Orientamenti pastorali n 1 ed.Irades Roma 1969
Le profonde e ricche realtà del mistero cristiano sono state tradotte nella teologia e nella catechesi degli ultimi secoli attraverso il filtro di una riflessione concettuale, nozionistica e astratta; questo ha influito in modo determinante nel settore che ci interessa in questa breve nota: i rapporti all’interno della Chiesa e specificamente in quelli che intercorrono tra vescovo e presbiterio.
Due, a noi, paiono i punti sui quali si possono raccogliere le conseguenze più dannose, quello sacramentale e quello giuridico.
La dottrina sui sacramenti, per difendere ed affermare gli aspetti negati dai protestanti, preoccupata di affermare l’istituzione divina e l’efficacia intrinseca( ex opere operato) dei sacramenti, si è meno preoccupata di definirli come azioni che hanno necessariamente una dimensione ecclesiale, nella quale, tanto i ministri come i fedeli, sono impegnati in modo personale, al fine di far coincidere l’efficacia oggettiva dei sacramenti con l’impegno soggettivo dei membri del popolo sacerdotale, che è la Chiesa.
E’ certo che la Messa è azione di Cristo sia che la celebri Pietro, sia che la celebri Giuda; ma la medesima azione di Cristo ha una efficacia esistenziale solo nel caso e nella misura in cui trova una risposta di fede da parte delle persone che in questa azione sono coinvolte.
Il dono dello Spirito Santo, che è assicurato al vescovo nella consacrazione sacramentale non è una cosa che lo abilita a compiere delle azioni valide: è una persona che introduce il consacrato in un rapporto di identificazione misteriosa con la persona di Cristo e conseguentemente con il Padre e con i figli del Padre.
Il vescovo, lontano dall’essere un sacro funzionario è un autentico povero, che è coinvolto nella sconvolgente avventura dell’amore infinito di Dio, che lo pone nella condizione inderogabile di essere segno esistenziale nella Chiesa della sollecitudine della tenerezza e della delicatezza dell’amore del Padre; di essere in persona Christi non solo colui che assicura la validità delle azioni sacramentali, ma la manifestazione istituzionale dell’atteggiamento del Cristo, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per la salvezza dei fratelli ( cf Mc 10,42-45) ; di essere il garante, nella vita della Chiesa, della azione attuale dello Spirito Santo non solo per il ministero della imposizione delle mani consacrate, ma per la disponibilità di tutto se stesso a lasciarsi introdurre in tutta intera la verità e di attuare la più matura delle realtà ecclesiali, la perfezione della carità: di amare Dio come nessuno lo ama, di essere unito col Capo e con le membra del corpo episcopale – modello e segno carico di efficienza di tutta la carità della Chiesa – e infine di amare i fratelli più di qualsiasi altro perché per essi dona se stesso; questo è il carisma del vescovo.
E’ la caratteristica della economia della salvezza: Dio a chi affida un compito assicura una grazia sovrabbondante e lo destina al servizio dei fratelli.
La salvezza dei fratelli, il servizio per la loro salvezza è un avvenimento di persone che ha il suo punto d’incontro nel mistero della grazia; ciò che lo garantisce è l’autenticità e la pienezza dei rapporti personali, i quali, in colui che è investito di un compito salvifico, sono autentici e pieni a condizione che egli attui nella sua esistenza personale ciò che è significato e garantito dal sacramento: la piena conformità a Cristo e la piena disponibilità a ciò che egli vuole compiere da una parte e, dall’altra, la conformità ai sentimenti che Cristo nutre verso gli uomini che vuole salvare.
Un modo di concepire astratto ha reso l’ambiente ecclesiastico più preoccupato della validità formale delle azioni sacramentali, che della fedeltà alle persone, attori di queste azioni, tra le quali è protagonista il Cristo. Molte pagine del profetismo dell’Antico Testamento e tante altre del Nuovo, che esprimono il rifiuto di Dio per un servizio formalistico sono state accolte più secondo il significato di morale pratica, che in quello di una realtà teologica, che fonda l’autentica morale cristiana.
Questo brevemente è quanto si è verificato sul piano sacramentale; sul piano giuridico è avvenuto qualche cosa di analogo.
Il capovolgimento operato da Gesù Cristo – il quale porta nel mondo una vita nuova, che non ha origine dalla carne e dal sangue, ma da Dio; il quale propone, come sua, la legge dell’amore che è diffuso nei cuori dal suo Spirito; in una parola che sostituisce la grazia alla legge – ha subito una involuzione che ha introdotto nei rapporti nella Chiesa un certo legalismo causato e dall’influsso del costume civile e da una lenta scomparsa di quegli elementi di grazia, i quali devono ispirare la legislazione ecclesiastica e costituiscono la capacità nuova offerta agli uomini perché possano compiere la volontà di Dio manifestata nelle norme legislative della sua Chiesa ( 1 Cor 10,30; Fil 4,13).
L’autorità nella Chiesa è stata rivestita di troppi segni esteriori, che la ponevano in confronto o in concorrenza con l’autorità del mondo; il potere gerarchico che è una partecipazione sacramentale agli uffici salvifici di Cristo, profeta, re e sacerdote, si è affermato in diverse occasioni più che come potere di amore in un certo amore del potere ( cfr Mc 10,42- 45); in qualche caso si è manifestata una specie di tentazione di garantire la consistenza delle istituzioni della salvezza più con dispositivi giuridici che con mezzi di grazia.
So che quanto scrivo, se sarà letto. lo sarà da parte di sacerdoti e ho piena fiducia di avere già sufficientemente espresso il mio pensiero nelle premesse che ho abbozzato; sono pienamente convinto che i rapporti nella Chiesa e in particolare quelli tra vescovo e Presbiterio, saranno la cosa più bella e soave ( Sl, 133), quanto più fedelmente corrisponderanno al disegno del divino Fondatore della Chiesa; quando la Chiesa sarà concepita come comunione nella unità della carità di tutti i fratelli che godono dell’unica dignità di figli di Dio e quando le strutture giuridiche della Chiesa assolveranno al loro ruolo di mezzi per edificare questa comunione di amore.
Il Concilio ha il merito incomparabile di avere definito gli uffici salvifici secondo la loro dimensione sacramentale ( cfr LG 21), di mezzi che attingono alla grazia di nostro Signore Gesù Cristo e sono destinati a trasmetterla agli uomini; ha affermato che la grazia è la vita che lo Spirito comunica ai credenti, la quale ha per legge il nuovo precetto di amare come Cristo ci ha amati ( cfr LG 9); ha definito la collegialità dei vescovi la quale prima di essere una struttura giuridica è un avvenimento e una esigenza di carità legata alla pienezza della presenza attiva dello Spirito Santo; ha parlato di presbiterio, il quale ha anch’esso un valore, un senso e una funzione ecclesiale nella misura in cui sarà un fatto di amore fraterno. Mi pare che le conseguenze siano molto chiare, anche se esigono quel tal mutamento di mentalità, che è poi l’esigenza quotidiana del cristianesimo( cfr Mt,16,24) .
Tutte le affermazioni fatte fino a questo punto implicano dei rapporti nella perfezione e quindi nella pienezza della carità tra persone umane. Questi rapporti suppongono un ambito fatto sulla misura delle persone e non su quella delle istituzioni. Le persone che debbono attuare quei rapporti devono essere in condizione di incontrarsi, di frequentarsi, di scoprirsi, di conoscersi come avviene tra uomini. Quale dimensione deve allora avere la Chiesa particolare? La Chiesa, che il Concilio ha definito insistentemente secondo la sua natura sacramentale, porta proprio in se stessa una esigenza di poter esprimere ciò che significa: una comunione di persone che si amano perché sono in condizione di conoscersi.
Termino con una citazione del Concilio che chiarisce e conferma quanto io intendo dire e porta molta luce e soprattutto inculca un calore evangelico nei rapporti all’interno della Chiesa e suppone quelle dimensioni sulle quali i rapporti sono attuabili: « nell’esercizio del loro ufficio di padri e di pastori, i vescovi, in mezzo ai loro fedeli si comportino come coloro che prestano servizio; come buoni pastori che conoscono le loro pecorelle e sono da esse conosciuti; come veri padri che eccellono per il loro spirito di carità e di zelo verso tutti; di modo che tutti ben volentieri si sottomettano alla loro autorità, ricevuta da Dio » ( CD 16).
Stampa: Orientamenti pastorali n 1, 1969 edizione Irades Roma