S. Simone di Gallipoli – 26/07/1978 ore 8,30
Noi dobbiamo avere la preoccupazione di concepire il peccato secondo la Rivelazione. Cioè secondo quel rapporto che Dio, nel suo amore infinito e misericordioso, ha voluto stabilire con noi.
Non é un rapporto con un Dio qualsiasi,
con il dio della ragione,
il dio della filosofia.
Ripeto: il Dio della Rivelazione.
Ed é quel Dio che abbiamo cercato di scoprire nella giornata di grazia di ieri: Padre-Figlio-Spirito Santo.
Tutto procede da lui ,
tutto deriva da lui,
tutto viene da da lui.
Siamo da lui,
siamo suoi,
siamo il frutto del suo amore e siamo il frutto della sua misericordia.
Il peccato, in senso cristiano, é la pretesa di conoscere il bene e il male nel senso, non di una conoscenza intellettuale o scientifica o anche morale, ma nel senso di diventare gli arbitri di ciò che é bene e di ciò che é male.
Quindi una pretesa di autonomia.
Non é Dio il primo.
Non é Dio che, nella sua libertà sovrana, ci viene incontro per farci “essere” , “esistere” e darci tutte le capacità e tutti i beni di cui circonda la nostra esistenza, ma vogliamo essere noi la misura e il criterio ultimo di ciò che é bene e di ciò che é male:
non lui,
non il suo giudizio,
non le sue indicazioni,
non le indicazioni del suo amore,
ma il nostro giudizio,
ma la nostra valutazione, conseguentemente,
la nostra scelta, la nostra misura.
Il peccato non é semplicemente la trasgressione di una legge.
Abbiamo ripetutamente affermato che il cristianesimo é un fatto di rapporti personali, tra un Dio personale, Padre Figlio Spirito Santo, e tra le nostre persone.
O si accoglie l’amore di Dio e la sua misericordia,
oppure ci si mette fuori del rapporto,
si rompe questo rapporto e ci si mette dall’altra parte in confronto a Dio,
in opposizione a Dio,
contro Dio:
contro Dio personalmente,
non contro qualche cosa,
non contro una legge.
Contro una persona.
Dunque, questo é la radice del peccato che concretamente possiamo approfondire.
Questa pretesa di autonomia é originata da un sentimento di diffidenza verso i beni di Dio.
Dio crea un giardino dove c’é di tutto, lo pone a disposizione dell’uomo.
C’é l’universo, c’é il mondo intero.
Paolo dirà, in un momento di impeto entusiastico: “omnia vestra “ ma “vos autem Christi, Christus autem Dei.
“ Omnia vestra”: tutto per voi .
Proprio Dio vuole che tutto sia nostro?
proprio Dio ha fatto disinteressatamente tutte queste cose?
e poi le mette in mano nostra perché ci servano?
Proprio Dio crea tutto e poi ci mette al vertice del creato e dice “crescete e moltiplicatevi?
Soggiogate la terra?
Fatela fruttificare?
Ordinatela?
Proprio così?
L’atteggiamento del peccato é quello di pensare:
no, sotto c’é qualche segreto interesse,
c’é qualche segreto motivo,
non é vero che sia tutto nostro,
non é vero che sia tutto per noi,
non é vero che sia tutto per amore.
Questo é l’atteggiamento del peccato.
E, si ha, talmente profondo, il sentimento della diffidenza a questo riguardo che, di fronte a questa liberalità di Dio,
a questa larghezza di Dio,
a questa liberalità per cui tutto rimette nelle nostre mani,
c’é, da parte nostra, l’accaparramento, il possesso di un pezzo,
di un pezzo sempre più grande,
di un pezzo che sia sempre più nostro,
di un pezzo che sia sempre più al sicuro perché “non si sa mai”!
Non ci si fida di Dio, dei beni di Dio.
Ci si vuole creare un’altra sicurezza diversa da quella di Dio.
Anche noi preti risparmiamo, mettiamo da parte. “Non si sa mai!” E’ meglio essere previdenti. Ma questa é una espressione molto innocente di fronte all’atteggiamento del peccato che si esprime in contrapposto, e come conseguenza di questa diffidenza nel senso del possesso.
E’ mio, non é di Dio.
E’ mio!
La motivazione di questo, ed é la motivazione ultima sulla quale dobbiamo fermarci, non tanto come tempo ma come impegno e come intensità di riflessione e di preghiera, é la diffidenza nei riguardi dell’amore di Dio.
Veramente Dio mi ama, da avere fatto tutto per me, per il mio bene?
Veramente Dio vuole la realizzazione piena del mio bene, e si pone al mio servizio, e pone tutto al mio servizio per la realizzazione della mia esistenza, dopo che me l’ha data?
Veramente Dio é Amore?
Quanti concetti di giustizia abbiamo “tirato fuori” per definire il peccato! Quanti concetti di onnipotenza, di sapienza infinita, e non il fatto vero che emerge da tutta la Rivelazione: l’Amore, l’Amore,
sempre l’Amore.
C’é l’infedeltà da parte nostra, c’é la fedeltà da parte di Dio.
C’é la dimenticanza da parte nostra, non c’é la dimenticanza di Dio.
C’é la ribellione da parte nostra, e c’é il perdono di Dio.
C’é l’abbandono da parte nostra, ma non c’é l’abbandono da parte sua.
Allora, siccome non si crede a questo amore, si va a cercare un altro amore:
qualche altro,
qualche cosa d’altro,
qualche altro in cui credere, di cui fidarsi, a cui abbandonarsi, al cui servizio porsi, ma non l’Amore di Dio. C’é il rifiuto dell’Amore di Dio. C’é l’indifferenza nei confronti dell’Amore di Dio. C’é la opposizione all’Amore di Dio. C’é la negazione che Dio sia Amore.
Miei cari, tutto questo é un atteggiamento molto diffuso, nel quale siamo coinvolti anche noi, nella misura in cui non ci impegniamo, con tutte le nostre forze, a scoprire, ad aggrapparci, ad abbandonarci con una fiducia illimitata nella grande realtà dell’Amore di Dio.
Questi i nostri tempi in cui viviamo. Noi viviamo proprio immersi in una cultura che é stata originata dai, così detti, maestri del sospetto: Froid,Nice;Marcs. Metteteli nell’ordine che volete. Non ha importanza. Uno da un punto di vista psicologico, l’altro da un punto di vista filosofico, l’altro da un punto di vista politico, hanno messo in guardia contro Dio. Dio non vuole la tua realizzazione. Dio vuole essere sopra di te. Lo ricordate Gesù in ginocchio a lavare i piedi ai suoi discepoli? Questa é l’atteggiamento di Dio nei nostri confronti. Dio ti impedisce qualsiasi sviluppo sociale: la religione oppio del popolo. E tutte queste idee,non in un modo scientifico ma in un modo divulgativo, sono penetrate in tutti gli ambienti, in tutti i settori della vita, della esistenza umana.
Miei cari, chiediamoci con un po’ di franchezza:
-Chi é che pensa all’Amore di Dio? Chi é che crede all’Amore di Dio?
-Chi é che basa la sua vita sull’Amore di Dio, sulle promesse dell’Amore di Dio?
-Chi fa perno, nelle motivazioni della sua esistenza, sull’Amore di Dio?
Anche la nostra gente che viene in Chiesa, anche noi preti e vescovi, quant’è che ci crediamo all’Amore di Dio? Crediamo a un Dio grande , un Dio santo, un Dio anche buono. Se predichiamo gli esercizi alle monache parliamo anche dell’Amore di Dio. Avete mai, per caso, incontrato due preti, due frati che tra di loro parlassero dell’amore di Dio? Se vi é capitato siete fortunati. Eppure questo, e questo solo, é il cristianesimo. O si scopre l’amore di Dio e lo si ritiene sicuro, certo, fedele, come può essere fedele soltanto Dio, e ci si fida di questo amore, e ci si abbandona a questo amore, e allora si é cristiani, altrimenti si galleggia ad una certa superficie, ai bordi di quell’oceano, di quell’abisso che é l’Amore di Dio ma non ne siamo neppure bagnati, neppure spruzzati.
Ecco allora che i vari idoli prendono consistenza, risalto: il sapere per avere, per potere, per godere, ma non i doni di Dio. Ciò che é mio, ma non l’Amore di Dio, ma l’amore che io spremo da tutti questi idoli, che io mi illudo di raccogliere portando incenso a questi idoli.
Ecco miei cari, alcune riflessioni sul peccato inteso in un senso cristiano. Questa riflessione non é una riflessione negativa. E’ una riflessione positiva perché ci fa scoprire il bisogno che c’é in noi, la necessità che c’é in noi, di prendere sul serio il cristianesimo. Il cristianesimo, di prenderlo in un senso integrale, non approssimativo, non settoriale. E di impegnarci non semplicemente a rimanere a galla: la preoccupazione di non commettere peccati mortali, la preoccupazione, pretesca – ecclesiastica, di non fare l’abitudine al peccato veniale, la preoccupazione – insomma – di farcela a salvarsi.
E questa stessa preoccupazione trasmessa a quelli di cui abbiamo responsabilità davanti a Dio. Vi ricordate la pratica – molto diffusa, che intorno agli anni della guerra ha fatto molta fortuna (anche nel dopo guerra ha fatto molta fortuna): quella dei ritiri minimi? Non so come li chiamaste diversamente: (qualcuno suggerisce e il vescovo ripete) i ritiri di perseveranza (grazie), per perseverare in grazia di Dio, per vivere in grazia di Dio.
Tutta la preoccupazione é li: per vivere in grazia di Dio. Non é che sia una preoccupazione pastorale trascurabile, no. Però, se tu ti fermi li, e se il livello del tuo cristianesimo é quello, non é cristianesimo. Perché, allora, Iddio avrebbe dovuto fare molto più poco, allora Gesù Cristo avrebbe dovuto farsi una passeggiata in questo mondo! Allora, la morte in croce, da parte del Figlio di Dio, come espressione dell’amore del Padre, non ha senso per farci stare in grazia di Dio, ma per farci decidere ad accogliere come unico ed esclusivo amore per la nostra vita, l’amore di Dio.!
Ecco io sto anticipando la meditazione che ho in animo di fare dopo, ma queste riflessioni ci devono far capire che é venuto il tempo di convertirci. Di convertici ,noi , all’amore di Dio e di convertire il “tiro” delle mete del nostro ministero, della nostra azione pastorale. Avere il coraggio di proclamare, come il vostro Padre Francesco, l’araldo del gran Re, l’Amore di Dio. L’Amore di Dio. L’Amore di Dio.