtà la chiesa si inserisca nella concretezza delle realtà del mondo, appartiene alla sua stessa costituzione; il mondo sia nella sua dimensione cosmica come nella sua dimensione umana costituisce l’altro termine dello sconvolgente connubio del libero beneplacito della sovrana liberalità dell’amore infinito di Dio, il quale si incentra nel mistero dell’Incarnazione e si dilata e continua nella Chiesa.
Questa dilatazione e questa continuazione sono come un fatto nuovo che oggi si impone e stimola potentemente la coscienza cristiana e quella dell’ umanità intera. L’uomo di scienza tocca con mano non solo le nuove realtà che scopre nella natura, ma è profondamente colpito da un fenomeno di evoluzione, che per il credente, corrisponde a una creazione in atto che non arriverà mai ad esaurire la ricchezza inventiva della potenza realizzatrice di Dio. Salvo l’immutabilità del contenuto del deposito della fede, noi credenti, a nostra volta, siamo dinanzi a quella più ricca e potente creatività di Dio che si esprime in quella nuova creazione che è il Cristo totale; pensare e comportarci come se la Parola di Dio fosse esaurita nella sua ricchezza e la grazia nella sua forza e la carità nella sua capacità unificante; pensare che le strutture della Chiesa non debbano creare nuove strutture nella Chiesa equivarrebbe a negare le capacità inventive e creative dello Spirito Santo.
Se è vero, come è vero, che la Chiesa con Papa Giovanni, con il Concilio, con Paolo VI è stata investita di una novella pentecoste, noi siamo chiamati urgentemente alla responsabilità di questa ora di formidabili e incalzanti trasformazioni: quella di inventare il futuro.
A questo fine è decisivo per le sorti dell’azione pastorale, che alla inesauribile creatività dello Spirito Santo corrisponda un’altrettanto umile, inesauribile e fiduciosa attività di ricerca da parte nostra. In un mondo nel quale la ricerca è diventata la professione fondamentale dell’uomo, diventa anacronistico che il cristiano cerchi una indicazione di vita nelle formule fatte e si renda responsabile di ignorare l’altezza e la profondità, la lunghezza e la larghezza dell’ inesauribile e ineffabile mistero in cui l’amore infinito di Dio lo immerge.
Questa faticosa esposizione delle inesauribili sorgenti dell’attività della Chiesa, anche se lunga, peccherebbe di una grave lacuna, se non contenesse almeno un richiamo al mistero della croce.
La via attraverso la quale le divine Persone si introducono a partecipare alla loro comunione e a ripeterla tra di noi è quella della croce; il mistero eucaristico è Cristo in persona che ci offre un banchetto dove il cibo e la bevanda sono la sua carne e il suo sangue dato per noi; vivere come membra in uno stesso corpo ed essere le une per le altre diventa possibile quando si cammina per la via della abnegazione e si porta la propria croce ogni giorno al seguito del proprio capo Gesù Cristo.
Sia lodato Gesù Cristo
CENTRO Dl ORIENTAMENTO PASTORALE
00198 ROMA, 3 ottobre 1968
VIA PAISIELLO, 6 – TEL. 8 6 6.3 4 6
Eccellenza Reverendissima,
mi permetto inviare copia delle risposte date dall’Eccellenza Vostra agli interventi che hanno seguito la relazione di martedì 10 alla XVIII Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale, perché, possa rivederla e mandarcela quanto prima per la pubblicazione degli “Atti”.
Sono spiacente che il testo presenti lacune e inesattezze ma la registrazione non sempre é risultata molto chiara.
Ringraziando anticipatamente e scusandomi per l’onere a cui sottopongo l’Eccellenza Vostra, prostrato al bacio del Sacro anello, mi professo dell’ Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mo nel Signore
(don Domenico Chiari)
Eccellenza Reverendissima
Mons. Carlo Ferrari
Vescovo di
M A N T O V A
Risposte di S.E. Mons. Carlo Ferrari agli interventi dal registratore
Le incongruenze denunciate dal nostro amico di Cassano Jonio. La ricordo, sa, Cassano Ionio? Ci sono passato, ci sono stato, ho salutato quel grande Vescovo.
Dunque, le incongruenze tra la teoria e la pratica: si é davvero parlato molto, prima del concilio, di carità? Non credo che ci fosse una prevalenza della predicazione sulla carità prima del concilio. E adesso come stanno le cose?
Ecco la prima osservazione. Nella Chiesa c’é stato un Concilio. Se c’é stato un concilio é perché se ne sentiva il bisogno; se si sentiva la necessità di un rimedio così profondo, così vasto, così vitale come può essere un concilio, vuol dire che indubbiamente da rimediare qualche cosa, c’era.
Quindi non meravigliamoci. Il Concilio, adesso, è terminato da poco, e, pretendere che
tutte le cose siano già cambiate è pretendere troppo. E’ incominciata la metanoia.
E’ anche opportuno, ritengo, tenere presente come siamo arrivati fino al Concilio con la nostra formazione, e come stiamo, dal concilio, portando pesantemente addosso quel tipo di formazione che abbiamo ricevuto in seminario, che poi aveva il suo riflesso nella nostra predicazione, nella catechesi: una teologia quasi prevalentemente speculativa – ci tengo a dire: non è che io condanni la teologia speculativa, ci vuole anche quella, ma ha una funzione particolare, – non si conosceva affatto una teologia concreta storica biblica e così via dicendo, una preoccupazione, cioè, una formazione che nasceva da una preoccupazione moralistica. Si può dire che ad una definizione positiva della grazia, e concreta, e biblica, ci siamo arrivati, non so, massimo 20 anni fa circa, con un po’ di evidenza, non prima.
Questo tipo di formazione era tutta una preoccupazione che derivava da quella definizione del catechismo: vivere in grazia di Dio significa non avere peccati mortali sull’anima. Con i peccati veniali, i predicatori li ho sentiti, per carità li ho sentiti, Sia le suore che i preti, dicevano che i peccati veniali non sono delle cose grosse. Ma è tutta una preoccupazione individualistica.
Nella gerarchia dei valori strettamente morali sapete come era invertito l’ordine. Me lo ricordo. Per esempio, in seminario quando insistevo a dire che il primo comandamento è più importante del sesto comandamento, ho avuto delle reazioni. Non dico dei richiami.
Richiami propriamente no, ma si stentava ad ammettere che le cose stessero così, e che precedentemente, i dieci comandamenti sono una esplicitazione del grande precetto della carità.
Come stavano le cose, lo chiedo a voi. Tanto per dire come siamo arrivati a questa situazione, io non faccio un processo. Ci sono stato dentro, ho le mie responsabilità, perché anch’io facevo così. Ma ringrazio Dio che ha illuminato la Chiesa e ci ha portato tanta grazia, e oggi siamo in condizione di poter capire meglio le cose. In che senso si intendeva la vita comunitaria? Non solo nei seminari: facendo la guardia al pericolo, e sono un pericolo le amicizie particolari.
Ieri dicevo con un mio sacerdote che: poteva capitare che uno fosse escluso dalla possibilità di rilevare il sacerdozio perché era un impertinente, perché parlava sempre in tempo di silenzio, ma vi arrivava tranquillamente uno che teneva rancore ai propri compagni e cose di altro genere. Le cose sono andate così, quindi non ci dobbiamo meravigliare.
Dobbiamo tutti insieme, – questo”tutti insieme”! ( non l’ambiente, lo scopo),- il senso dei nostri lavori, rivederlo. Rivedere tutto senza drammatizzare, senza condannare. Ricominciamo fiduciosamente .
Il Concilio è stato una luce, una luce di Dio, la luce dello Spirito Santo e ha portato l’accento proprio su questo. Guardate che il tema sull’unità, nei documenti del Concilio, è un tema non solo stupendo ma svilupatissimo e allora andiamo a cercare quel tema, prima di tutti gli altri temi, e arriveremo poco per volta a togliere quelle certe incongruenze anche tra i Vescovi.
Voi a Cassano Jonio vi date tanto da fare, e fate benissimo, per salvare la vostra diocesi, ma, quanti qui si trovano più o meno nelle stesse condizioni! Che problema, quando si sente dire che la diocesi ha ragione di essere, quando è autosufficiente e non deve ricevere niente da nessuno! Ma è un concetto di Chiesa questo?
………… registrazione non chiara
Mi raccomando, già che ho il microfono in mano, facciamo una grande distinzione tra i documenti del Concilio: quelli dottrinali e i decreti.
Tra quelli dottrinali, guardate che siamo a posto, abbiamo tutto. I decreti sono un compromesso con una situazione concreta, attuale.
Ecco: quelli dottrinali vanno soltanto approfonditi e assimilati, i decreti bisogna metterci dentro qualche cosa per farli muovere, per smuoverli, per arrivare a vedere dov’è la collegialità dei Vescovi, se la diocesi si concepisce come un’entità che non ha bisogno di nessuno.
Manoscritto Risposta agli interventi
Il nostro amico di Cassano Ionio ha denunciato la incongruenza specialmente nell’ambiente ecclesiastico tra la teoria e la pratica sul tema della carità.
Rispondo: non meravigliamoci e siamo fiduciosi.
Teniamo presente che c’é stato un concilio, che il nostro concilio ha avuto una finalità prevalentemente pastorale che corrispondesse ad un “aggiornamento” a un “ritorno alle sorgenti”.
Questo significa che é stato riconosciuto che nella chiesa c’era qualche cosa da cambiare, che quindi non andava bene; tanto che non si é pensato a un rimedio qualsiasi, ma niente meno che a un concilio.
Il concilio é appena terminato: non possiamo pretendere di vederne già i frutti.
Quanto al nostro tema e tendo presente il nostro ambiente ecclesiastico, pensiamo al tipo di formazione che abbiamo generalmente ricevuto. La nostra formazione, come del resto anche quella dei nostri fedeli, era in prevalenza individualista perché derivava da preoccupazioni moralistiche di fuga dal peccato e di mantenersi in grazia di Dio. La morale era ridotta quasi ad una scienza del lecito e dell’illecito, del peccato grave e del peccato veniale.Lo stesso stato di grazia era espresso in termini negativi (non avere peccati mortali nell’anima), oppure astratti (qualità soprannaturali).
Anche la proposta della imitazione di cristo e dei santi era piuttosto orale, riguardava l’esemplarità del comportamento invece che la sorgente di vita nuova da cui deriva la possibilità della imitazione.
Chi era in grado di pensare che la santissima Trinità fosse la sorgente e il modello della vita cristiana!
Anche per i valori morali non era chiara una giusta gerarchia, quale ci viene proposta dalla rivelazione. Non capitava facilmente che ai dieci comandamenti si premettessero come fondamento i due grandi precetti dell’amore dei Dio e il prossimo. Al limite poteva capitare che uno fosse escluso dalla possibilità di diventare sacerdote perché trasgrediva una regola puramente disciplinare e che lo diventasse invece uno che per temperamento era incapace di comunicare in modo pacifico e pacificante col suo prossimo.
Le cose sono andate così e questo (si intende a grandi linee) é la situazione in cui ci troviamo.
Il piano di Dio é un altro;: non ci vuole salvare e santificare individualmente ,ma come persone che attuano rapporti di comunione con i fratelli; la pedagogia é pure un’altra: propone un modello visibile, Cristo e offre una capacità interiore che deriva dal suo “amore” ,lo Spirito Santo.
Quando il concilio ci propone di prendere coscienza di essere chiesa, di impegnarci a diventarlo, ci propone anzitutto il piano di Dio e la sua insondabile ricchezza di vita e poi ci dice di entrare in un altro ordine di idee, di cambiare mentalità, di convertirci.
La chiesa, la vita comunitaria, la comunione, non sono semplici modi di vita, sono il genere di vita a cui siamo chiamati, sono la vita cristiana.
E’ un fatto. In molti casi bisogna incominciare da capo. Ma ricordiamo bene: non siamo soli, Dio é con noi e il suo Spirito é la nostra forza “da dentro”.
Ricordiamo che la legge di vita del vangelo é espressa in termini di “grazia”, di “lievito”: incomincia da poco, incomincia “da dentro”.
Seconda risposta.
Che cosa ne penso dell’intervento di don Bolzon?
Ne penso bene. Circa alcune sue affermazioni non vi scorgo motivi di apprensione. “La comunità che invia”: si vedano gli atti degli apostoli e relativi commenti esegetici. Ricordiamo che la gerarchia é voluta da nostro Signore, ma é nell’ordine dei mezzi; la comunità é nell’ordine del fine. Quanto questa abbia il diritto e il dovere di essere responsabilizzata é ampiamente indicato dai documenti del concilio; i modi in parte sono indicati e in parte sono da inventare. Noi, sacri ministri, deteniamo molte mansioni ecclesiali che non sono legate alle funzioni che ci vengono dal carattere dell’Ordine e che potrebbero e dovrebbero essere trasferite ai… legittimi titolari che sono appunto i membri della comunità.
“La parola fa la comunità”: é una affermazione pacifica; si veda per esempio il numero 4 del Presbjterorum ordinis che riporta in nota Pt 1,23; Atti 6,7; 12,24 e l’espressione di S. Agostino ” Pradicaverunt (apostoli) verbum veritatis et genuerunt ecclesias”. Inoltre dal contesto si capisce che le celebrazioni a cui si riferisce don Bolzon non solo non escludono la Eucarestia, ma la preparano. Non dimentichiamo che troppe volte abbiamo esaltato la Eucarestia e non abbiamo tenuto conto del legame inscindibile, divinamente stabilito, tra parola e sacramento. Vedi il capitolo 6 di S. Giovanni.
ST 205 Pastorale 68
Stampa sulla rivista IRADES- Atti della XVIII settimana – Roma 1968 –
stampa su la rivista diocesana n.10 1968 pag 410-422 con altri sotto-titoli
Manoscritto n.291, 31 Pagine scritte sulle due facciate e numerate dal Vescovo
Dattiloscritto n 291 con le correzioni manoscritte del Vescovo
Manoscritto n .291: corrispondenza con l’editore: risposte manoscritte agli interventi
OM 205 prima copia dal registratore da confrontare con ST 205 Ciclostilati distribuiti ai sacerdoti di Mantova nel 1968