Gradaro, Domenica 28 settembre 1969 – Assemblea diocesana
Mi scuso del ritardo, che non dipende da me. Tra l’altro ci hanno fatto fare una deviazione particolare per un blocco stradale. Cercherò di darvi prova di discrezione venendo incontro al vostro desiderio che io parli poco e che voi abbiate la possibilità di parlare con libertà e con un adeguato spazio di tempo.
Ci sono situazioni che a volte si esprimono anche con proverbi. Un proverbio che mi dicono sia in circolazione è questo: “Il vescovo aspetta la diocesi e la diocesi aspetta il vescovo”. Questa giornata, credo debba servire principalmente per ravvicinare queste due attese in modo che abbiano a diventare un incontro sempre più stretto e profondo.
Lo scopo immediato della giornata è trovare quelle forme di collaborazione tra tutti noi, per il compimento della missione che Cristo ha affidato alla sua chiesa. Il nostro discorso si punterà particolarmente sull’Azione Cattolica e poi sui Consigli Pastorali.
Per arrivare a comprendere la natura, il ruolo, il modo di attuare questa forma di apostolato organizzato che è l’Azione Cattolica e che sono i consigli pastorali ai diversi livelli parziali, vicariali, diocesani è indispensabile che noi ci rifacciamo sempre alla realtà nella quale è l’Azione Cattolica, nella quale sono i Consigli Pastorale e qualsiasi altra associazione che vogliono operare nella chiesa.
La realtà è il mistero della chiesa ma il mistero della Chiesa come l’ ha definito, manifestato, rivelato Iddio stesso, come lo fa conoscere quotidianamente il mistero di Dio, che è la presenza di Dio nel mondo per salvare il mondo. Di questa presenza la chiesa è il segno e lo strumento.
La salvezza, Iddio la compie nel senso della realtà umana come l’ha concepita e creata, cioè ad immagine e somiglianza sua. Questa natura umana fatta a immagine e somiglianza di Dio porta in se radicalmente tutte le esigenze della vita di Dio, del mistero trinitario di tre Persone che nell’unità della loro vita costituiscono un solo Dio, ossia il mistero dei misteri.
E’ da questo mistero, è ad immagine di questo mistero, è sulla linea di questo mistero che deve attuarsi l’esistenza umana in quell’ambiente e in quello spazio che è la chiesa che perciò, si definisce nella sua essenza come comunione di vita,
come comunione di vita alla sorgente della vita del Padre,
come comunione di vita alla sorgente della vita del Figlio,
come comunione di vita alla sorgente della vita dello Spirito Santo
come comunione di vita alla sorgente che si proietta nel tempo e nello spazio verso tutti i fratelli.
Dalla comunione nell’intimo del mistero della vita di Dio, alla comunione nell’intimo del mistero della vita umana, dico che è un mistero perché questa comunione, in tanto diventa possibile tra noi in quanto c’è la presenza e l’azione di Dio in noi. Questa è la prima affermazione da cui dobbiamo partire sempre e come punto di origine e come punto di arrivo e come strada da percorrere.
Per attuare questa partecipazione alla comunione di vita di Dio e per attuare questa comunione di fratelli, animati dall’azione misteriosa dello Spirito, che anche in Dio è il vincolo dell’unione delle Divine Persone, Iddio ha stabilito il mistero della Incarnazione e della Redenzione dal momento che nel mondo c’è il peccato. Quindi: Gesù Cristo Via e verità e Vita, Quindi: Gesù Cristo cui dobbiamo conformarci per essere figli del Padre, Quindi: Gesù Cristo cui dobbiamo unirci per essere animati da un medesimo spirito, Quindi: Gesù Cristo che deve diventare nostra vita nel senso di realizzare nella nostra persona tutti i misteri che egli ha vissuto come Figlio di Dio fatto uomo.
Questo è il nostro destino per arrivare alla comunione con Dio e alla comunione con i nostri fratelli: “et incarnatus est”, “passus et sepultus est”, “et ressurrexit”: La via è Cristo, il quale opera in noi il mistero di tutto il suo essere, di Figlio di Dio fatto uomo, per l’azione dello Spirito Santo. Il mistero della Incarnazione porta con se delle conseguenze che non si possono eludere. E’ l’incarnazione del Verbo di Dio nella natura umana; è l’assunzione da parte di Dio, nell’unità ipostatica del Verbo, perché per la presenza di Dio, sia elevata, sia santificata, sia resa capace di diventare elemento della comunione di cui abbiamo detto.
Il punto di passaggio, la via stretta, il sentiero da percorrere perché si realizzi l’incarnazione del divino in noi, l’assunzione di tutto il nostro umano da parte di Dio, è la croce: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Seguire Gesù Cristo che va in croce ha il significato preciso di vertice della espressione dell’amore: “amatevi come io vi ho amati”, “affinché conosca il mondo che io amo il Padre, ecco, io vengo per fare la sua volontà”. Quindi Gesù si sacrifica, Gesù va in croce, Gesù annienta se stesso: “exinanivit semetipsum usque ad mortem, mortem autem crucis”.
Gesù ha preso forma di servo come espressione vera di amore verso il Padre e come espressione vera di amore verso i fratelli. La misura del nostro amore, la misura di quell’amore che fa la nostra comunione è condizionata da questo rinnegamento di noi stessi, da questa abnegazione di noi stessi, da questo annientamento di noi stessi perché Cristo possa vivere in noi.
La conseguenza di Cristo che vive in noi è che tutto di noi vive per Dio, quindi, le nostre prerogative essenziali, che ci derivano da nostro Signore Gesù Cristo, diventano la libertà e l’amore: la libertà nel senso di essere liberati, nel senso di non essere più soggetti a ciò che non è Dio, nel senso di avere la forza di camminare nella libertà della quale siamo stati gratificati da Dio, secondo l’amore, per il sangue della sua croce. In ogni nostra azione, in ogni espressione della nostra esistenza – perché possa definirsi cristiana e per poter tendere a quella comunione a cui siamo chiamati – non deve mai mancare l’amore.
Cristo continua questa opera della salvezza, per mezzo della chiesa: per mezzo del popolo di Dio, per mezzo del suo corpo che è la chiesa. Quindi continua ad essere luce del mondo, quindi continua ad essere vita del mondo, quindi continua ad essere guida del mondo, per mezzo di tutti i membri del popolo di Dio, per mezzo delle membra del suo Corpo a cui ha affidato la missione di salvare i propri fratelli.
Non bisogna spingere troppo l’analogia dell’organicità perché verrebbero fuori delle conseguenze indebite, ma Gesù Cristo ha costituito – secondo la volontà del Padre – un popolo organico, un Corpo organico nel senso che ognuno, ogni gruppo, ha la sua funzione, ha il suo compito. Unica è la missione, diversi sono i compiti, diversi sono i ministeri, perché diversi sono i doni, perché diversa è anche la misura della grazia. Ognuno deve compiere il proprio ministero. Ognuno deve mettere a profitto dei fratelli i propri doni di grazia.
Di qui ne deriva, come conseguenza naturale e costitutiva, che tutti dobbiamo lavorare insieme, ognuno al proprio posto, per l’edificazione del Corpo di Cristo che è la sua chiesa, per adunare e compaginare il popolo di Dio che è la sua chiesa. Quando si dice “ognuno al proprio posto” non significa che nella chiesa: un posto é più alto e un posto è più basso. Qui le valutazioni non ci devono essere. Guai a misurare i ministeri, i compiti, i doni, secondo dei criteri che non siano i criteri della fede!
Gesù Cristo che è Signore, che è Capo non è venuto per essere servito ma per servire e ha lavato i piedi ai suoi discepoli. “Io maestro e Signore”, quindi, tanto più uno è investito di compiti che, sono definiti importanti, – come ci si può esprimere tra uomini – tanto più deve farsi servo.
Questi sono alcuni principi da cui dovrebbe sempre partire il nostro discorso. Forse ne ho tralasciato qualcuno che può essere importante. E’ perché il discorso è troppo complesso. Siamo davanti ad una realtà che ci sorpassa infinitamente. Adesso dobbiamo riconoscere con umiltà, con lealtà, con franchezza, con la libertà di cui siamo dotati, per il fatto che Cristo ci ha liberati, che ognuno nella chiesa ha realmente il suo posto e ognuno nella chiesa deve stare al suo posto. Oggi si realizza in misura minima.
Qui ripeto ciò che sono solito ripetere: se le cose andavano bene, nella chiesa non sarebbe stato necessario un concilio, se le cose nella chiesa andavano bene, il post – concilio non si sarebbe rivelato così difficoltoso per “calare” tutta quella luce e quella grazia che Dio ha regalato alla sua chiesa per i tempi nostri. Ma noi dobbiamo arrenderci e scoraggiarci perché ci sono delle difficoltà? Dobbiamo abbandonarci al pessimismo perché ci sono degli ostacoli? Anche se io avessi coscienza di essere il più grande ostacolo devo dirvi: sarebbe poca la nostra fede se non credessimo che Gesù Cristo salva la chiesa e il mondo proprio in queste situazioni. E’ Gesù Cristo che salva.
Durante il concilio ci furono degli interventi che davano l’impressione che fossimo noi a dover salvare la chiesa. E’ Gesù Cristo che salva la sua chiesa. Naturalmente non la salva senza di noi. Naturalmente esige la nostra collaborazione, ma manifesta la sua potenza specialmente quando si sono gli ostacoli che derivano dalla nostra resistenza. Se nella lotta fosse Dio a soccombere, non sarebbe più Dio. Questo non vuol dire mettere le mani in tasca e aspettare i miracoli, ma vuole dire che dobbiamo riporre tutta la nostra fiducia nel Signore.
Domenica 28 settembre 1969
assemblea per l’Azione Cattolica -seconda parte –
Accetto di parlare in quanto la parola del vescovo mette fine a tutti gli interventi e alla lunga discussione che si è verificata oggi. Premetto che la mia parola non è impegnativa anche per le condizioni in cui uno si viene a trovare dopo certe settimane di adunanze quotidiane e dopo una giornata come questa. Ringrazio il Signore perché avvengono di questi incontri e ritengo che siano validi. Chiedo scusa personalmente in quanto parte della responsabilità è mia, ma in parte è anche dei miei collaboratori, perché questi incontri non sono preparati sufficientemente bene.
I rilievi che sono stati fatti sono accettati, e nei limiti del possibile sarà tenuto conto di quanto avete detto perché l’incontro sia più proficuo. Non manca la buona volontà ma siamo a questo punto delle nostre capacità.
Circa il contenuto di questo incontro devo dire che avete detto delle cose molto disparate, ma anche molto valide. Tutte non si possono accettare ma altre valgono e compensano le affermazioni che erano indubbiamente lacunose e anche non sostenibili.
Il discorso rimane sempre: il Vescovo e la diocesi, che cosa vuole la diocesi e che cosa vuole il Vescovo.
Non potete immaginare quale gioia mi abbiano dato alcuni vostri interventi quando è stato ribadita la necessità di mettersi in ascolto della Parola di Dio e di alimentare la nostra vita comunitaria intorno alla Eucarestia alla quale presiede il vescovo. Questo mi incoraggia a mantenere una certa posizione che mi pare giusta.
Se oggi c’è una crisi nella chiesa è determinata soprattutto dalla nostra fede. Noi tutti siamo interpellati su questo punto. Ricordo sempre l’impressione che mi ha fatto, durante un corso di esercizi predicato da don Mazzolari, la domanda se avevamo la fede. Questa domanda dobbiamo farcela non per cercare delle accuse o delle scuse. La fede in mezzo a noi c’è, si alimenta, cresce, prende le sue dimensioni che sono le dimensioni della vita cristiana, quando è alimentata dall’ascolto della Parola o, come dice la costituzione “Dei Verbum”, quando si partecipa alla mensa della Parola di Dio e del Pane eucaristico.
Mi permetto di dire: – è una convinzione dalla quale non mi distacco nonostante tutto – che il voler condurre avanti contemporaneamente contemplazione e azione può essere pericoloso e illusorio. Siamo così fatti che, abbiamo bisogno di un tempo per fare una cosa e di un tempo per trarre le conseguenze di quella cosa fatta prima.
Nel caso particolare nostro: noi possediamo veramente la Parola di Dio? Siamo proprio posseduti dalla Parola di Dio così che il nostro modo di vedere, il nostro modo di giudicare, le nostre scelte, il nostro comportamento, sono proprio una conseguenza di quella luce e di quella forza che viene dall’ascolto della Parola di Dio ?
L’ascolto della Parola di Dio esige il suo tempo, esige il tempo della preghiera, esige il tempo dell’incontro di Dio che parla. La Preghiera non è soltanto: noi che parliamo con Dio. La preghiera è soprattutto: Lui che ci rivolge la sua parola per stabilire un colloquio con noi e introdurci nella sua intimità di vita. Lo facciamo questo?
Mi pare che molte volte siamo presi dalla preoccupazione della incarnazione del nostro cristianesimo nei mezzi e negli strumenti. Questi non sono negati né esclusi, ma se il segno o lo strumento non è pienamente animato, non è il più intensamente possibile animato dal contenuto che deve esprimere, che cosa sono mai i nostri “segni” anche se fossero perfetti?
Mi riferisco all’intervento di don Fiorini. Ammesso che domani, noi preti non siamo più clericali, ma non abbiamo vita interiore, ma non abbiamo fede e prendiamo questo nostro stile di vita per dei motivi sociologici o di costume e non come conseguenza della nostra fede, della nostra preghiera, della nostra unione con Dio, credete che siamo vicini ad essere “segno” visibile di quella realtà che dobbiamo comunicare ai nostri fratelli? L’espressione esteriore può essere più adeguata alle esigenze dei nostri fratelli, ma se manca il contenuto, non si può essere: quello per cui noi siamo stati mandati nel mondo a favore dei nostri fratelli.
C’è stato in mezzo a quest’assemblea una certa preoccupazione per la “elite”. Stiamo attenti. Nella chiesa non ci devono essere le elite nel senso corrente della parola. Le diverse parabole con le quali nostro Signore Gesù Cristo ha voluto illustrare il regno di Dio e la Chiesa, che è lo strumento della realizzazione di questo regno di Dio, ci dicono che il piccolo seme, il levito, la lucerna, il piccolo gruppo alimentato dalla Parola di Dio e dal pane eucaristico, diventano fermento per tutta la massa di farina. Non parliamo della massa in senso sociologico. Questa è la legge di tutta la storia della salvezza: dal piccolo resto si ricostituisce sempre il popolo di Dio. Quindi non “elite” ma “fermento”.
Prendiamo praticamente anche una piccola parrocchia. Voi credete di fare un’autentica comunità con 500 persone?
Credete voi che quando io ho la soddisfazione, davanti a 2000 persone, di fare una bella omelia in S. Andrea, – perché in duomo le devo tenere corta! – abbia parlato ad una assemblea liturgica? Non parlo ad una assemblea ma parlo veramente ad una massa di gente, che non fa assemblea perché non sono persone nella condizione di comunicare tra loro.
Allora ci vogliono queste piccole comunità di base aperte che non escludono nessuna comunità, nemmeno l’Azione Cattolica! Chi sa perché bisogna accettare tutti ma bisogna mettere fuori l’Azione Cattolica! Niente paura di “elite”, ma rispetto della legge del Vangelo. Non illudiamoci di poter fare delle comunità parrocchiali nelle dimensioni delle nostre parrocchie. Noi dobbiamo fare delle comunità nelle nostre parrocchie e non dei ghetti o dei circoli chiusi altrimenti non arriviamo a fare la vita cristiana.
Che cosa penso dell’Azione Cattolica.
(dal registratore: il vescovo dà per scontato la lettura di fogli distribuiti in assemblea)
Forse non siete arrivati fino in fondo alla lettura dei fogli che vi sono stati distribuiti dove si parla di disposizioni preliminari per una proficua collaborazioni tra laici e pastori sacri. Vi mettevo come in un interrogativo, e nessuno ha risposto, – si possono individuare… unione con Dio per mezzo di Gesù Cristo nel suo Spirito?
– Ci vuole questo, per fare l’Azione Cattolica?
– Uno che ha questa prima disposizione, può fare dell’apostolato nella chiesa?
– Conoscenza e competenza della Parola di Dio, delle leggi della grazia e della carità con particolare riferimento alle proprie esperienze specifiche
…Se accettano liberamente di collaborare, perché non si può parlare oggi di lavorare nella chiesa, ma di collaborare perché si è in una famiglia, perché si è membra di uno stesso corpo, perché si è membri dello stesso popolo.
…Allora per fare una collaborazione nel senso della missione specifica della chiesa, cioè quella di evangelizzare il mondo santificandolo e unendolo nella carità, ci vuole una competenza della Parola di Dio, ci vuole una conoscenza delle leggi della grazia e della carità, con particolare riferimento alle proprie esperienze specifiche.
…Disponibilità a operare nel senso dell’unità non a operare in qualsiasi modo.
Quindi niente paura dei gruppi liberi o dei gruppi spontanei purché ci sia questa disponibilità ad operare nel senso dell’unità senza della quale, disponibilità, non può esserci azione di chiesa, quindi non ci può essere azione pastorale di nessun genere.
Consigli pastorali.
Dico tutte le cose che avete detto voi oggi.
Raccolgo tutte le cose che voi avete letto oggi.
Andrebbe che voi deste delle indicazioni più precise.
Vi domando: è proprio vero -non è per esimermi o per difendermi – che l’esempio deve venire dall’alto, cioè che bisogna, prima, costituire il consiglio presbiterale diocesano e poi gli altri consigli ad un livello più basso- per esempio, quelli vicariali e parrocchiali?
Mi permetto di dire questo, ma accetto di essere contraddetto, data la struttura della nostra diocesi dove le parrocchie piccole sono prevalenti e dove il consiglio pastorale difficilmente sarà attuabile per essere il consiglio pastorale.
Il consiglio pastorale di don Mossini non è -per me – un consiglio pastorale. D’altronde come farebbe, lui, a mettere un consiglio pastorale in una parrocchia piccola se esclude quelli dell’Azione Cattolica?
Se invece il consiglio pastorale si fa ad un livello vicariale mi pare che le cose diventino più facili. Sì e no!
Voi sapete che io mi sono impegnato, e sa il Signore che cosa sapremo fare con la sua grazia, di dare una consistenza essenziale ai vicariati, non di fare altrettante piccole diocesi, ma di fare delle espressioni concrete di chiesa con una dimensione più umana attraverso i vicariati.
Mi sono impegnato di fare la visita pastorale vicariale per dare tutto quello che posso, affinché il vicariato diventi veramente una espressione di vita in mezzo ai sacerdoti prima di tutto, e poi in mezzo ai laici, in qualsiasi modo impegnati e conseguente in mezzo alle popolazioni che costituisce il popolo di Dio in quel vicariato. E’ anche per questa ragione che io darei una preferenza al vicariato. Il vicariato potrebbe esprimere tutte le situazioni della diocesi.
Questo è il mio pensiero ma sono disposto ad accettare anche il vostro pensiero. Io m’impegno ad ascoltare il consiglio presbiterale il quale sarà incaricato di interpellare i sacerdoti del vicariato e i laici del vicariato. Questo è ciò che mi prometto – ripeto -non per attuarlo un futuro troppo lontano
Se avessi la preoccupazione di rispondere a… risponderei: per me sarebbe facile mettere sulla carta 20 o 30 nominativi e dire: “questo è il consiglio di pastorale, ma non farei una azione onesta, anche se nessuno potrebbe dirmi niente. Però, se ci sono altre vie, oltre a quelle indicate, per fare sì che si possa dare inizio a un consiglio pastorale diocesano, io volentieri le accetto e le favorisco.
OM 230 sacerdoti 69
Gradaro, ore 10,30 – Domenica 28 settembre 1969 Assemblea diocesana