Bozzolo – 23 Aprile l969- X Anniversario della morte di Don Mazzolari
L‘onestà vuole si ammetta che oggi il sacerdote, come dice il titolo di un libro recente[1] e che pare molto valido, «è alla ricerca di se stesso ». Il sacerdote oggi come sempre ritrova, nonostante tutte le questioni sollevate in campo teologico, la sua definizione dalla Parola stessa di Dio; il sacerdote può ritrovare lo scopo della sua esistenza nelle funzioni che gli sono proprie, ma questo non basta a farlo uscire da uno stato di disagio in cui si trova nella situazione attuale del mondo in cui vive. E’ innegabile che egli si trova combattuto, quasi lacerato da due tensioni, quella di essere fedele a Dio e quella di essere fedele ai propri fratelli. Si parla sovente del sacerdote come l’uomo senza mestiere, della sua come di una professione perplessa, di crisi di identità. Il prete non saprebbe più chi egli sia, non troverebbe più nell’attesa dei fedeli un’immagine chiara di ciò che egli deve essere e deve fare. Parecchi preti si sentono, o credono di essere diventati, personaggi inutili. Ci si domanda per sino se c’è un domani per il prete.
Quasi sempre la prospettiva in cui si affronta il problema del sacerdote è quella del celibato: sempre più frequentemente laici e sacerdoti esprimono dubbi sulla fondatezza di questa legge ecclesiastica; tuttavia tra coloro che hanno affrontato seriamente il problema, si fa strada la convinzione che una semplice soppressione della legge del celibato non sarebbe una soluzione. Le statistiche stanno a dimostrare che la crisi, in proporzioni anche più gravi, si fa sentire nelle chiese protestanti e in quella ortodossa, nelle quali non vige questa legge. E’ fuori dubbio che il celibato, in se stesso, pone degli interrogativi che vanno studiati, specialmente il modo con cui vengono scelti i candidati, il pericolo di pressioni morali a cui a volte vengono sottoposti durante il periodo della loro formazione e in modo particolare l’età in cui viene assunto l’impegno definitivo[2] .
Il problema di fondo pare vada ricercato ad un altro livello, e avvicinando attraverso gli scritti don Mazzolari penso si possa ricavare una risposta che ha il valore di una testimonianza personale e che si può esprimere così: la crisi del prete oggi è quella del suo essere in quanto uomo e particolarmente essa è una crisi di fede.
Don Primo io l’ho conosciuto occasionalmente, tra l’altro ho avuto la grazia di partecipare, i primi anni di sacerdozio, a un corso di esercizi predicato da lui. In seminario ho letto i suoi libri a mano a mano che uscivano; mi sono sempre interessato alla sua persona e alle sue vicende, ma da quando ho scoperto che la mia diocesi confina proprio con Bozzolo l’ho avuto più presente. Nelle vacanze scorse casualmente mi è capitato tra mano « Tra l’argine e il bosco » che me lo ha fatto rivivere non senza commozione. Da quando ho avuto la debolezza di arrendermi alle amabili pressioni dell’arciprete e del sindaco di Bozzolo, mi è mancata la possibilità di accostare don Primo con la lettura attenta delle sue pagine più significative; tuttavia ho raccolto quanto basta per affermare che don Mazzolari dice oggi al prete che se vuole essere se stesso, se non vuole avere dubbi sul ruolo che ha da svolgere nella chiesa e nel mondo, se vuole avere coscienza e sicurezza non solo di non essere inutile ma di essere indispensabile per i nostri giorni, deve prima di tutto andare alla ricerca di se stesso come uomo e deve realizzare tutto se stesso. Egli che oggi si deve inserire con onestà, con serietà ed impegno in mezzo ai propri fratelli, deve attuare nella sua persona in modo chiaro i valori umani profondi che lo mettono in condizione di sostenere il confronto con chiunque altro e cioè, la capacità di amare, la libertà, la intelligenza, I’azione, il senso delle relazioni con gli altri.
DON MAZZOLARI UOMO
Nessuno dubita che la grazia di Dio abbia trovato in don Primo le vibrazioni più rispondenti, perché alla ricchezza delle doti comuni si aggiungeva un alto grado di sensibilità, di intuizione e di espressività: era un’antenna sensibilissima che ha captato le onde più delicate provenienti dalle profondità abissali del mistero di Dio e quelle che si sprigionano da tutto il creato ma in particolare dal cuore degli uomini. Poi si è fatto voce potente che ha valicato molto spazio e si mantiene viva ed attuale nel tempo.
Il fatto di essere prete ha avuto come conseguenza di fare maturare in pienezza tutto ciò che egli era come uomo, non gli ha creato motivi di incertezza sulla sua identità e nella validità della sua esistenza.
Il suo cuore
Chi ha davanti a se uno degli atteggiamenti tipici di don Primo lo ricorda certamente con la mano che premeva sul cuore, pareva una indicazione: egli era tutto là. Viene alla mente il giudizio del parroco di Spinadesco riferito dalla Nina: “quel ragazzo ha del cuore fino in bocca, penserà ben qualcuno nella vita a farglielo masticare”; e ancora: ” il parroco è un grande innamorato, anche se sa che il suo innamoramento gli consterà per tutta la vita incomprensione, lacrime, dolore “; perciò faceva questa amara constatazione: ” quando penso che un figlio di poveri contadini, dopo dodici anni di seminario, invece di uscirne più contadino e con il cuore più largo, ne viene fuori imborghesito, sono tentato di chiedermi se ci sia un’altra maniera di preparare l’animo del prete a sentire il suo compito ( popolo?)” [3] ; ” chi ama gli uomini deve amarli come sono, non come dovrebbero essere”[4] ; ” la misura dell’amore è amare senza misura. La ragione dell’offrirci è quella di offrirci al di là di ogni ragione. Non è il Vangelo che ci ricorda che non c’è amore finché siamo buoni con chi è buono? Si è nell’amore quando, ragionando, scade ogni ragione di amare… Il giorno in cui si accetta un impegno di amore, lo si accetta senza condizione, nel matrimonio e nel sacerdozio: se no siamo mercenari, anche se per mercede ci siamo appagati della fredda soddisfazione di essere rimasti con gli occhi incantati in un nostro sogno. C’è una sola maniera di servire l’ideale: perdersi, per salvare chi si perde. Ciò che c’è veramente di divino nell’amore è I’amore di un ideale che si incarna in una povera realtà: un bimbo, un malato, un povero corpo che si sfascia, una povera anima che si abbrutisce, una patria avvilita, una chiesa che non risponde al nostro sogno “[5] . Avremo la misura della capacità di amore di don Primo quando scopriremo il livello del suo spirito di sacrificio.
La sua libertà
Quando si parla della libertà come componente della persona di don Primo bisogna intenderci con chiarezza. La libertà di cui è espressione la sua figura è la libertà dei figli di Dio, è la libertà interiore, è la libertà che viene dalla liberazione compiuta in noi dall’opera redentrice di nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha trasferito dal regno delle tenebre a quello della luce dei figli di Dio a prezzo del suo sangue. Don Primo è libero da se stesso, non ha preoccupazioni per la sua persona, non ha interessi da difendere, non ha posti da conseguire, non ha nulla da perdere, non gli importa del giudizio degli uomini, di nessuna parte, gli importa il giudizio di Dio che si riverbera nella sua coscienza. Questa è la libertà e un uomo libero si comporta liberamente, è posto nella condizione più valida per dire la sua parola, tanto più che questa parola non è sua, egli parla nel nome della Parola, del Verbo, del Vangelo, quel Vangelo che nella sua persona non è fatto prigioniero da nessun riguardo e da nessun interesse umano, perciò, può veramente predicare sopra i tetti e noi sappiamo come don Primo la sua libertà l’abbia esercitata, ma soprattutto pagata. Non ha preteso che la pagassero gli altri, che la rispettassero gli altri, che la riconoscessero gli altri; egli ha accettato tutte le conseguenze dell’uomo libero ed ha accettato di pagare fino in fondo, ma con umiltà, con una docilità incondizionata (sono parole sue), ” con ilarità “: ilarem diligit Deus.
La sua intelligenza
Don Primo era un uomo e un prete intelligente. Arriverà a dire: ” il dovere di essere intelligenti corrisponde al diritto di Dio di essere servito intelligentemente”[6] . Che avesse il dono naturale della intelligenza tutti lo ammettono, egli però lo considera come un talento datogli da Dio non per essere nascosto o goduto ma per essere trafficato, e trafficare l’intelligenza significa
impegnarla nello studio, nella disciplina dello studio perché questo talento possa avere una funzione nella vita e la funzione è quella della carità: mettere il frutto della propria intelligenza e il sacrificio che comporta il coltivarla a servizio dei propri fratelli. Diceva: ” lo studio è in funzione di cura di anime “; “c’è una grande soddisfazione nel sapere, I’ignoranza è una brutta cosa, è una disgrazia; ma studiare per la sola soddisfazione è incompleto, una cosa meschina. Chi aumenta il proprio sapere aumenta la propria sofferenza “; era solito citare Bossuet: ” la conoscenza che non diventa amore è sterile “, esula dal cuore, anzi gli fa velo perché non conosce gli uomini, perché quando questi si vengono a conoscere si amano.
Ecco in quale prospettiva poneva il suo sapere: ” oggi giorno gli studiosi di fuori hanno il mezzo di risolvere tanti problemi senza il nostro aiuto ma il nostro sapere deve far sì che quella luce illumini anche il loro sapere, una ; luce dall’alto non fredda ma armoniosa e calda ». Don Primo, intelligente, non aveva paura ma sentiva invece il bisogno di circondarsi di persone intelligenti: « il parroco non deve rifiutare questa salutare esperienza che gli viene offerta da anime ,intelligenti e appassionate ». ” in troppe parrocchie si ha paura dell’intelligenza, la quale vede con occhi propri, pensa con la propria testa e parla il suo linguaggio » [7]
La sua azione
È naturale constatare come l’intelligenza, lo studio e il sapere di don Primo sfocino nell’azione. Non separa l’intelligenza dal cuore e il cuore non sta racchiuso in uno sterile sentimentalismo, ma spinge come una molla potente all’azione. Caratteristica della sua azione è la disponibilità a tutti e per tutti in qualsiasi momento. Egli veramente diventa quel pane di cui tutti possono mangiare. Non sono le opere esteriori e tanto meno le manifestazioni esteriori dell’azione che egli cerca; si sa anzi che nel suo animo c’è un rifiuto alle volte anche sdegnoso per tutto questo. Egli è cosciente che ogni azione vale per quello che tè e non per quello che uno fa, magari lasciandosi prendere da quello che si definisce comunemente ‘ il mal della pietra ‘; la sua azione è dettata dall’urgenza dell’amore di Dio per gli uomini e dall’urgenza dei bisogni dei propri fratelli. La sua azione è dono di se stesso. Al termine dell’ultima guerra, quando era stato costretto per mesi a vivere nascosto, avverte anche che la sua salute ne ha risentito gravemente, ma di proposito si rifiuta di sottoporsi alla visita del medico, perché teme che gli imponga di fermarsi, mentre tutto e tutti intorno a lui richiedono la sua presenza. Egli rimane presente e sappiamo come questa sue dedizione sia stata la causa della sua fine immatura.
La sua socievolezza
Don Primo ha maturato la sua personalità in ciò che essa si definisce specificamente. Noi questa prerogativa I’abbiamo espressa in termini esatti nei confronti delle Divine Persone quando la Persona in Dio l’abbiamo definita ‘ relatio ad ‘. La capacità di don Primo ad essere disponibile per gli al altri è stata inesauribile: qui è stato veramente se stesso, qui è maturato nel modo più alto e più pieno: dimenticando se stesso è diventato tutto per gli altri, veramente come l’apostolo Paolo si è fatto tutto a tutti; non ha guardato in faccia alle persone, non ha chiuso la porta della sua casa a nessuno e a quelli che non hanno bussato alla porta della sua casa ha mantenuto aperto il cuore e non ha atteso che venissero, è andato incontro e la sua in
intelligenza gli ha fatto escogitare tutti i mezzi pur di arrivare. La parola, la penna, il camminare, il viaggiare, il pregare, soprattutto il soffrire sono diventati le vie per raggiungere i vicini e i lontani. Quando avremo fra le mani I’« Epistolario » di don Mazzolari e le pagine del suo Diario, scopriremo con quanta naturalezza egli è « uscito da se stesso » per « essere degli altri ».
La sua solitudine
Rileviamo un aspetto della personalità e della vita di don Primo che costituisce il punto dolente della crisi del sacerdote di oggi: la solitudine. Lui che aveva quel cuore che aveva, che ha cercato tutte le vie per raggiungere tutti, che voleva racchiudere nel suo cuore tutti come in una casa calda dove ognuno si trovasse a proprio agio, ha sofferto nel modo più drammatico la sofferenza più acuta del sacerdote: la solitudine. Forse ha avuto anche paura della solitudine. Ha scritto: « mi vedo con terrore in una piccola pieve, con nessuno intorno all’altare, la desolazione in cuore e un impegno che urterà contro ogni slancio del mio animo »[8] ,La solitudine e l’abbandono sono le naturali ricompense di coloro che si propongono di rimanere fedeli a Uno più alto dell’uomo.
Sono significative espressioni come queste: « il prete è un uomo, guai se non lo fosse, ma c’è qualche cosa in lui che non oso dire ne un di più ne un diverso, se resto nel linguaggio di tutti i giorni, ma che tuttavia ne segna inconfondibilmente anche la sua solitudine che è il prezzo e la condizione della sua vocazione; ognuno che sappia guardare come va guardato un uomo l’avverte e ne stupisce anche se non riesce a capire ». « Il sacerdote raggiunge la perfetta misura dell’uomo per virtù dell’Alto, che gli fa ritrovare la sua umanità, I’umanità che gli conviene (nulla di diminuito e nulla di aggiunto); ineffabilmente concordano dono con dono, il momento della natura e il momento della grazia; quindi più che la quantità è l’unicità della sua solitudine, ci prende la sua inguaribilità, per cui egli, chiamato ad essere l’uomo di tutti, finisce per essere l’uomo di nessuno. Infatti nessuno è « pellegrino » quanto lui, egli è il « viator » non soltanto per I’inquietudine dell’Eterno che possiede in comune con ogni uomo, ma per vocazione e offerta. Si deve tutto a tutti e lui non si può mai abbandonare interamente a nessuna creatura, appoggiandosi a nessuna mai. E’ un pane di comunione che tutti possono mangiare, ma di cui nessuno ha I’esclusiva »[9]
Sarebbe interessante ascoltare oggi, qui, la risposta che darebbe don Primo a un problema che fa tanta letteratura, ma che certamente nasconde una situazione di sofferenza, di angosce, di turbamenti profondi. Si può essere certi che la soluzione che proporrebbe non sarebbe quella di dare al sacerdote una compagna della propria esistenza perché non rimanga solo. Se uno è stato segnato dal dito di Dio, per essere al proprio posto, più di tutti suoi fratelli, non troverà pace, non troverà riposo se non rimanendo fedele a colui che egli un giorno ha scelto come sua eredità: è la legge dell’amore che, come dice espressamente don Primo, porta con se una conseguenza di fedeltà assoluta tanto nel matrimonio come nel sacerdozio. Egli però non si accontenterebbe di darci una risposta fatta di parole o di argomentazioni, tutta la sua vita è una risposta.
DON MAZZOLARI UOMO Dl FEDE
A questo punto mi permetto di farvi una domanda: se la rievocazione di don Primo terminasse a questo traguardo di completezza umana, pensate che saremmo arrivati al fondo della sua personalità? Don Primo si può spiegare e comprendere solo per la sua fede. Ma non mi pare di forzare la verità se affermo che la sua era la fede maturata in un prete.
Io ho incominciato a discorrere nel tentativo di dare una certa risposta ai molti interrogativi che si pongono sul prete oggi e perciò cerco di mettere in risalto l’uomo di fede che era il prete don Mazzolari.
La fede è una risposta personale a una parola personale di Dio: coincide con la vocazione.
Ai seminaristi di Cremona, nel ’37, diceva: « se invece di fare tanta retorica quando si parla del sacerdozio si mettesse a nudo la realtà quotidiana, quel che c’è sotto il peso di certe ore di solitudine e di amore mal compensato, sentireste che per poter ‘ star bene ‘ si deve accettare in pienezza la croce che Cristo offre come distinzione e segno della vita sacerdotale »[10] « Noi siamo un pensiero di Dio. La nostra vocazione è un pensiero di Dio e allora ci perdiamo nell’eternità, così, la preghiera è unita alla vocazione e si prega per tutti e diventa preghiera sacerdotale ». E ancora: « Il mistero di un Amore onnipotente che rinunzia ad esercitare la propria onnipotenza per essere più veramente l’Amore mi dà le vertigini, ma non mi soffoca il cuore che si placa e si abbandona alla carità incarnata che viene a cercarmi perché non mi perda »[11] . La vocazione è una scelta, la scelta è un venir fuori dal comune, eccellere, avere una fisionomia. La vocazione è una fisionomia, una faccia divina posta su una faccia umana di un povero cuore umano, il sacerdote è l’uomo eletto, grande per la vocazione e la missione. E’ la grazia di Dio che mi distingue, non posso essere uomo comune e ordinario, perciò il sacerdote comune rinnega in pieno la sua missione. L’unica via giusta è quella del sacerdote santo, il superamento di ogni difficoltà è l’incontro della grazia con la nostra buona volontà. L’unica testimonianza accettata dal mondo è quella del sacerdote santo » [12]
Don Mazzolari fu conseguente al senso della vocazione secondo le esigenze della fede: credeva alla validità di essere prete e al ruolo insostituibile della missione del prete; sentiva la responsabilità di essere l’espressione del volto del Padre in meno ai propri fratelli e aveva la coscienza che la missione del prete, dare Dio agli uomini, è la più grande, la più utile e la più benefica.
Egli possedeva la poesia della fede: ” senza poesia non c’è fede, senza poesia l’apostolato muore “. Il sacerdote, diceva, « ha bisogno di quella poesia che non scrive parole ma deriva dallo Spirito Santo, e gli deriva il senso armonioso della vita… c’è nel nostro mondo il segno della divinità operante… I’amore di Cristo alla terra nessuno lo può rubare. Noi possiamo crocifiggerlo, gli possiamo squarciare il cuore, ma non possiamo impedire al Signore di volerci bene »[13]
Il suo spirito di sacrificio
Per don Primo la santità del sacerdote si misura con il suo spirito di sacrificio, e dice: « la più terribile condanna per noi è di piantare una tenda di comodità sul calvario. Chi ha paura di soffrire è in condizione di inferiorità alla missione del sacerdote »[14] ” La mia vocazione: tribolare. Dieci anni fa, proprio il primo agosto, i tedeschi mi prendevano per la seconda volta e mi portavano in prigione a Mantova. Ho quaranta due anni di messa e potrei aggiungervi i dieci del seminario, che fanno cinquantadue, e se domando che cosa ho fatto in più di mezzo secolo di chiamata, non vedo niente di notevole, molto meno di lodevole. In poche parole, potrei raccogliere la mia giornata di prete senza nessun motivo di soddisfazione e di tranquillità, se non ci vedessi il costo di ogni cosa. La mia vocazione si viene svolgendo sotto il segno della croce, dalla entrata in seminario ad oggi. Diventare parroco vuole dire condannarsi a paurose tribolazioni, le agonie del Cristo”.” L’agonia dell’orgoglio e della concupiscenza non è la tua agonia, Signore ! Tu non soffri per avere o per portar via: tu muori per guadagnarti il diritto di dare, d’amare l’inamabile ». « Quand’è che più veramente soffrii? Allorché vidi perduto un guadagno o rintuzzata una mia ambizione ? No: quando nessuno ha badato al mio amore che amava di amare ” [15]
La sua obbedienza
Il momento più drammatico e più duro dell’esistenza di don Mazzolari corrisponde alla vicenda di « Adesso ». Molte cose oggi sono note, ma è anche necessaria la distanza del tempo per vederle e giudicare con più chiarezza. Ciò che è sempre stato chiaro è il suo comportamento. Non poteva più andare in giro a predicare. Non poteva più scrivere. Poteva solo più soffrire e amare e al suo Vescovo scriveva: «benché non si tratti che di libere opinioni e di libere opzioni che non impegnano il credente, mi inchino e accetto senza discutere e senza chiedere spiegazioni l’obbedienza che spero, con l’aiuto di Dio e la vostra paterna indulgenza, di ‘consumare ‘ ilarmente e cordialmente “.
« ” Adesso “, anche nel nome, è poco più di un attimo: un attimo che si può fermare senza sgomento, almeno se uno crede che il bene è bene e che il silenzio lo può fecondare meglio di qualsiasi parola… ” Adesso ” è meno di un attimo, mentre la Chiesa è la custode dell’ Eterno e io voglio rimanere nelI’ Eterno.
Mi distacco dal foglio come il vecchio contadino si distacca dal suo campo appena seminato e dove ancora niente germoglia.
Ma tutto è speranza perché tutto è fatica; tutto è fede, proprio il non vedere; tutto grazia, anche il morire; tutto testimonianza, anche il silenzio, soprattutto il silenzio »[16]
Scrive a Giulio Voggi: « la mia obbedienza non ti sorprenderà come non sorprenderà chi mi conosce. E’ I’unica risposta che conviene a un credente e a un galantuomo… sì, Dio vuole così, il silenzio è l’adesso che entra nell’ Eterno… senza nulla togliere al valore della parola e dell’azione, il sacrificio è il compimento dell’una e dell’altra ».
La sua preghiera
Sappiamo anche donde don Primo attingeva questa forza e questo coraggio di fedeltà alla sua vocazione: nella preghiera; oggi si direbbe nella preghiera personale e in quella liturgica. Dice: « la preghiera è una delle azioni più difficili. Se la preghiera non costasse, non varrebbe quello che vale. Almeno io la penso così. E’ facile l’atto vocale della preghiera, ma non lo spirito della preghiera. Perciò, vale di più pregare che lavorare. La preghiera vale tutto: ecco perché costa molto. Vi è un rapporto diretto tra valore e costo. Ma perché è così difficile ? Ma perché non abbiamo la carità della preghiera; perché non abbiamo il senso dell’altrui. Quando noi sentiamo di divenire il “pontifex” tra Dio e gli uomini, un mezzo di comunicazione, la nostra preghiera ha un respiro più largo, si fa umanamente e divinamente grandiosa. Allora il prete è veramente il “pontifex” del popolo, e la sua preghiera è un ” ponte ” dalla terra al cielo ». « Con la preghiera liturgica, la vera preghiera della Chiesa, io prego per tutti e tutti per me! Tutti diventano partecipi dei frutti della preghiera ». « Uno dei mezzi più grandi è quello di dare il carattere sacerdotale alle nostre preghiere ». Si possono conoscere le anime attraverso la preghiera. Noi sorreggiamo un mondo di anime. Pensate a quelle anime, a quelle sofferenze non ancora vostre: e in certi momenti di abbattimento e di crisi spirituale, quello che non avete la forza di fare per voi, lo farete per i gemiti di queste anime sofferenti e imploranti » [17] « Leggo parecchio e scrivo pochissimo. Ho bisogno di pensare e di pregare molto ».
Chi conosce gli scritti di don Primo sa che le citazioni si potrebbero moltiplicare. Io mi fermo a questo punto e voi molto legittimamente mi potete rimproverare di aver detto troppo poco: di non aver parlato delle sue anticipazioni conciliari, del suo amore e dell’azione per i poveri, delle sue lotte per la giustizia e per la pace; avete ragione. Ma ci sono almeno due motivi che giustificano i limiti entro cui ho tenuto questa conversazione: gli altri aspetti della personalità di don Mazzolari sono già stati sottolineati nel corso di queste celebrazioni e da persone più qualificate di me e poi a me basta aver attirato la vostra attenzione sulla testimonianza di don Primo, sulla validità del prete oggi e avere suscitato il desiderio di accostarlo più direttamente e più a lungo: è una risposta convincente.
Conferenza di Mons. Vescovo alla « Giornata Sacerdotale »,presieduta dal Card. Giovanni Colombo nel X Anniversario della morte di Don Mazzolari.
Bozzolo – 23 Aprile l969
ST 200 Mazzolari 69
Rivista diocesana Aprile 1969 pag 140-147
“Da Dio a Dio un popolo in cammino” pag 255-267
[1] I. Laplace, . “Le pretre à la recherche de lui-meme ., Ed. du chalet, 1969
[2] . Cancililum ., 3-1969; K. Rahner, Saggi sui sacramenti e sulla escatologia., Ed. Paoline, Roma, 1969, pag. 265-290.
[3] . La parrocchia ., La Locusta, Vicenza, 1969, pag. 22.
[4] . Preti così , Gatti, Brescia, 1966 pag. 78.
[5] G. Barra, . Mazzolari, un profeta obbediente ” Gribaudi, Torino, 1966, pag. 58.
[6] . Preti così >, pag. 70.
[7] . La Parrocchia , pag- 38 ss.
[8] “La pieve sull’argine” Gatti, Brescia, 1966, pag. 28.
[9] ” La pieve sull’argine Gatti,Brecia,1966 pag 28
[10] ” Preti casì “, pag 41.
[11] G. Barra, op cit pag 68
[12] Id. pag. 39-40.
[13] “Preti così ., pag. 81-82.
< [14] . Preti così ., pag. 72
[15] . Adesso , Anno XII, n. 7. Parole postume.
16 Lettera a Mons. Cazzani.
[17] . Preti così ., pag. 112-115.