Giovedì Santo 26 marzo 1970 ore 9,30 in Sant’ Andrea Concelebrazione con tutti sacerdoti della Diocesi
Mons. Carlo Ferrari concelebrazione in S. Andrea
Esercitare il ministero della parola nel contesto di una concelebrazione come questa è molto impegnativo e, più si sente l’impegno più c’è il pericolo di non corrispondere all’attesa che si crea in queste occasioni
Dobbiamo dire che con la riforma del rito, la Messa per la consacrazione del crisma, nella chiesa cattedrale dove il vescovo concelebra con i suoi fratelli nel sacerdozio, prende un sopravvento di significato sulla Messa vespertina che commemora l’istituzione del sacramento dell’eucaristia e quindi del sacerdozio.
Tutte le Messe sono Messe sacerdotali, ma questa lo è in un modo specifico, perché l’intenzione della chiesa, espresso attraverso i riti e le letture, ci porta decisamente ad impegnare la nostra attenzione sull’ufficio sacerdotale.
Il nuovo ordinamento delle celebrazioni liturgiche in genere, e quello di questa mattina in particolare, facilitano la partecipazione ai misteri che si celebrano: il mistero del sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo nel quale noi, in vario modo e in vario grado, siamo introdotti. I riti sono diventati più chiari ed espressivi, i contenuti più largamente e profondamente illustrati da una più abbondante apertura ai tesori della sacra scrittura – le tre letture nelle sante Messe – ma, nello stesso tempo la proposta di queste celebrazioni rinnovate diventa un mezzo secondo il quale possiamo giudicare del nostro rinnovamento personale e di quello della nostra azione pastorale.
L’intelligenza dei motivi che ispirano il rinnovamento dell’azione liturgica, dei suoi contenuti più aderenti alla realtà cristiana rivelata, dei modi con cui questi vengono proposti ed espressi; l’intelligenza del contesto di mentalità, di sensibilità, di comportamento delle persone che prendono parte alle azioni liturgiche rinnovate, sono il primo passo verso la possibilità del rinnovamento auspicato e proposto dalla chiesa.
Questa intelligenza delle realtà divine e umane che s’incontrano nelle nostre celebrazioni, per la natura stessa delle cose, non è destinata a fare cultura né per noi né per i nostri fratelli. Essa è il risultato di una confluenza dell’azione dello Spirito Santo che anima ognuno di noi e della nostra docilità per essere introdotti nel mistero di vita dove le Divine Persone e la persona degli uomini si incontrano. La meta è la partecipazione degli uomini alla comunione di vita del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Ma chi non conosce le Scritture, non conosce Cristo e il rinnovamento impegna specialmente in questo settore; chi non conosce Cristo ignora il Padre e non ha lo Spirito di Dio il quale dà a ciascuno di noi la sicurezza di essere i suoi figli; chi non conosce le Scritture ignora l’evento della presenza e dell’azione di Dio nella creazione, nella storia, nella vita degli uomini e rimane fuori, nelle tenebre, senza Dio e senza speranza.
Quale impegno formidabile, urgente è mai il nostro, oggi, miei cari confratelli! Quale responsabilità abbiamo dinanzi a tutti i membri del popolo di Dio per aprire loro i tesori della salvezza che sono contenuti nel tesoro della parola del Signore!
Le poche pagine della Sacra Bibbia che abbiamo ascoltate in questa celebrazione sono un momento privilegiato per confrontare noi stessi e la nostra azione alla luce del rinnovamento che ci impegna tutti.
E’ facile rilevare da queste letture i tre grandi temi del sacerdozio di Cristo: “Lo spirito di Dio è sopra di me”, dice Isaia; “Lo spirito di Dio è sopra di me” afferma Gesù. La distanza del tempo è segnata dalla decisione di una unica volontà: costituire il Figlio sacerdote unico, sommo ed eterno.
Ma, la volontà altrettanto chiara di Dio è quella di costituirsi un popolo sacerdotale: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio” “Ha fatto di noi dei re e dei sacerdoti del Signore e per il Padre suo: a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”
Direte che sono punti sui quali ritorniamo spesso ma non si può comprendere il mistero della nostra fede e in particolare il nostro impegno di creature rinnovate nel sangue di nostro Signore Gesù Cristo, il nostro ministero, se non ci si riferisce a questa realtà globale della persona, della missione, della vita del Figlio di Dio fatto uomo.
L’incarnazione, l’apice di tutto ciò che Dio ha creato in cielo e in terra e sotto la terra – come si esprime la Scrittura – è il Figlio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, nel quale tutte le cose hanno la loro origine, la loro ragione, il loro scopo: confluire, essere ricapitolate in Lui, legate a Lui, vivificate da Lui, trasportate da Lui verso la sorgente prima ed ultima della esistenza in Dio Padre per l’azione dello Spirito Santo.
Gesù Cristo il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega della nostra vita, o miei cari, del nostro comportamento, della nostra azione deve avere il suo incontestabile primato. Né ci possiamo sostituire a Lui, né vi é altro nome dato sotto il cielo in cui ci può essere salvezza. Nessun mezzo, nessuna situazione umana, nessuna organizzazione, nessuna scienza psicologica, sociologica o d’altro genere può sostituire Gesù Cristo e il suo sacerdozio.
Questo convogliare la forza di una vita nuova, tutto e tutti verso l’unico Dio, l’unico Padre è la funzione di Gesù sacerdote; lo è quando annuncia il Vangelo nella sua azione profetica, quando muore in croce Sacerdote e vittima dell’unico e definitivo sacerdozio, e quando da buon Pastore si mette a capo del suo gregge, sempre ed unicamente per ricondurre al Padre di cui svela il volto, di cui dice l’insondabile mistero e soprattutto l’ineffabile amore.
Tutti quelli che credono in Lui, tutti quelli che sono incorporati in Lui, tutti quelli che sono ricapitolati perché lo riconoscono come Capo hanno questa finalità da raggiungere, hanno questo compito da assolvere: essere sacerdoti dell’Altissimo, essere sacerdoti per Dio, essere sacerdoti del proprio Padre come un figlio è sacerdote del proprio padre, perché gli dà gloria, perché lo manifesta, perché lo rende – in un certo qual modo- presente, perché è la parola vivente che dice tutto ciò che il Padre è.
I figli del Padre non sono destinati a rimanere degli infanti, dei fanciulli. Dei piccoli, sì perché tutti siamo piccoli davanti a Dio. Ma debbono crescere, devono svolgere il loro compito che è l’inserimento nel compito di nostro Signore Gesù Cristo: fare conoscere il Padre, comunicare ai propri fratelli la santificazione portata da Gesù Cristo che è una partecipazione alla santità del Padre, essere elementi di unificazione tra i loro fratelli e in mezzo a tutte le creature perché Dio sia glorificato. Così il popolo di Dio diventa un popolo sacerdotale, un popolo che esprime nella propria esistenza, nel proprio comportamento, il dono e il compito di partecipare al mistero di Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, Sacerdote del Padre.
Qui si colloca il nostro ministero, miei cari, lo sappiamo, lo ripetiamo, ma oggi c’è una grazia particolare per intenderlo meglio .Il nostro ministero è un servizio al sacerdozio unico ed eterno di nostro Signore Gesù Cristo e al sacerdozio regale destinato a essere eterno per i nostri fratelli: di tutti i membri del popolo di Dio di cui anche noi facciamo parte. Il nostro è un servizio a Gesù Cristo Capo perché fa fluire la sovrabbondanza di vita che è in Lui in tutte le membra, per l’azione del nostro ministero: del ministero della parola, del ministero della grazia, del ministero unificante della carità, perché Cristo è Maestro, Pontefice e Pastore.
Quanta umiltà miei cari, quanta docilità, quanta disponibilità perché Cristo possa servirsi di noi per far giungere a tutti i nostri fratelli la sua parola, per far fluire in tutti i nostri fratelli la sua vita, per animare i nostri fratelli secondo il senso unificante della carità!
Servire al sacerdozio dei nostri fratelli non è semplicemente stare in un atteggiamento di umiltà dinanzi a loro, non è semplicemente essere uno di loro e come loro. E’ anche questo. Ma, soprattutto, servire é essere competenti, è diventare sempre più capaci, sempre più idonei perché il ministero della parola, il ministero della grazia, il ministero della carità sia offerto ed accolto secondo le esigenze di Gesù Cristo e secondo le esigenze dei membri del popolo di Dio.
Non è sufficiente dire:” basta essere santi” , è necessario essere ” i competenti della santità”. Non basta ciò che già sappiamo, c’è da apprendere tutti i giorni. Chi non apprende tutti i giorni, chi non arricchisce se stesso tutti i giorni non è al servizio: si esime, si sottrae, impoverisce il proprio ministero.
Miei cari, è facile dire queste cose stando qui. E’molto difficile farle queste cose stando ognuno al nostro posto, ma è questo che dobbiamo fare, è questo l’impegno più grave. I nuovi libri liturgici che ormai usiamo, i nuovi testi che leggiamo, i nuovi riti che compiamo debbono essere uno stimolo per entrare nel profondo di ciò che essi contengono, di ciò che essi significano e di ciò che essi richiedono per corrispondere a quel movimento che ci porta verso le sorgenti, proposto dai grandi pontefici dei nostri tempi e dal concilio.
Tutto questo si inserisce nella nostra coscienza e preghiamo insieme: l’unità del presbiterio è l’anima dell’unità del popolo di Dio. Noi dobbiamo essere la forza del nostro gregge . Dobbiamo essere la manifestazione esemplare di ciò che devono essere i nostri fratelli e, tutti coi nostri fratelli, dobbiamo costituire l’unica famiglia dei figli di Dio, prediletti di Dio. Dobbiamo esprimerla noi con la nostra unità, e sappiamo che l’unità si edifica con la carità: con la carità verso i nostri fratelli nel sacerdozio ministeriale, con la carità dell’amicizia a livello di azione pastorale prima di tutto nei confronti dei nostri fratelli nel sacerdozio ministeriale.
Aiutarci a vicenda, non giudicarci, ma aiutarci. Ognuno deve impegnare la sua grazia e il suo dono perché i confratelli siano confortati , sostenuti giorno per giorno a corrispondere a questa esigenza di aggiornamento che è una esigenza di carità nella unità. Volerci bene, rispettarci, prenderci come siamo! L’unità del presbiterio anima dell’unità del popolo di Dio, i cui membri debbono essere promossi all’età adulta in quanto entrano ad assumere responsabilmente la loro parte . Si parla della promozione del laicato.
Miei cari sacerdoti, questo è urgente. Sono figli di Dio, devono essere figli di Dio adulti. Noi pretendiamo che partecipino alle azioni liturgiche in un modo cosciente, attivo e fruttuoso. E’ a tutta la vita della chiesa che debbono partecipare in un modo cosciente, attivo e fruttuoso. Siamo i pastori e i padri dei nostri fedeli, ma guai a noi se la nostra paternità si risolve solo in protezione e difesa, e Dio non voglia, possesso. La nostra paternità si pone come stimolo e aiuto a crescere, diventare adulti e quindi responsabili. I figli maggiori non spodestano il loro padre. I figli maggiori escono dalla famiglia quando il padre impedisce che siano adulti.
Termino con la preghiera che rivolgeremo insieme al Signore perché ci dia la Grazia di comprendere il rinnovamento in cui noi siamo impegnati.
Termino con l’augurio di questa Pasqua che voi fate a me e io a voi: che diventiamo l’anima dell’unità del popolo di Dio in mezzo al quale siamo chiamati a svolgere il nostro ministero.
Termino ricordando i nostri fratelli nel sacerdozio ministeriale che sono impediti di essere presenti, ma che devono essere presenti nel nostro ricordo e nella nostra preghiera e, in particolare, i Sacerdoti ammalati. Uno di questi, ogni volta che vado a fargli visita, mi dice sempre, in mezzo a tanta commozione: ” io voglio bene ai nostri sacerdoti”. Una volta mi ha fatto questa domanda: ” E lei vuole bene ai sacerdoti?” Come é bello sentire queste parole da un sacerdote! Ricordiamolo.
OM 293 Giovedì Santo 70 – ore 9,30 – S. Andrea
Concelebrazione con tutti sacerdoti della Diocesi