“La vita di fede”
nel rapporto tra le famiglie e con la comunità parrocchiale
Credo che la nostra conversazione debba chiarire particolarmente il nucleo centrale del rapporto tra Chiesa e famiglia, e vedere possibilmente in concreto come questo rapporto intercorra tra le due realtà: la realtà della Chiesa, la realtà della famiglia.
Dico prima la realtà della Chiesa perché la famiglia cristiana nasce dalla Chiesa e non semplicemente perché c’é un sacramento che riceve nella Chiesa e dalla Chiesa, ma perché la Chiesa é la sorgente di tutto l’essere della famiglia. La Chiesa é il modello della famiglia. La Chiesa é la realtà che chiarifica il mistero della famiglia cristiana.
Non solo la Chiesa é mistero, anche la famiglia é mistero. Quando nelle realtà create é presente ed operante nostro Signore Gesù Cristo, é presente ed operante Dio Padre Figlio Spirito Santo, e siamo di fronte ad un mistero, a qualche cosa di nascosto che ha le sue ripercussioni vitali nella realtà che si vive.
La Chiesa in rapporto alla famiglia. Quando si parla della Chiesa, sapete che non se ne può dare una definizione proprio perché é un mistero ed il mistero é qualche cosa di così profondo, di così vasto, di così ricco che, per quanto si tenti di dire, non si dice mai tutto. Perciò ogni volta che facciamo un discorso sulla Chiesa dobbiamo necessariamente accontentarci di dirne qualche aspetto: l’aspetto che c’interessa in un determinato momento, ma nello stesso tempo dobbiamo stare attenti a non dimenticare che sono presenti anche altri aspetti – anche se non li nominiamo – che completano o addirittura sostengono l’aspetto che stiamo considerando.
San Paolo nella lettera agli Efesini dice che é grande il sacramento dell’unione di Cristo con la Chiesa. Possiamo dire: la Chiesa é il matrimonio di Cristo con la Chiesa. La Chiesa é questo scambio ineffabile di amore fra Cristo e la sua sposa che é la Chiesa. Mi pare che sia facile comprendere la Chiesa sotto quest’aspetto. Questo é l’aspetto che mette in evidenza san Paolo.
Lo sposo elegge, predilige, dona tutto se stesso alla propria sposa. E dona tutto se stesso alla propria sposa non per averne un vantaggio ma perché sia bella la sposa, sia splendida, sia ornata di tutti i doni, sia ricca di amore come deve essere ricca una sposa. Questo è uno sposo che non ama per se stesso, cioè, è uno sposo che non si fa una sposa bella per goderla, ma fa la sposa bella perché vuole il bene della sposa. Il suo amore si manifesta proprio in questo dono che egli fa di se stesso alla sposa.
Sapete che il dono, che il Cristo fa alla sua sposa che è la Chiesa, é il dono di se stesso portato fino all’estremo: immergerla nel suo sangue per purificarla non perché il sangue è un lavacro ma perché il sangue é un fuoco, é espressione dell’amore. Attraverso questa azione del suo amore egli rende la sua sposa “senza ruga e senza macchia”. Quindi la potenza dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo verso la Chiesa é il punto che caratterizza quest’aspetto della vita della Chiesa. I Padri dicono che la Chiesa nasce dal cuore squarciato di nostro Signore Gesù Cristo.
La sposa si trova nella condizione di essere colei che accoglie. Accoglie perché lo sguardo dello sposo si é posato su di lei. Accoglie perché i doni dello sposo sono per lei. Dirà san Paolo che non c’é nessuna grazia che Gesù Cristo dona alla sua sposa, che non doni a coloro che egli redime. La Chiesa diventa la sposa di Cristo in quest’atteggiamento di accoglienza, di accoglimento, nell’atto di ricevere prima che nell’atto di dare.
Nell’atto di ricevere. Noi, nella celebrazione della santa messa – nel così detto canone romano nelle ordinazioni del nuovo messale – offriamo a Dio ciò che egli ci ha dato. La Chiesa, sposa di Cristo, offre a Cristo dopo avere ricevuto e non sarebbe in grado di offrire nulla al suo Dio, al suo Signore, al suo Sposo se non avesse ricevuto. Questo atteggiamento di accoglienza é un atteggiamento di umiltà e di povertà. Prima della povertà sociale, prima della povertà economica, prima della povertà culturale ci deve essere una povertà spirituale, una povertà che é convinzione che tutto quello che abbiamo lo abbiamo ricevuto, che tutto quello che siamo é dono di Dio. La povertà biblica é essenzialmente questa. Può essere accompagnata da altre espressioni di povertà, ma se queste non sono accompagnate dalla convinzione che tutto ci viene da Dio, che in tutto noi abbiamo bisogno di Dio, non c’é una povertà vera e sincera come non c’é un’autentica umiltà.
L’umiltà non é dire delle parole, non é schernirsi delle lodi degli altri, non é il dispregio di se stessi. L’umiltà é la convinzione profonda che san Paolo esprime così: ” Che cosa hai che non abbia ricevuto e se hai ricevuto perché te ne glori…?” Quello che siamo, lo siamo per l’opera creatrice di Dio e per l’opera salvifica di nostro Signore Gesù Cristo e nessuna creatura può vantare qualche cosa nei confronti di Dio. Così é l’atteggiamento della Chiesa.
Questo atteggiamento della Chiesa diventa concreto, esistenziale quando é l’atteggiamento del credente perché noi siamo la Chiesa, noi siamo la sposa di nostro Signore Gesù Cristo, noi siamo coloro che riceviamo tutto da lui. In questa convinzione, in questo atteggiamento di umiltà e di povertà noi esprimiamo la massima riconoscenza a Dio che, attraverso nostro Signore Gesù Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci purifica, ci santifica, ci arricchisce.
Quindi é l’amore di gratitudine che é proprio un amore sponsale: tu hai eletto me, io ho la fortuna di essere stato eletto, io sento quale é la mia condizione dal momento che mi hai eletto, io so che é una condizione impensabile, di una grandezza incomparabile che tocca le profondità abissali e le altezze vertiginose della vita stessa di Dio. La sposa di cui parla Osea, era stata infedele al proprio sposo, era stata abbandonata da tutti gli amanti. Ciò nonostante egli la va a cercare, la porta nel deserto, la purifica, la riveste, le dà la capacità di uscire dalla condizione di prostituta e di diventare un’autentica sposa.
Questo é un aspetto della Chiesa, Gesù Cristo che si dona, noi che accogliamo il dono di Cristo, noi che, accogliendo il dono di Cristo, entriamo in una comunione di vita, in una partecipazione di vita incomparabile, superbamente ammirabile. La famiglia nasce dalla Chiesa proprio secondo questa linea di dono, di accoglienza, di comunione. Qui ci trasferiamo dalle altezze concrete del mistero alla concretezza di un’esistenza creata ma redenta e santificata da Dio, nella quale opera Dio. Allora non si può dire che sposo o marito è Gesù Cristo in senso letterale, che sposa o moglie è Chiesa in senso letterale. Qui le posizioni sono reciproche perché siamo sullo stesso piano. Non siamo su due piani diversi come tra Cristo e noi, tra Cristo e la Chiesa. Noi siamo delle semplici creature. Qui siamo tra creature, allora tanto lo sposo come la sposa sono coloro che donano e sono coloro che accolgono. Ecco la famiglia che si modella sulla Chiesa in questo atteggiamento di donazione prima di tutto.
L’amore é donazione. Cristo ha amato la Chiesa é ha dato tutto se stesso per la Chiesa. L’amore non é mai la ricerca di se stesso. L’amore è volere bene, é volere che l’altro abbia il bene che é lui; l’amore é volere che l’altro abbia tutto quello che egli é e tutto quello che egli ha. Pensate quanta difficoltà trova questo concetto a concretizzarsi su un piano puramente materiale, economico. Non é detto che “ipso facto” quando due persone uniscono le loro esistenze per tutta la vita e quindi per sempre, il patrimonio diventi comune. E quando la moglie finalmente é libera dal marito, che ha avuto la grazia di andare in cielo, non é detto che il patrimonio del marito sia il suo patrimonio! E siamo in legislazioni civili come sono le nostre! E questo é l’aspetto più marginale.
Il dono di tutto se stesso, é non appartenere più a se stesso. San Paolo, con un linguaggio che a noi può dare anche un certo fastidio ma che va inteso nella sua portata, dice che il corpo della moglie non appartiene più alla moglie, che il corpo del marito non appartiene più al marito. Quando san Paolo dice corpo vuole dire persona. Uno appartiene all’altro e quindi ci deve essere un dono dell’uno all’altro, non ci devono più essere i fatti miei o i fatti tuoi. Quando nostro Signore Gesù Cristo ci propone di seguirlo ci dice che dobbiamo rinnegare noi stessi e prendere tutti i giorni la nostra croce. Questa é la prova dell’amore del marito rispetto alla moglie e viceversa. Il marito deve rinnegare se stesso, prendere la sua croce che é la moglie e camminare. E viceversa.
Rinnegare se stessi é il punto. Se non c’é questo rinnegamento di se stessi per l’altro, non c’é il dono di se stessi. C’é qualche riserva e non c’é il dono. Dove ci sono delle riserve ci sono delle mancanze, c’é il dono non fatto, c’é il dono trattenuto per sé, c’é il dono che di diritto appartiene all’altro e che non é dato. Come siamo lontani dal concepire l’amore in genere in questo senso e in particolare l’amore sponsale, che é l’amore in cui una creatura umana realizza tutto il suo essere specifico di uomo e di donna.
Il discorso della sessualità. E’ dono. Non é ricerca di godimento. Non é sfruttamento. Questo dono porta conseguentemente una soddisfazione, una gioia, un appagamento ma a condizione che sia dono e quindi non calcolo, non ricerca per se stessi altrimenti diventa qualche cosa di mercenario. Ci possono essere dei rapporti coniugali in un matrimonio giuridico che sono mercenari perché sono atti di egoismo e non di amore.
Pensate che cosa comporta un modo di concepire come questo nella educazione dei figli, dei fidanzati che si preparano al matrimonio e come questa educazione possa essere possibile unicamente quando coloro che la impartono ne danno una testimonianza vera. In questi giorni avete riflettuto a più riprese che bisogna essere autentici. Il punto da cui bisogna partire, per essere autentici, é questo.
I figli nascono dall’amore e, se sono nati da un amore autentico, lo portano iscritto in se stessi, nel loro sangue, nella loro carne. I figli hanno il diritto di crescere nell’amore ma, notate, prima che nell’amore per loro hanno bisogno di vedere l’amore del padre per la madre e della madre per il padre. E’ più importante che il marito voglia bene alla moglie e che la moglie voglia bene al marito che il padre e la madre vogliano bene ai figli. E proprio per i figli! E’ importante per i figli perché non venga meno il principio che li ha generati.
Guardate che, qui siamo nella metafisica della realtà la quale non si può cambiare. I figli nascono da un atto di amore. Questo amore che ha dato a loro l’esistenza deve continuare durante tutta la loro vita. Ecco perché, dal punto di vista cristiano, é reclamata l’indissolubilità del matrimonio. Non é soltanto perché i figli hanno bisogno della assistenza dei loro genitori. Ci possono essere persone che hanno delle qualifiche più specifiche di quelle dei genitori in quanto all’assistenza pedagogica, psicologica, a volte anche affettiva. Ci può essere un maestro che vuole più bene agli scolari di quanto non ne voglia un padre e una madre, ma é un altro l’amore di cui hanno bisogno i figli ed é che il loro padre e la loro madre si vogliano bene perché, se non possono contare su quell’amore, non ha fondamento la loro esistenza. Come non avrebbe avuto principio così adesso non ha il suo sostegno naturale.
La crisi dei ragazzi, dei giovani é una crisi di affetto in questo senso. Ad un certo punto, i figli non se ne fanno più niente del bacio della mamma e del papà, ma a loro importa moltissimo – anche se in un modo non avvertito con chiarezza – che il loro padre voglia bene alla loro madre che la loro madre voglia bene al loro padre. Avviene in loro una lacerazione quando avvertono il contrario. In mezzo a voi c’é stata la testimonianza di uno sposato da molti anni, che ha detto: “Ci vogliamo più bene adesso di quando ci siamo sposati”. Io penso che quei figlioli siano dei giovani felici e sereni, perché anche se incontrano difficoltà e problemi hanno dove appoggiarsi.
L’amore é accogliere l’altro con gioia e con gratitudine. Che tu abbia sposato me, hai fatto la cosa più bella del mondo, non ne potevi fare una più bella! La gratitudine deve essere vicendevole. Nessuno dovrebbe dire all’altro: -se non ci fossi stato io nessuno ti avrebbe preso, e tanto meno, se non avessi avuto il mio patrimonio, la mia professione..! Che cosa sono mai il patrimonio, la professione di fronte ad un essere personale, ad una persona che si dona ad un’altra persona? Teniamo sempre presente la scala dei valori. Mettiamo sempre la persona al primo posto: la persona del marito, la persona della moglie, la persona dei figli e accogliere l’altro interamente.
Accogliere l’altro interamente come é, anche con i suoi difetti. Se non siamo capaci di accogliere i difetti del nostro prossimo non abbiamo un amore cristiano. Gesù Cristo non ci ha amato perché eravamo belli. Gesù Cristo non ha amato una sposa senza rughe e senza macchie, l’ ha amata perché aveva le rughe e le macchie. L’amore fa scomparire i difetti nell’altro, li sopporta, li attenua, li stempera e poco per volta li diminuisce fino al punto di farli scomparire. < Solo l’amore non la discussione, la polemica, l’aggressione! Questo vale per tutti i membri della famiglia.
Donazione, accoglimento, comunione. Comunione: “Quello che é tuo é mio”, quindi, ci deve essere qualche cosa che é mio. Saranno i miei gusti, i miei hobby, i miei amici. C’é soprattutto la mia personalità, il mio tipo di personalità, “quello che é mio é tuo”, sono così e sono tuo così. Comunione non vuole dire confusione, appiattimento, mortificazione, scomparsa di ciò che é caratteristico di ognuno. Si deve tenere presente la personalità perché ogni persona non é mai la ripetizione di un’altra.Si dice sovente: questi assomiglia a me oppure assomiglia a te. Non assomiglia a nessuno dei due. E’ lui. Siamo ancora nel rispetto per la persona che, però appartiene a tutti.Una determinata personalità del marito é un vanto per la moglie. Una determinata personalità della moglie é un vanto per il marito. Così dei figli rispetto ai genitori. Ognuno deve essere se stesso ma per l’altri. Così si fa comunione, così si mettono in comune non le stesse cose ma tutte le cose e perciò ne nasce una varietà.
Fino a questo punto non ho fatto che descrivere le due realtà: Chiesa e famiglia. Ho detto un poco del loro vicendevole rapporto e cioè che la famiglia nasce dalla Chiesa e si modella sulla Chiesa. La famiglia che cosa deve essere per la Chiesa? La famiglia edifica la Chiesa con i nuovi figli di Dio. Questo é il punto più importante e nello stesso tempo è il punto che costituisce meno problema da un punto di vista pastorale. La famiglia edifica la Chiesa in quanto é Chiesa Chiesa sono coloro che stanno insieme nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Chiesa sono coloro che fanno comunione tra loro e con Gesù Cristo.
La vita stessa della famiglia é una vita di Chiesa in cui c’é una salvezza che opera nostro Signore Gesù Cristo in tutti i membri e che produce i frutti della salvezza che sono l’amore vicendevole, la gioia di amarsi, la gioia di stare insieme. Si può vedere che ognuno se ne va per proprio conto, il marito va al circolo, la moglie rimane in casa, i figli più in fretta mettono le piume e più in fretta se ne vanno, più piume mettono più lontano vanno e si può sentire ripetere con rassegnazione: fanno tutti così! Non dico che la famiglia debba essere una gabbia per il marito e una gabbia dorata per la moglie in un appartamento chic. Anche se il marito e la moglie e i figli si prendono uno svago, dovrebbe essere uno svago preso in comune nel senso di comune accordo, di scelta fatta insieme. Questa é un’espressione di vita ecclesiale perché é un’espressione di vita che avviene in una comunione di vita.
La Chiesa che deve essere una comunione di persone che si uniscono in Cristo perché credono in Lui, si nutrono della sua parola, del suo corpo e del suo sangue e sono nati dal suo amore. Naturalmente si costituisce con le comunità di base che sono le famiglie, piccole chiese nella grande Chiesa, piccole comunità nella grande comunità.
Non ci saranno mai comunità tanto legate tra loro come le famiglie che si uniscono nel vincolo della carità di nostro Signore Gesù Cristo.
Ci potranno essere tante comunità, tanti gruppi di amici ma non potranno mai essere delle comunità ecclesiali nel senso che abbiamo detto.
Allora, per l’edificazione della parrocchia, comunità ecclesiale locale, ha molta importanza l’associazione delle famiglie cristiane, l’intercomunione tra le famiglie cristiane.
Ieri sera chiedevo ad un gruppo di giovani se c’é amicizia tra le loro famiglie, se ci sono famiglie amiche tra loro che, come famiglie, s’incontrano, scambiano esperienze e problemi. C’é una preoccupazione nella nostra pastorale di arrivare al traguardo di creare nella parrocchia dei gruppi famigliari che si incontrino, che stiano volentieri insieme, che facciano insieme l’esperienza di Chiesa intorno all’ascolto della Parola di Dio e intorno alla celebrazione eucaristica.
Monsignor Mantovani mi è testimone di come io desidererei che si facesse quest’esperienza di celebrazioni liturgiche domestiche per gruppi famigliari. La celebrazioni liturgica, poi, diventerà una concelebrazione comunitaria di persone che già precedentemente hanno fatto esperienza di comunione ed hanno alimentato la loro vita comunitaria con la Parola di Dio, che per me é la prima fase, il primo passo.
Questo lo dico, non per eliminare messa in Chiesa e dirla in casa. No! Ma perché la messa che poi si dirà in Chiesa sia una messa più comunitaria, e quindi più autentica. Quindi dovete sollecitare i vostri parroci, dovete dare la vostra collaborazione, dovete prendere delle iniziative anche per vostro conto perché ci sia questo tipo di azione pastorale. Naturalmente informando il parroco!
Può avvenire in tanti modi: per quartiere, per famiglie che non hanno difficoltà ad incontrarsi tra di loro, tra famiglie che hanno interessi i problemi comuni e che possono riguardare la vita spirituale e l’educazione dei figli, con celebrazioni annuali di anniversari comuni, con festa della famiglia, eccetera. Voi avete più fantasia di me, voi vivete nel concreto della vita e potete trovare risorse nuove per arrivare ad incrementare la vita comunitaria a tutti i livelli fino al livello parrocchiale.
Qui, comprendete, c’é la responsabilità della Chiesa e delle famiglie in ordine alla preparazione delle nuove famiglie. Questo é il “mio chiodo” e lo batterò fin tanto che non sarà entrato ed è la preparazione alla famiglia: un catecumenato in preparazione alla famiglia.
Per la vita della chiesa é più decisivo il giorno della celebrazione delle nozze che il giorno della prima comunione. E’ inutile ripetere retoricamente un’espressione che va a sapere se é vera, addirittura di Napoleone che il giorno più bello della vita é quello della prima comunione. Indubbiamente é un giorno bello ma, il giorno più significativo é quello in cui uno decide di sposare. Allora, se nelle consuetudini della nostra azione pastorale c’é una preparazione alla prima comunione e alla cresima, perché non ci deve essere una preparazione al matrimonio?
Insisto su un altro mio chiodo. Non c’é momento più adatto per una presentazione globale, completa del cristianesimo di quello che ci offrono coloro che si stanno preparando al matrimonio. Non dico una parola peregrina affermando che tutta la rivelazione cristiana viene fatta attraverso immagini nuziali, l’alleanza, Cristo sposo della Chiesa, il banchetto nuziale. In questi temi si possono inserire tutti i misteri della fede, tutti i comandamenti, tutti i precetti e tutti i consigli. C’é un momento di affinità tra le disposizioni di animo di coloro che sono innamorati e il cristianesimo che é il grande innamoramento di Dio per gli uomini. C’é un’intelligenza più facile alla comprensione del mistero in questo momento.
Sono cose che mi auguro, che propongo alla vostra riflessione, per le quali chiedo la vostra collaborazione, quella di tutta l’AC e quella di coloro che hanno la sensibilità di capire che dobbiamo impegnarci per un’azione apostolica religiosa per i fratelli.
Mi viene da dire: “nolite timere pissillus grex”. Viviamo in un momento in cui abbiamo l’impressione di diventare più pochi.
Quando Dio, nella storia della salvezza ha voluto rinnovare le cose, si é sempre servito di un piccolo “resto”. Abbiamo molta fiducia. Io ripongo molta fiducia in voi.
La parola che raccogliete qui, naturalmente, non tenetela per voi ma gridatela.
OM 360 Celana 71 – Domenica 3 gennaio 1971