1 Giugno 1970 ai seminaristi di Teologia
Mons. Carlo Ferrari e Papa Paolo VI°
Ho desiderato pregare con voi per il Papa in questa ricorrenza del 50° della sua Ordinazione Sacerdotale.
Io sono mosso da una preoccupazione che mi pare legittima nella Chiesa: c’è il pericolo che venga meno la coscienza del ruolo del Papa e sarebbe un grave danno per la vita della Chiesa, per la nostra vita spirituale, per il nostro ministero.
La vita della chiesa cattolica è contraddistinta da due “presenze”: quella di Maria e quella del Papa. Diminuire la devozione a Maria – una devozione intesa rettamente – è intaccare la pienezza del mistero della Incarnazione. Diminuire il senso del mandato che Cristo ha conferito a Pietro è intaccare il nucleo unitario e unificante dell’aspetto sacramentale della Chiesa, il quale garantisce in essa la presenza e la funzione salvifica dello stesso mistero della Incarnazione.
Nel Piano di Dio, Gesù Cristo non può essere né soltanto Dio né soltanto uomo. Gesù Cristo nel disegno del Padre è veramente Dio e veramente uomo e conseguentemente, deve essere accolto come Dio e come uomo. Così è della Chiesa. Così è del Papa.
Avete ascoltato come Gesù risponde a Pietro: “Sei beato o Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato ma il Padre mio che é nei cieli”. Sappiamo che la nostra salvezza e la ricchezza della nostra vita spirituale non hanno origine dall’uomo, ma dall’azione di Dio e noi siamo in grado di intendere le cose di Dio, perché Dio ce le fa intendere: ce le rivela. Pietro ha avuto questo dono di grazia. In forza di questo dono di grazia, egli è intimamente e necessariamente legato alla vita della Chiesa e alla sua consistenza. La Chiesa è indefettibile perché c’è questa grazia, perché c’è questo dono unico e personale che viene dal Padre.
Notate: l’evangelista incomincia dalla confessione di Pietro che riconosce in Gesù Cristo il Figlio di Dio e termina con l’istituzione della Chiesa su Pietro. La Chiesa è il sacramento di Cristo, è la totalità del mistero di Cristo, vero Dio e vero uomo, che continua nel tempo, che si realizza nella storia.
La Chiesa è definita, è caratterizzata dalla nota della unità: dalla unità di fede, dalla unità della speranza, dalla unità nella carità. La carità è al di sopra di tutto, è la pienezza, è la perfezione della vita spirituale, è la perfezione dei nostri rapporti con Dio; unifica tutti i membri del popolo di Dio, dà unità a tutte le membra del Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, cementa tutte le pietre del tempio santo di Dio. Edifica in quanto c’è un principio e un fondamento interiore, la presenza e la signoria di Gesù Cristo, l’azione dello Spirito Santo, in quanto c’è un principio e un fondamento esteriore – la funzione del Papa -.
Quando ho deciso di venire a questa celebrazione, sono stato preso dalla preoccupazione di fare un discorso ben preparato. Cinque minuti fa, dopo che ho tentato di prepararmi, ho deciso di venire in tutta semplicità a dirvi le cose che vi dico.
L’unità vivente della Chiesa secondo la volontà di Gesù Cristo, è ugualmente assicurata da un principio e un fondamento interiore, lo Spirito Santo, e da un principio e fondamento esteriore, il Papa.
Noi viviamo in tempi felici anche se turbinosi e carichi di gravi difficoltà: certi aspetti della fede sono diventati più chiari, le esigenze spirituali sono più genuine;tra queste si impone il senso dell’unità della Chiesa, il bisogno dell’unità nel mondo.
A questa esigenza sono collegati i grandi problemi e nello stesso tempo i grandi valori presenti nel mondo di oggi: valori che si esprimono con i termini di Chiesa, di comunità, di comunione. Ma vi accorgete stando a contatto con il mondo e del nostro mondo-Chiesa, quanto, questa unità sia difficile da raggiungere come unità autentica realizzata in una carità vera, in una amicizia sincera, quanto sia molto lontana dai traguardi che ognuno di noi si può prefiggere, che ognuno di noi può desiderare per sé e per gli altri.
Il Concilio ha riconosciuto l’origine sacramentale dei compiti del Vescovo e ha sottolineato la Collegialità episcopale come segno e strumento della più alta unità nella carità della Chiesa a cui presiede il successore di Pietro. L’espressione istituzionale giuridica della collegialità contiene un dono di carità vitale ed esemplare per tutta la chiesa di una priorità estrema; la mancata attuazione della espressione concreta della collegialità é un grave motivo di impoverimento spirituale per tutta la chiesa.
C’è un fatto che ha cambiato molto le prospettive nella Chiesa e ha dato una collocazione nuova al Papa nella chiesa: la Collegialità. Ma, dov’è la Collegialità effettiva dei Vescovi? Non dobbiamo fare dei processi e forse neppure rivolgere dei rimproveri. Possiamo esprimere dei desideri, possiamo anche fare qualche cosa perché questo si attui. Dov’è la collegialità effettiva tra i Vescovi, anch’essi al vertice non soltanto della istituzione della Chiesa, ma nel fondamento della vita della Chiesa? Questo ve lo faccio considerare – non so se opportunamente o inopportunamente – perché comprendiate come diventa difficile l’esercizio del primato del Papa in questa difficoltosa collegialità dei Vescovi tra di loro.
La collegialità non ha ridimensionato il primato del Papa; impegna invece i vescovi e di conseguenza i preti e i fedeli a prendere coscienza della portata dell’unità nella carità e a renderla effettiva, affinché il Papa “presieda” effettivamente alla carità.
Oggi tutti sono sotto accusa e il primo é il Papa; conseguentemente dov’è quella carità operante tra gli stessi vescovi e fedeli a cui il successore di Pietro deve presiedere?
Il Papa come principio e fondamento e strumento dell’unità della fede e della comunione deve inculcare e promuovere nella chiesa l’una e l’altra, ma da parte di tutti i membri del popolo di Dio deve esistere una disposizione sempre più responsabile di corrispondere alle esigenze dell’unità. Se il Papa deve edificare l’unità, quelli che sono nella Chiesa devono essere disponibili a questa unificazione.
Se il Papa ha la funzione di edificare nel senso di un amore “discendente” in quanto é strumento dell’amore che da Dio discende verso di noi per unificarci, non dimentichiamo che Dio fa scendere il suo amore verso di noi perché da noi salga verso di Lui e per la stessa via del principio visibile dell’unità della Chiesa.
Non mi pare di dire una cosa esagerata: non vogliamo bene a nostro Signore Gesù Cristo che è morto in croce per noi, se non vogliamo bene a tutte le Membra del suo Corpo e se non vogliamo bene al capo visibile della sua Chiesa che è il Papa. Noi siamo giustamente preoccupati dell’amore verso i nostri fratelli; quanto lo siamo dell’amore verso questo nostro fratello che è il Papa? Non corriamo il pericolo di essere indotti a prendere atteggiamenti che sono contrari all’amore che si deve a tutti i membri della Chiesa.
Ecco in quale senso io intendo la presenza del Papa nella nostra vita spirituale e nella nostra azione pastorale.
Certo, agli occhi di chiunque ci sono tante cose che rendono difficile l’amore alla Chiesa perché rendono difficile la fede nella Chiesa. C’è il Vaticano, c’è la curia, ci sono i cardinali, ci sono i legati pontifici… Mi permetto di fare una affermazione che non so quanto ugualmente sia sostenibile sul piano teologico come lo é sul piano storico: per il Papa, per Paolo VI°, il Vaticano, la curia, i cardinali, sono una croce. E la croce ha sempre questo duplice effetto in chi non è disposto convenientemente nel senso della fede. La croce è stoltezza per i pagani, per i sapienti. La croce è scandalo per i Giudei, per quelli che vogliono affermare una efficienza sperimentabile nel mondo anche religioso. La croce si pone proprio come ostacolo. Questo ostacolo non si supera togliendo le aste della croce. Si supera con la fede. Anche quando un domani il papa fosse un pellegrino che non ha dove posare il capo, sarà sempre un uomo di questo mondo con i suoi difetti, con le sue debolezze, con le sue possibilità di essere meno fedele al Vangelo e a nostro Signore Gesù Cristo.
E’ ingenuo pensare che un uomo solo, nel giro di tempo di un mandato, possa capovolgere ciò che i secoli hanno accumulato.
Chi è Pietro? Come lo riporta attentamente l’evangelista! Come lo fa rilevare bene nostro Signore Gesù Cristo: “Simone, figlio di Giona”. Non è un’altra cosa. Così è del suo Successore. L’impedimento a scorgere il Vicario di nostro Signore Gesù Cristo nel successore di San Pietro sarà sempre presente di fronte a noi e può essere superato unicamente dalla nostra fede perchè al di là di tutto l’apparato umano, rimane ed é un elemento di una realtà soprannaturale.
Pensateci, miei cari. E al termine di queste poche parole vi chiedo di voler bene al Papa. Volere bene al Pana significa tenere presente il Suo triplice mandato: ascoltare la sua parola; il Papa non parla sempre “ex chatedra”, non è sempre infallibile, però ha un carisma nella Chiesa che è unico; rispettiamo i carismi; Esiste una comunione nella Chiesa che ha la sua sorgente nella celebrazione eucaristica. Il Papa non lo dobbiamo soltanto nominare nel canone, deve essere presente nel vivo dell’azione liturgica come principio visibile della comunione di tutta la Chiesa di cui la comunità eucaristica è una espressione; Oggi il Papa é il testimone più fedele del concilio: imitiamo la sua fedeltà.
Sapete come é possibile tutto questo? E’ possibile se in noi c’é una grande umiltà. Guardate che esiste una grande tentazione, la tentazione dell’orgoglio, la tentazione della superbia: la presunzione di vedere più giusto, di sapere di più, di giudicare meglio. Non é detto che nella Chiesa non ci sia qualcuno che, su un determinato punto, possa giudicare meglio e anche dire di più del Papa.
Concludo con le parole di san Paolo: “Vi esorto dunque io prigioniero nel Signore a tenere una condotta degna della vocazionea cui siete stati chiamati” – e noi le riferiamo al nostro tema-; “con tutta umiltà” – vedete dove mette il fondamento dell’unità nella carità -; “e dolcezza”: a volte si sentono delle espressioni nei confronti del Papa che non si avrebbe cuore dirle per un proprio amico, per un proprio parente, per un proprio fratello. “Con pazienza”: so benissimo che il discorso della pazienza può essere un discorso sbagliato, ma c’é una pazienza che rispetta il piano di Dio, che rispetta la legge della storia, che rispetta il tempo della maturazione della grazia del Signore: questa é la pazienza dell’attesa dell’ora di Dio. “Sopportandovi gli uni gli altri”: ma perché tra questi “gli uni gli altri”, non ci mettiamo questo nostro fratello, che pur essendo in mezzo a tutti, é terribilmente solo dinanzi a nostro Signore Gesù Cristo, con il peso della responsabilità della unità nella carità in tutta la Chiesa? “Studiandovi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace”. Permettete che insista. Guardate che il traguardo é l’unità nella carità e che la via difficile da percorrere é questo sforzo, di tutti i giorni, a conservare l’unità degli spiriti nel vincolo della pace.
Cresciamo nell’amore e se cresciamo in un amore autentico cresceremo anche in un amore autentico verso il papa.
Adesso preghiamo per lui. Che il Signore lo sostenga a portare quel peso che grava sulle sue spalle e che è una grazia insostituibile per la vita della Chiesa.
OM 280 Paolo VI° 70 – In Seminario, 1 Giugno 1970