per ricordare madre Candida
Sorelle carissime che vi stringete intorno alla vostra Madre e Sorella; fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio, fratelli e sorelle tutti nel battesimo, abbiamo celebrato insieme la parola di Dio che ci propone la certezza della speranza cristiana di fronte allo sfacelo e alla fine di una vita mortale. Noi vogliamo sostare qui il più brevemente possibile a meditare il significato di questa disfatta, di questa morte, per raccogliere per noi il senso della vita e della risurrezione.
Questo è un momento in cui siamo costretti, forzati quasi, a piegarci dinanzi ai disegni inscrutabili di Dio nello sforzo di far combaciare le nostre viste con le viste di Dio, i nostri pensieri con i suoi pensieri, di raccordare le nostre vie alle sue vie. Ma non siamo qui per interrogare Dio. Siamo qui per ascoltarlo, per raccogliere nella nostra anima tutto il significato di ciò che è accaduto nella linea del Vangelo, come una parola di Dio: « Se il grano di frumento, cadendo in terra non muore, resta sterile » (Giov. 12, 24). Non c’è nulla di più triste di una vita sterile! Qui una vita si è spenta per essere feconda.
E’ bene guardare con rispetto il segreto del re, ma è anche doveroso magnificare le sue opere e renderle pubbliche perché possiamo lodare Iddio (Tob. 12, 7). La vostra Madre circa vent’anni fa, sollecitata dalla grazia di Dio, scoprì profondamente il senso e si impegnò a corrispondere a questa grazia con un voto di abbandono alla volontà di Dio.
Molti possono leggere ciò che è accaduto all’esterno. Proprio da quel tempo, la volontà di Dio l’ha presa per mano, l’ha portata via, l’ha portata lontano, l’ha strappata ancora una volta dalla sua terra. E sappiamo fino a quale punto! E mentre camminava apriva un solco nel quale affondava sempre di più fino al momento in cui arrivava, forse secondo la misura della richiesta di Dio, a pronunciare l’ultimo « sì » a questa volontà, umilmente, con fiducia, con impegno, con forza, quasi con prepotenza, pur nella debolezza di una creatura sensibilissima e forte, nella limitatezza propria di ogni creatura, coi difetti di ogni creatura.
Iddio l’attendeva all’ultimo traguardo: aveva dato tutte le forze per compiere la volontà di Dio, ora doveva dare il prezzo della sua debolezza. Era venuto il momento di affermare con tutto il suo essere il principio di S. Paolo che ritornava sovente sulle sue labbra: « Ben volentieri mi glorierò delle mie debolezze, affinché abiti in me la potenza di Cristo » (II Cor. 12, 9).
Suor Candida insegnante al S. Vincenzo
di Tortona negli anni 1940-50.
Madre generale a Roma
E voi sapete tutte come è avvenuto: la sofferenza fisica, ma soprattutto quella morale, per abbandonare tranquillamente nelle mani di Dio ciò che formava l’oggetto delle sue preoccupazioni, per cui aveva dato tutto! Una sofferenza che si è prolungata oltre ogni previsione umana al punto di aver proprio dato tutto: il suo corpo che non era ormai più suo, e la mente che era desta, ma era guidata da un Altro. E poi ancora sofferenza: una lunghissima stanchezza, un bisogno estremo di conforto, e il conforto è stato solo la forza della grazia di Dio: quello delle persone care non la raggiungeva, perché ogni buona volontà, amorevolezza e devozione non la poteva raggiungere in quella solitudine infinita in cui il Signore l’aveva confinata.
Ecco il grano di frumento caduto in terra e morto! Ha la forza, ha certamente la capacità di portare frutto in tutta la Chiesa, in tutto il mondo di quelli che si sono impegnati con una consacrazione particolare al servizio di Dio e dei fratelli e soprattutto per il proprio Istituto.
Noi sappiamo, carissimi tutti, qual è la sorte del grano che viene seminato. Può cadere sulla strada, tra i sassi, in mezzo alle spine, nel buon terreno. Questo seme il cui involucro sta davanti a noi, ha il suo significato, ha il suo contenuto, ha le sue indicazioni-diciamolo con molta semplicità, senza esagerare le parole-, che corrispondono alla spiritualità di Suor Maria Candida: fede illimitata, fiduciosissima, filiale, dal tono di una autentica infanzia evangelica, nella paternità di Dio, rivelata in Gesù Cristo, donata a ciascheduno di noi dallo Spirito del Padre e del Figlio: stare « in sinu Patris », abbandonarsi all’amore del Padre, credere ostinatamente all’amore misericordioso di Dio; una fede, un amore, una devozione, una dedizione incondizionata a Dio nella Chiesa.
Da quanti anni aveva intuito il valore del mistero della Chiesa! Quanta gioia i giorni della celebrazione del Concilio! Quanto appagamento per il suo spirito, che aveva sondato (sapete con quale impegno e diligenza) nell’anima della sua Madre, della Fondatrice del suo Istituto, la quale si proclamava a ogni istante ” Figlia della Chiesa “, ma non figlia di una Chiesa astratta, figlia della Chiesa autentica, della Chiesa che si realizza, che si attua, oggi usiamo questa espressione, nella concretezza del luogo, dello spazio, dell’azione ministeriale, della parola, del Sacramento, della carità, della liturgia. Qualcheduno ricorda (ma non abbandoniamoci ai ricordi) che vent’anni fa, nella piccola, modesta cappella dell’Istituto ” San Vincenzo ” a Tortona, si celebrava tutta l’ufficiatura della settimana santa, quando le Suore, e questo naturalmente, si ponevano il problema se partecipare alla liturgia della grande settimana, oppure recitare le preghiere di regola. E poi una luce e una grazia e una luce sempre più chiara. Come ha confermato il Concilio, come vuole la Chiesa, come vuole il Papa: la vita consacrata a Dio non appartiene all’ordine gerarchico o costituzionale della Chiesa, ma alla vita e alla santità della Chiesa, di questa Chiesa concreta, ministeriale, sacramentale, della carità che si comunica tra quelli che si vedono e si conoscono e si incontrano.
L’amore al proprio Istituto. Erano i tempi in cui S. Giovanna Antida si imponeva all’attenzione di tutta la Chiesa, come figlia autentica di S. Vincenzo, ma come figlia dotata della libertà dei figli di Dio, che ha camminato per la sua strada, si può dire contro tutti e contro tutto, andando a cercare chi e ciò che Dio le indicava e cercando di essere in perfetta comunione con la Chiesa, di essere profondamente inserita nella Chiesa. E da quegli anni S. Giovanna Antida ha incominciato a essere studiata, e voi sapete che un certo contributo, limitatamente alle sue possibilità e disponibilità di tempo, l’ha dato anche Suor Maria Candida per scoprirla. E’ stata scoperta anche un’immagine più vicina alla verità di S. Giovanna Antida nei suoi lineamenti fisici, ma soprattutto nei suoi lineamenti spirituali.
Voi sapete quale preoccupazione, quale impegno, quale sforzo,quale desiderio per scoprire il ” carisma ” che era nella vostra Fondatrice e renderlo attuale. Voi sapete quante volte ha ripetuto: « Se vivesse oggi la nostra Madre, che cosa farebbe? ». Io non so se si esprimeva così, ma so che questo era profondamente radicato nei suoi desideri.
Suore della Carità! Il decreto che riguarda i Religiosi si intona alle parole ” Perfectae Caritatis “. Suore della Carità lo siete non perché fate le opere di misericordia; Suore della Carità lo sarete anche attraverso l’esercizio delle opere di misericordia corporale e spirituale, ma ad una condizione: che sia perfetta la carità tra voi, l’amore tra voi, l’impegno ad essere davanti al mondo e nella Chiesa una testimonianza dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo; in questo raggiungerete la vostra autenticità, realizzerete l’aggiornamento: se vi amerete a vicenda.
Ecco, Sorelle care, il significato, la grazia di questo seme che è costato tanto e che è gettato nei vostri cuori.
Continuiamo ad adorare la volontà di Dio e a pensare che Dio non opera inutilmente, opera per la nostra salvezza. Accogliamola questa parola di salvezza.
CARLO FERRARI
Vescovo di Mantova
ST 432 Suor Candida 69
Stampa: numero unico dell’Istituto, in ricordo della madre generale suor Maria Candida Torchio preside a Tortona nel Istituto san Vincenzo anni 1950 quando Mons. Carlo Ferrari era in Diocesi l’assistente di Azione Cattolica