Incontro con i sacerdoti
Loano 15-19 Febbraio 1971
«Io amo la pietà e non i sacrifici la conoscenza di Dio anziché gli olocausti»
Venite, torniamo all’Eterno: perché Egli ha lacerato, ma ci risanerà; ha percosso, ma ci fascerà. ln due giorni ci ridarà la vita; il terzo giorno ci rimetterà in piedi, e noi vivremo alla sua presenza. (Amos…)
Conosciamo l’Eterno, sforziamoci di conoscerlo! Il suo levarsi è certo, come quello dell’aurora; egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che irrora la terra.
Che ti farò o Efraim? Che ti farò o Giuda? La vostra pietà è come una nuvola mattutina, come la rugiada che di buon ora scompare. Per questo li vaglio colla scure dei profeti, li uccido con le parole della mia bocca e il mio giudizio verrà fuori come la luce. Poiché io amo la pietà e non i sacrifici, e la conoscenza di Dio anziché gli olocausti! (Osea 6, 1-6)
Ecco una descrizione profetica del rapporto tra Dio e il suo popolo, tra Dio e noi, una descrizione profetica ma realistica quindi vera del peccato, una descrizione profetica della conversione su cui vogliamo intrattenerci in questa meditazione.
La conversione nei testi della Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento ha un significato personalissimo. Essa non consiste nel diventare buoni, nel diventare più buoni. Questa è una conseguenza. La conversione consiste nel ritornare alla casa del Padre, nel conoscere che Dio è Padre, nella gioia di scoprire la nostra condizione di figli e di vivere da figli di Dio. Perciò la Scrittura si esprime in questi termini. Già Amos ed Osea, come avete udito, descrivono la conversione come ricerca di Dio. Cercare Dio è cercare Qualcuno e quindi non fare qualcosa, ma cercare il suo volto: “Vultum tuum, Domine, requiram”.
Un atteggiamento di conversione è fissare in Lui il proprio cuore, stabilire in Lui il proprio cuore. Sapete quale significato ha nella Scrittura la parola cuore: indica l’intimo di se stesso, il profondo della propria persona. Stabilire in dio questo “cuore” significa, conseguentemente, cambiare strada, per poter ritornare a Dio. La conversione – e come insistono i profeti lo ricordate tutti – deve essere un atto personale, quindi interiore, non soltanto un atto personale in quanto responsabile e cosciente ma personale in quanto prende tutta la persona e la riporta a Dio in un atto di amore, perché Dio per noi è il suo amore per noi, e noi siamo il frutto del suo amore, noi siamo l’oggetto del suo amore.
Dice ancora Osea che la conversione deve essere ispirata dall’amore e dalla conoscenza di Dio. Anche a questo termine “conoscenza” diamo il significato biblico. Abbiamo udito che Adamo conobbe Eva. Cogliamone il senso. Non ci può essere fra due persone una conoscenza più profonda, come quella che si realizza nell’atto coniugale, rettamente inteso. La Bibbia per “conoscenza” intende questa esperienza profonda, viva, piena, carica, vissuta nella totalità del dono della propria persona. Quindi, vedete come la conversione ci prende dall’intimo di noi stessi, dal profondo della nostra persona e ci porta sino alla meta di una comunione nuziale con Dio.
Guardate che, il tema delle nozze come espressione del rapporto tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la sua Chiesa, va dai primi libri della Scrittura sino all’Apocalisse, conseguentemente, va il tema della fedeltà all’amore di Dio che è fedele, di Dio che è verace. Dio è fedele nel senso che mantiene la sua alleanza e non viene meno al suo amore; “anche se un padre, una madre potessero dimenticare il frutto delle loro viscere, io non ti dimenticherò mai”. Questa è la fedeltà di Dio, che richiede la nostra fedeltà. Non è questione di peccato mortale o di peccato veniale. E’ questione di fedeltà all’amore, di fedeltà alla esclusività dell’amore, alla totalità dell’amore. Non un certo amore! Tutto l’amore!
Noi abbiamo insegnato: ama Dio con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze. Isaia ha un testo – ma ce ne sono una infinità – che è illuminante, “Io darò loro un cuore capace di conoscere che io sono Jahweht”. E’ sottinteso – non è necessario rilevarlo – che l’iniziativa di ricercarci proviene da Dio. Noi possiamo andare a Lui perché Lui ci ha messo in condizione di ritornare. E’ Lui che ci attira, è Lui che ci trascina per metterci in condizione di conoscerlo: “Io donerò loro un cuore capace di conoscermi”.
Vedete che cosa fa Iddio. Fa qualche cosa, sempre nell’intimo della nostra persona, perché noi siamo resi capaci di convertirci, di ritornare a Lui. Ci dà un cuore capace di conoscere che egli è il nostro Dio; che Dio è il nostro Padre, e quanto è grande il suo amore. “Essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio”. Quante volte ritorna questa espressione “Essi ritorneranno a me con tutto il loro cuore” (Is. 24,7). Vedete quindi, come la conversione sia un atto personale che parte dall’intimo e impegna l’intimo della nostra persona e impegna la totalità della nostra persona e conseguentemente tutti i nostri atti.
Dio ci ha fatto così.
Noi abbiamo la nostra persona e la nostra persona si caratterizza da una certa fisionomia irripetibile che costituisce la nostra personalità. Dio vuole noi, la nostra persona e non le nostre cose, oserei dire -capitemi sempre con intelligenza- non ha bisogno né di bere, né di mangiare e neppure dei nostri atti, se i nostri atti non implicano le profondità della nostra persona, il nostro cuore secondo il linguaggio biblico.
E fate questa osservazione. Iddio attraverso la storia della salvezza è passato sopra tutti i comandamenti: Davide era l’uomo secondo il suo cuore. Chi era Davide? Era un razziatore del deserto, un adultero, un vendicativo, ma lo risparmierà. Era l’uomo secondo il suo cuore, perché non era dedito all’idolatria. Salomone non diventa odioso a Dio perché ha tutto quel caravanserraglio, ma perché costruisce agli idoli i tempietti sui monti, quindi abbandona Iddio.
Io credo che voi mi intendiate, ripeto quindi, Dio vuole il “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. E Dio come Dio, non il Dio dei filosofi; ma il Dio della Rivelazione cristiana!
La conversione come condizione per entrare nel Regno di Dio,
La conversione come condizione per entrare nella famiglia dei figli di Dio,
La conversione come condizione per avere Dio come Padre.
Giovanni: “Convertitevi e fate penitenza”.
Gesù: “Il regno di Dio è vicino; convertitevi e fate penitenza”.
La predicazione di Nostro Signore Gesù Cristo, il Vangelo, ha come sfondo questo tema:
Gesù è venuto per annunciarci che Dio è Padre,
Gesù è venuto per annunciarci che Dio è suo Padre,
Gesù è venuto per annunciarci che Dio è nostro Padre. “Ipse Pater amat vos”.
Gesù è venuto per ricondurci al Padre,
Noi abbiamo bisogno di ritornare al Padre, abbiamo bisogno di convertirci e Gesù ci insegna la strada della conversione:
“Exivi a Patre et veni in mundum. Itero relinquo mundum et vado ad Patrem”. Ma il cammino di Gesù non è così semplice, come è semplice la descrizione. Il ritorno di Gesù al Padre come la sua venuta nel mondo nel mistero della Incarnazione non è qualche cosa di liscio: “cum in forma Dei esset non rapinam arbitratus est…” (Fil. 2, 9-11), lo conoscete questo passo. E allora chi vuol convertirsi, cioè ritornare al Padre “abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me”.
Il passaggio, l’itinerario della conversione è il rinnegamento di tutto ciò che non è Iddio, compresi noi stessi che non siamo Dio; è sottomettersi alla legge della croce e della morte. E’ il passaggio del chicco di frumento che cade in terra, muore e solo a condizione che muoia porterà frutto. Cristo per arrivare al Padre, alla gioia di essere nella casa del Padre “sustinuit crucem”, “abbracciò la croce'”. Era necessario che morisse per poter entrare nella gloria.
Ricordate quando Gesù apre il cuore dei discepoli di Emmaus e spiega loro il senso delle scritture.
Ecco la conversione operata da Gesù, vissuta da Gesù, conversione nella quale noi siamo inseriti. E’ misterioso questo nostro inserimento nella persona di Nostro Signore Gesù Cristo, questo nostro inserimento nel suo corpo, per cui diventiamo solidali con tutti i suoi misteri. Avete ascoltato questa mattina San Paolo nella lettera agli Efesini: – ci ha fatto entrare nel mistero della morte di Cristo, della sua sepoltura, della sua risurrezione, della sua ascensione in cielo alla destra del Padre.
Con la venuta del Figlio di Dio nel mondo tutto è stato cristificato e allora noi dobbiamo comprendere il senso della nostra conversione, che esige quelle che sono le conseguenze del Battesimo.
Il Battesimo ci inserisce in Cristo, come tralci nella vite, ci inserisce ontologicamente nei suoi misteri e allora la nostra vita morale non è una vita morale qualsiasi; è una vita che deriva da questo nuovo nostro essere e che comporta quindi una condotta di figli nei confronti del Padre, di fratelli nei confronti degli uomini, perché non ci si converte a un padre trascurando i figli, lasciando da parte i figli rimanendo indifferenti ai propri fratelli, che sono figli dell’unico Padre: del nostro Padre. La conversione cristiana quindi non è soltanto conversione nei confronti di Dio, è conversione nei confronti dei nostri fratelli, è conversione nella Chiesa dove Cristo è capo e dove tutti sono membra del corpo di questo capo e formano una cosa sola nell’amore.
Ma dicevo poco prima parlando dell’idolatria: al Padre nostro importa la nostra personalità di figli, più di quanto importino a Lui i nostri atti. Cioè, si può dare il paradosso: uno che osserva tutti i comandamenti della legge di Dio, tutti i precetti generali e particolari della Chiesa e non ha la coscienza di essere figlio di Dio, e non ha la gioia di essere figlio di Dio, e non ha il senso della dignità di figlio di Dio, e non si muove nell’ambito della libertà dei figli di Dio, questi non è un cristiano. Ci possono essere, invece, degli ottimi peccatori, dei peccatori “maiuscoli” che hanno il tormento di essere infedeli alla loro vocazione di figli di Dio.
Oggi si è soliti esprimersi in questi termini: ciò che vale nella nostra vita è l’opzione fondamentale, cioè la conversione radicale, il nostro orientamento totale verso Dio come Padre, verso gli uomini come fratelli. Questa conversione radicale nasce da una decisione lucida, chiara, storica, avvenuta in un momento determinato della nostra esistenza e sempre rinnovata, e rinnovata con maggior fiducia, con maggior impegno ogni volta che fosse venuta meno. Questa è la vita di un cristiano, come si dice, adulto, nel senso che ha scoperto il valore della sua qualità di figlio di Dio, il valore della sua esistenza di figlio di Dio e ha optato per Dio, e ha deciso per Lui, e tutti i suoi atti sono nel senso di questa decisione. E non sono degli atti staccati, come dei grani che si infilano l’uno dopo l’altro, non sono come delle monete che si accumulano o come dire tante giaculatorie indulgenziate così ci si fanno tanti meriti.
Così si diventa delle macchine! No! Siamo delle persone e la persona è il contrario di una macchina. Noi lo comprendiamo. La nostra gente lo capisce. Ai tempi nostri la gente che è costretta alla catena di montaggio, che è costretta a lavorare al servizio delle macchine, prende coscienza del valore della persona.
I nostri astronauti, che a un certo punto si trovano nello spazio e le macchine non funzionano! Ma loro funzionano. La gente esclama: che astronavi! Bisogna dire: che astronauti, che persone, che intelligenza! E poi: che scienza, che perfezione di tecnica! E poi: tanto più la tecnica è perfetta tanto più diventa fragile, e tanto più l’uomo è impegnato.Iddio non vuole delle belle macchine. Iddio vuole delle persone impegnate e questo è il senso della nostra conversione.
OM 348 Loano 71