Simone di Gallipoli 24/07/1978 – ore 17,00
Il Senso della nostra vita
Questo lungo testo, che forma il prologo della lettera agli Efesini, l’abbiamo letto per avere la possibilità di fare quella che, tradizionalmente, si chiamava la meditazione del fine della nostra vita.
Questa parola di Dio, così esplicita, che Paolo riprende altrove nelle sue lettere, e che risponde a tutto il disegno di Dio contenuto nella storia della salvezza, ci pone in una situazione ben singolare riguardo al senso della nostra vita.
Il senso della nostra vita non va da noi a Dio.
ll senso della nostra vita va da Dio a noi.
La grande tradizione monastica, espressa nella formula di San Benedetto, si esprimeva con le parole: “se il religioso -quindi anche il cristiano- revera Deum quaerit: se, veramente, cerca Dio. Era un modo di concepire, ed é un modo di concepire giusto, però presuppone una realtà di cui noi dobbiamo tenere conto.
Noi, Dio non lo cercheremmo se Lui, per primo, non ci cercasse.
La grande novità, la grande sorpresa é questa: che Dio si metta alla ricerca dell’uomo, che Dio prenda l’iniziativa di cercare l’uomo: Dio nel suo amore, nella gratuità del suo amore.
Se noi non ci mettiamo da questo punto di vista, noi non saremo mai in grado di orientare convenientemente la nostra esistenza, la nostra attività. Non daremo mai il senso giusto alla nostra vita.
Se volete, sotto un certo aspetto, é sconvolgente il Dio della rivelazione, il Dio della storia della salvezza, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo.
Colui che personalmente ci ama, colui che personalmente ci salva, non é il dio della filosofia, della astrazione, il dio di una certa sistematizzazione teologica, che si é compiuta nei tempi passati.
Il Dio reale, il Dio concreto, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, é questo Dio che prende, Lui , l’iniziativa, spinto dal suo amore gratuito e misericordioso, di venirci incontro per salvarci.
Incontrarci per stabilire un rapporto personale con Lui.
Incontrarci, per ammetterci alla partecipazione di vita con se. Quindi qualche cosa di vitale questo incontro.
Non é essere “faccia a faccia”, essere primo e secondo, é operare qualche cosa si stupendo, di meraviglioso, di ineffabile, che supera tutte le nostre capacità di pensare, di sperare:
Dio vuole stabilire una comunione di esistenza, che ha già i suoi inizi qui su questa terra, e che avrà il suo compimento definitivo quando Egli sarà tutto in tutto, dopo che nostro Signore Gesù Cristo avrà ricapitolato tutte le cose, avrà sottomesso tutte le cose ed Egli stesso si sottometterà al Padre.
E’ importante, decisivo, avere questa visione della realtà cristiana per l’ascolto della parola di Dio, per la preghiera, per la vita liturgica, per i nostri rapporti vicendevoli.
L’ascolto della parola del Signore. E’ un Parola che viene.E’ una parola che parte dalle profondità abissali dell’eternità, e raggiunge il tempo nella concretezza della nostra persona e nella individualità irrepetibile della nostra persona, e si rivolge a noi come la parola di un Padre, di un amico, di un salvatore pieno di misericordia. Ci porta l’eco del suo amore infinito e misericordioso. Da Dio viene!
Quella vita di cui abbiamo parlato questa mattina, in cui vogliamo rituffarci, é la vita che parte da Dio: la partecipazione alla sua natura, la partecipazione alla sua esistenza, la partecipazione alla sua vita.
Viene da lui. Non nasce da noi.
Non é il frutto delle nostre buone opere.
Lui ci metterà in condizione di poter compiere delle buone opere, ma non possiamo arrivare a questa condizione, se non accogliamo quello che viene da Dio:
la sua vita,
la sua natura,
non il suo modo di esistere ma la sua esistenza che ci fa esistere in un modo del tutto particolare,
che stabilisce una relazione di intimità sorprendente, ineffabile, indicibile.
Ed é questo Dio che ci sta vicino, che ci sta dentro, che ci sta al di sopra e al di sotto, che ci avvolge con tutta la ricchezza del suo essere per comunicarlo a noi.
Il movimento della preghiera. Abbiamo sempre detto, ed é giusto, elevare mentis ad Deum; “petitio ad deo” (?)
E’ piuttosto l’abbassamento di Dio verso di noi, é l’offerta che Dio fa dei suoi doni a ciascheduno di noi.
Dall’alto della sua ricchezza traboccante, egli ci viene incontro e il nostro deve essere l’atteggiamento del povero che accoglie.
La nostra preghiera non é dire a Dio qualche cosa che egli deve fare o domandargli qualche cosa che noi abbiamo stabilito di fare.
E’ mettersi come la pianta, come l’erba, come il fiore, ai raggi del sole, sotto l’azione di questo sole che é Dio, l’autore del sole, perché ci investa, ci riscaldi, ci vivifichi, ci fecondi, prenda ricca la nostra povertà ma, dei suoi doni.
Come é facile esser umili dinnanzi a Dio, quando ci si pone in questo atteggiamento, in questa situazione reale, concreta, che risponde all’esattezza della rivelazione. Non al nostro modi di concepire, ma al modo di essere e di agire di Dio.
Le nostre celebrazione liturgiche, il culto così detto, le nostre liturgie, concepite come qualche cosa che sale verso Dio, come se Dio avesse bisogno di qualche cosa. Lo sappiamo. Neppure il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo sale verso il Padre. E’ piuttosto il Padre che ci dona il suo Figlio.
Il suo Figlio é il dono del Padre nella sua morte e risurrezione. E’ dono di Dio.
“Descendit”. L’espressione della incarnazione, é la espressione più piena del movimento della vita cristiana, del movimento di colui che genera questa vita e realizza questa vita nel mondo , del nostro Dio che viene verso di noi con la sovrabbondanza della sua salvezza.
Non possiamo esaminare, analiticamente, questo passo che abbiamo citato. Qui, Paolo, più che in alte lettere, come mette in evidenza che la gratuità dell’Amore da cui proviene ogni bene é sovrabbondante, é traboccante, va al di là di ogni possibilità di malizia umana, nel suo amore e nella sua misericordia!
Allora, é vero che noi offriamo a Dio,( ma come, si esprime la prima “prece” de tuis donis hac datis (?):) non qualche cosa di nostro.
E, anche quello che mettiamo di nostro, lo mettiamo per la misericordia di Dio, perché é lui che ci mette nella condizione di poterci offrire a lui, ci mette nella condizione di essere graditi a lui perché ci ha purificato per mezzo del sangue del suo Figlio
Il cammino che Dio fa per incontrarci nel suo movimento verso di noi, trova l’ostacolo del peccato e lo sorpassa con lo strumento della croce, cioè con la espressione dell’amore che giunge fino alla fine, all’ ultima possibilità, al dono totale di se stesso, attraverso l’annientamento. “ Exinanivit semetipsum factum obidiens usque ad mortem, mortem autem crucis”, scandisce, appunto, questo cammino di Dio verso di noi.
Ecco, miei cari, noi dobbiamo fare una riflessione, di per se molto semplice, molto conforme al senso generale di tutta la rivelazione, ma che non é troppo conforme al nostro modo abituale di pensare.
Dio, normalmente, non lo pensiamo così come egli é: colui che si muove per primo, che si muove mosso dal suo amore, dalla sua misericordia e che la nostra vita prende senso nel momento in cui si incontra con questo Dio, si apre al movimento di questo Dio, nel momento in cui diventa accoglienza, diventa docilità, diventa povertà nel senso biblico del termine. Questa parola tanto abusata negli ultimi tempi! La povertà, é ritrovarci davanti a Dio sorpresi dal suo amore e sorpresi dalla sua misericordia nella nostra miseria anch’essa ineffabile.
Impegniamoci a una riflessione seria ma decisa, per orientarci convenientemente,
per non camminare invano,
per non perdere il senso della realtà.