25/7/1978 – ore 8,30 – Gesù rivela il Padre
Cerchiamo di avvicinare, con sempre maggiore chiarezza, la realtà del mistero di Dio che si rivela nella sua Parola, per comprendere a chi ci dobbiamo “aprire”, a chi ci dobbiamo abbandonare per realizzare noi stessi, nell’opera della salvezza che Dio prepara per noi. E, non ci incontriamo con un Dio astratto, con un Dio che sta al termine di una speculazione intelletualista, ma col Dio concreto della storia che é Dio Padre e Figlio e Spirito Santo. Il primo che incontriamo, esprimendoci secondo la povertà del linguaggio umano, é il Padre. Ai miei tempi c’era un libro della regalità, che ha fatto fortuna, ed era intitolato “Andiamo al Padre”. Oggi, dopo il progresso degli studi biblici, questo libro, pur conservando la validità del contenuto, lo intitoleremmo “il Padre viene a noi”.
Il Padre é il centro della Rivelazione di nostro Signore Gesù Cristo é, si può dire, l’oggetto del Vangelo, della buona novella, del lieto annuncio. Dio é Padre. Questo Padre sta nel cuore di nostro Signore Gesù Cristo. E c’è una rivelazione progressiva di questo tesoro, che sta nel cuore di nostro Signore Gesù Cristo, all’incirca secondo queste tre tappe:
Dio é Padre,
Dio é il Padre di nostro Signore Gesù Cristo,
Dio é nostro Padre.
Dio é Padre.Il contenuto di questa rivelazione era già noto nell’ Antico Testamento e Gesù non fa niente altro che ricuperare, come vedremo in una seconda parte di questo incontro, questo contenuto della paternità di Dio. Gesù si rivolge a Dio e lo chiama Padre.
Nei suoi confronti si sente Figlio. Si comporta come figlio verso il padre. Non ha un altro nome e non c’é un’altra figura, nella espressione del linguaggio umano e nella esperienza della vita umana, che possa definire più esattamente la realtà di Dio, di questa: di concepirlo come egli é: Padre.
Padre é colui da cui ha origine la vita, dal cui amore ha origine tutto.
Dio é il Padre di nostro Signore Gesù Cristo.
Ho già accennato:
Gesù vive alla presenza del Padre,
si muove alla presenza del Padre,
parla alla presenza del Padre, oltre che parlare del Padre.
Tra lui e Dio c’é questo rapporto figliale che denota la paternità di Dio.
Dio é il suo Padre.
Egli ha fiducia in questo Padre.
Egli si abbandona a questo Padre.
Egli da inizio alla sua missione rivolgendosi al Padre: “Non hai più voluto vittime o ostie, ecco o Padre, come é scritto nel libro, io vengo per fare la tua volontà”( ) E l’ultima parola di Gesù é il riconoscimento del Padre in un atto di abbandono infinito: “nelle tue mani o Padre abbandono il mio Spirito”. ( )
E, durante tutto il percorso della sua vita, Gesù non é preoccupato di fare altro di ciò che piace al Padre. Quindi il rapporto fondamentale, costante , decisivo di nostro Signore Gesù Cristo, della sua persona é il rapporto con Dio concepito come Padre. Come il “Padre”.
Il Padre di Gesù é il nostro Padre Ricordate il dialogo con Tommaso.
Gesù, evidentemente, parlava in un modo così incantevole del Padre, che gli apostoli e i discepoli non potevano concepire nessun altro desiderio che quello di vedere il Padre: “ostende nobis patrem et sufficit nobis”. ( ……….) Queste citazioni in latino! Noi l’ abbiamo imparate in latino la Sacra Scrittura, e allora citiamo in latino.
E Gesù che risponde: “Filippo,da tanto tempo sono con voi e non mi avete ancora scoperto,non mi avete ancora conosciuto. Chi conosce me conosce il Padre”…. “Allora, insegnaci a pregare”…. “Quando pregate dite così: “Padre nostro”.( ) grande Rivelazione!
Non é soltanto la grande preghiera. E’ la grande Rivelazione. Il nostro rapporto con Dio cambia. Cambia infinitamente. Non siamo semplicemente le sue creature, siamo i suoi figli perché partecipiamo della sua natura, partecipiamo della sua vita, siamo il frutto del suo amore. “Padre nostro che sei nei cieli”.
Alla Maddalena dopo l’Ascensione: “Non sono ancora salito al Padre mio, al Dio mio e Dio vostro, al Padre mio e Padre vostro”. E, per farci capire chi é questo Padre nei nostri confronti, Gesù racconta le parabole della misericordia di Dio, della bontà di Dio, dell’amore di Dio, della tenerezza di Dio. In particolare la parabola del Figlio prodigo. Dio é questo Padre per noi. Dio é Padre ed é Padre per noi. Dio é Dio, é Padre come Dio, e lo é per noi.
In questo modo Gesù recupera tutto il contenuto dell’Antico Testamento.
C’é un pericolo, e possiamo dire, che non é soltanto ipotetico. Noi abbiamo distinto un Dio dell’Antico Testamento e un Dio del Nuovo Testamento. C’é una unica Rivelazione di Dio, che ha il suo compimento in nostro Signore Gesù Cristo, che in nostro Signore Gesù Cristo diventa chiara, sicura. E, dobbiamo dire che, da un punto di vista letterario, cioè della descrizione, noi abbiamo una quantità assai più abbondante della presentazione della figura del Padre nell’Antico Testamento, più di quanto non l’abbiamo nel nuovo Testamento, anche se nel nuovo Testamento abbiamo la Rivelazione definitiva, la conferma, la testimonianza che ci viene, nientemeno che dal Figlio, da nostro Signore Gesù Cristo.
Noi ci incontriamo, allora, attraverso tutta la Rivelazione, con un Padre che ha, nei nostri confronti, la sollecitudine del pastore. L’immagine del pastore non é del nuovo testamento, non é originale, attribuita a nostro Signore Gesù Cristo. Il buon pastore é il pastore di Israele: “Signore tu sei il mio pastore,non manco di nulla” ( ) Questo ricupero dell’antico Testamento nella liturgia ci dice tante cose.
La sollecitudine di Dio.
Dal momento della creazione, dal momento della caduta, egli col suo pensiero cammina attraverso monti e dirupi alla ricerca della pecorella smarrita e tratta questa pecorella con un amore infinito. Non soltanto é sollecito per condurla ai pascoli ubertosi, lungo le acque tranquille, ma la sostiene, la medica, la guarisce, la riporta nell’ovile, la tiene con se. C’é persino questa immagine, non attribuita a Dio, però c’é il concetto della paternità di Dio. Questa: una pecora piccola, piccola, tenera tenera che il padrone alimenta alla propria mensa e la fa dormire nel proprio giaciglio. Quanta sollecitudine! Quanta cura! Quanta premura c’é in questa immagine! C’é nel cuore del nostro Padre di cui noi siamo figli!
C’é lo slancio dell’amore dello sposo. Pensate a tutta la letteratura, dal cantico dei cantici alle immagini profetiche di Ezechiele, in particolare, che illustrano questa figura di Dio come sposo per dire lo slancio del suo amore, l’ardore del suo amore, l’intimità del suo amore. Per noi il cantico dei cantici é enigmatico. La letteratura profetica non ha servito sufficientemente per nutrire la nostra pietà, la nostra vita spirituale, per darci una immagine plastica di quello che é lo slancio dell’amore di Dio nei nostri confronti, l’ardore dell’amore di Dio nei nostri confronti.
C’é stato un certo pudore, certe riserve che ci hanno persino impedito di accostare certi passi della letteratura vetero testamentaria. “Omina monda mundis”! Se Dio si é servito di questo linguaggio per fare intendere il suo amore per noi e il sospiro del suo cuore che cerca la propria sposa, e noi siamo la sposa, siamo l’oggetto di questo amore che sospira per raggiungerci, per averci, per possederci, per amarci!…
lasciamo che, sotto l’azione dello Spirito, queste espressioni che ci illuminano la figura del Padre, si chiariscano dentro di noi, perché Dio sia qualcuno, sia una persona, sia Uno che fa qualche cosa, che é qualche cosa per noi, che é qualche cosa di indicibile per noi. Si recupera così la tenerezza del Padre.
L’abbiamo già accennato ieri, come Dio, per mezzo dei profeti, ricorre a tutte le immagini per dire tutto il suo amore tenero e misericordioso. Lui “non spegne il lucignolo fumigante”. Anche se una madre potesse giungere ad un grado di snaturalezza di abbandonare la propria creatura ,egli non lo farà mai. ( ) Egli ci porta come un bimbo fra le braccia, sulle sue ginocchia, con il viso appoggiato alla sua faccia. ( )
Sono immagini indimenticabili che ritroviamo nella realtà della Rivelazione di nostro Signore Gesù Cristo, nella grande figura della tenerezza, della misericordia, della capacità di perdono del Padre del figlio prodigo.
Vedete un po’ anche qui, come della parabola ce ne siamo serviti per illustrare la figura del figlio e non sufficientemente per illustrare la figura del padre. Protagonista non é il figlio che abbandona il padre. Protagonista di questa parabola é il padre. Gesù l’ha raccontata per illustrare la sollecitudine, l’attesa, la gioia, la festa che c’é nel cuore del padre per averci ritrovati, per averci raggiunti, per averci con sè: “c’é più festa in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove che non hanno bisogno di penitenza. ( )
La tenerezza di Dio, che é espressione della sua misericordia. E, la misericordia é contatto di un amore infinito con la miseria della nostra condizione, della nostra persona, della nostra situazione, in qualsiasi tempo, in qualsiasi momento. Santa Teresa di Gesù Bambino aveva acquistato una tale conoscenza, possiamo dire veramente sperimentale, della tenerezza del cuore del Padre, che non esitava ad affermare:” anche se io avessi la sventura di diventare la più grande peccatrice che sia mai esistita nel mondo, non dubiterei un istante dell’amore del mio Dio”.
Ecco, miei cari, di chi siamo figli, da chi prende senso la nostra figliolanza soprannaturale, da chi prende consistenza il nostro essere figli di Dio e il nostro essere come figli di Dio, quindi, come prende senso la nostra vita, come prende senso la nostra esistenza.
Raccogliamoci ai piedi i Gesù, che ci rivela il Padre, e stiamo con lui per capre il Padre, per vedere il Padre. Lasciamo che lo Spirito lavori nel nostro spirito per darci la testimonianza, la sicurezza che noi siamo figli di questo Padre, che tra noi e lui c’é un rapporto ormai di necessità. Che cosa di più grande, di più bello, di più dolce che essere figli di un tale Padre!